Le tre tappe fondamentali di un progetto territoriale partecipato

Sergio De La Pierre ci presenta i passaggi fondamentali per intraprendere un percorso partecipativo ()
escher gradini

Prima di descrivere in dettaglio i diversi passaggi di un progetto territoriale partecipato (sempre nell’ottica dell’impostazione “divulgativa” di queste note), può esser utile rappresentarne in estrema sintesi i passaggi fondamentali. Come già sappiamo (si vedano le nostre avvertenze preliminari) i percorsi partecipativi possono essere i più vari a seconda della tipologia dei soggetti promotori e di quelli coinvolti, del tema o oggetto investito dal percorso stesso, della dimensione territoriale e della durata prevista dell’esperienza, dell’ambiente culturale nel quale essa si svolge. E tuttavia possiamo ritenere, molto in generale, che ogni esperienza di democrazia progettuale partecipata debba attraversare le seguenti tre fasi.

 

  1. La fase preparatoria

La definizione dei soggetti promotori.

Devono esserci almeno

  • uno o più rappresentanti della Pubblica amministrazione locale (una “democrazia partecipativa” compiuta si realizza quando il percorso progettuale è avviato in prima persona dall’amministrazione locale (o almeno questa è presente), e consiste in un’interlocuzione “creativa” tra essa e i più diversi gruppi di cittadini);

  • uno o più facilitatori col ruolo di “registi del processo”. Il facilitatore non dev’essere un “esperto di contenuti” (questi spettano ai cittadini), ma una figura terza tra tutti i soggetti in campo, un “esperto o regista di processo”;

  • un gruppo promotore formato da cittadini e rappresentanti di associazioni, oltre che dalla “Cabina di regia” e da qualche esponente della Pubblica amministrazione;


parole chiave: principio del coinvolgimento fin dai primi passi (ciò vale per i cittadini e per i membri della Pubblica amministrazione, ma permette soprattutto ai cittadini di poter raggiungere i più elevati livelli della partecipazione); principio dell’inclusione (si veda più oltre);principio del non avere fretta(“iniziare senza fretta per poi procedere speditamente”);infine, la definizione di regole condivise via via che si procede nel progetto.


L’indagine preliminare

  • per i progetti più complessi (ma non solo) è necessaria un’indagine “di sfondo” sul materiale (libri, tesi di laurea, giornali, ricerche storiche ecc.) già prodotti in passato su quel territorio, accompagnata magari da colloqui con tecnici ed esperti della situazione;

  • poi vanno individuati tra gli abitanti i soggetti-chiave (stakeholders) con i quali effettuare delle prime interviste “qualitative” (su questo punto, come su altri qui appena citati, ritorneremo prossimamente con apposite schede), magari accompagnate da dei questionari “quantitativi” (tipo “sondaggi”) da distribuire alla popolazione. Non vanno escluse assemblee informative con la gente, e neppure varie forme di “animazione del quartiere”. Qui infatti bisogna iniziare ad applicare il principio di inclusione (soggetti tendenzialmente “deboli” o “esclusi”, ma anche i “tiepidi” e gli “oppositori”: il che evita problemi nella fase successiva dell’implementazione). Principio fondamentale è quello dell’andare a cercare le persone (outreach) piuttosto che “convocarle”. Una tecnica simpatica e divertente di indagine preliminare è quella della camminata di quartiere.

Il risultato finale della fase preparatoria è la stesura di una “mappa delle posizioni in campo” (un documento di “valutazione etnografica”, come la chiama Marianella Sclavi), che permette di avere un quadro iniziale delle idee, delle proposte, degli immaginari, dei conflitti che ruotano attorno a “quel”problema e a quel progetto.


  1. L’interazione progettuale

Parole chiave: i cittadini scoprono che possono contare (empowerment), occorre curare la comunicazione attraverso linguaggi non specialistici, non procedere per assemblee ma con lavori per piccoli gruppi (principio del “faccia a faccia”), costruire anche con i cittadini le regole condivise necessarie a ogni fase del percorso.

Le tecniche per la definizione del vero e proprio progetto partecipato sono le più varie e la capacità di adattarle alle diverse situazioni è il vero banco di prova dei facilitatori/registi e del gruppo promotore. Infatti “a cavallo” tra la fase 1 e la fase 2 si possono costituire dei primi gruppi di lavoro, anche estemporanei, tipo “comitati tecnici”, sedute di brainstorming, focus group ecc.

Un possibile punto di partenza – che si è molto diffuso nelle pratiche partecipative degli ultimi anni - è organizzare un’Open Space Technology (OST) che ha la capacità di attrivare, con piccoli gruppi di lavoro, una miriade di proposte progettuali. Ma non bisogna aver fretta di confezionare il progetto finale.

Qui intervengono le tecniche del Confronto Creativo: soluzione creativa degli inevitabili conflitti (si vedano le schede sulla gestione creativa dei conflitti)attraverso i principi dell’ascolto attivoe della moltiplicazione delle opzioni: spesso vedere un problema da più punti di vista permette di scoprire soluzioni inedite.

Va così lentamente costruendosi una vision condivisadel progetto, che incarna la fase della convergenza tra i diversi progetti in campo. A questo punto si pone la necessità di formulare un documento condiviso da tutti i soggetti partecipanti, che sarà il testo di riferimento del progetto partecipato.

Avremo modo comunque di parlare anche delle altre tecniche di progettazione partecipata territoriale che si sono venute coagulando negli anni e nelle più diverse situazioni: a solo titolo di esempio, la Search Conference, ilPlanning for Real, i Laboratori di quartiere, il Bilancio partecipativo.


  1. L’implementazione


L’implementazione, o attuazione del progetto, consiste di due aspetti principali: l’approvazione del progetto da parte della “base sociale” allargata della cittadinanza (sino al limite di un referendum popolare); e poi il percorso tecnico-giuridico di implementazione da parte della Pubblica amministrazione, che dovrà sfociare nella realizzazione effettiva del progetto. Importante comunque è lavalutazione condivisa dei risultati ottenuti. Per capire se il progetto partecipato ha avuto esito positivo sarà importante valutare almeno due cose: se quei risultati ottenuti hanno carattere di stabilità, e se i soggetti implicati nel percorso avranno “imparato a camminare con le proprie gambe” dopo che gli “esperti” se ne saranno andati, magari proseguendo nel proprio lavoro per migliorare ulteriormente la situazione del loro territorio.

Sul tema dell’implementazione tuttavia non possiamo dimenticare quanto abbiamo detto sui livelli della partecipazione: il livello più alto di partecipazione dei cittadini/abitanti non è quello di tipo “progettuale”, bensì quello che abbiamo chiamato “implementativo”: soprattutto (ma non solo) in alcune esperienze del Terzo mondo, nelle forme più avanzate di “rigenerazione di comunità” i cittadini non solo partecipano alla definizione dei progetti, ma li realizzano concretamente in prima persona: autocostruzione di case e villaggi, forme di autosostenibilità economica (banche del tempo, microcredito), autogestione/autogoverno di concreti aspetti del patrimonio territoriale (paesaggi, acque, produzione di cibo ecc.).


Lettura consigliata


L. Bobbio (a cura di), A più voci. Amministrazioni pubbliche, imprese, associazioni e cittadini nei processi decisionali inclusivi, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli-Roma 2004 (anche on line).

(si tratta di un manuale utilissimo, ricco di esempi e fatto con stile divulgativo)


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