Come si fanno le interviste “qualitative”. Seconda parte

Ecco il nuovo appuntamento del "manuale" delle tecniche di partecipazione di Sergio De La Pierre
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11 interviste sulla strada

Le fasi dell’intervista

L’intervista qualitativa (si veda Prima parte) deve essere, e apparire, molto spontanea, deve mettere l’intervistato a suo agio. Ciò non toglie che l’intervistatore deve conoscere alcuni accorgimenti “tecnici” indispensabili per una conduzione buona e proficua dell’intervista, sui quali abbiamo già dato qualche cenno nel precedente articolo. Occorre sapere come iniziare, come condurre e come concludere l’intervista.


  1. Preparazione e inizio

Come si scelgono gli intervistati. Questo punto, molto importante, dipende dal tema e dall’oggetto della ricerca: ad esempio se le interviste devono riguardare un determinato quartiere della città, le persone devono essere di quella zona (ricordiamo il concetto di stakeholder). La scelta comunque non dev’essere del tutto “casuale” (criterio questo che vale maggiormente per le interviste “quantitative”): si può decidere ad esempio una certa proporzione tra maschi e femmine, tra giovani e anziani ecc. Fatto questo, il metodo spesso usato è quello “a valanga”: al primo intervistato si chiedono i nomi dei possibili candidati alle successive interviste, e così via. Il rischio, in questo caso, è che “le interviste non finiscano mai”; e invece ogni buon intervistatore deve saper “chiudere la ricerca” in base ai suoi obiettivi e alle sue risorse a disposizione. La quantità delle persone da intervistare, infatti, dipende anche dall’impianto complessivo della ricerca: un conto è fare alcune interviste per un’“Indagine preliminare” in un percorso partecipativo, e un conto è che un’équipe di ricerca programmi un’indagine a tutto campo su un determinato territorio.

Strumenti tecnici: ci vogliono sempre un registratore (v. il punto “Registrazione” qui sotto), penna e fogli per gli appunti, fogli e pennarelli per l’intervistato (qualora nel corso del colloquio gli venga l’idea di fare qualche disegno). N.B.: non bisogna dimenticare di avere, o memorizzare bene, la “Traccia dell’intervista”.

Registrazione.È un punto molto delicato. La “dottrina” sociologica è abbastanza unanime nel considerare l’uso del registratore come il metodo migliore, per diverse ragioni (maggiore “autenticità” della registrazione, che così coglie le inflessioni della voce, le espressioni dialettali, le pause… tutte cose che possono essere significative). Addirittura, per cogliere i “comportamenti non verbali” non sarebbe nemmeno sufficiente il registratore, ma ci vorrebbe una videocamera, ma questa comporta ovvie controindicazioni (soprattutto una frequente diffidenza da parte dell’intervistato). Si pensa inoltre che l’obiezione dell’“imbarazzo” dell’intervistato sia facilmente superabile in caso di registrazione audio (se accetta l’intervista e questa gli è stata presentata bene, accetta facilmente anche il registratore. Ma, ovviamente, gli va chiesto il permesso di registrare!). Il problema sta a volte dalla parte dell’intervistatore, soprattutto perché ci vuole molto tempo per la sbobinatura. Se l’intervistatore – o l’équipe di ricerca - non ha tutto questo tempo, oppure se l’intervistato rifiuta la registrazione, occorre seguire alcuni accorgimenti nel “prendere appunti” dell’intervista: 1) segnare tra virgolette le frasi intere che sembrano particolarmente significative (magari facendosele ripetere); 2) se sono in due a fare l’intervista, chiarire chi dei due fa le domande e chi fa il “segretario” (ruoli che si possono invertire nella successiva intervista), in modo da dare al colloquio il carattere “a due” che è importante per l’intervistato, per evitare troppe interferenze, e anche per facilitare la presa di appunti; 3) sul foglio degli appunti riservare uno spazio per segnare osservazioni sui comportamenti non verbali dell’intervistato, e anche le ulteriori domande che vengono in mente mentre l’intervistato sta parlando; 4) una volta trascritta l’intervista, farla leggere all’intervistato (v. oltre, punto 3), così da evitare errori di registrazione; 5) un compromesso (del tutto opzionale) sulla questione del registratore può essere questo: portare il registratore, usarlo ma prendere anche gli appunti. L’intervista registrata potrà servire per risentire solo dei pezzi nel caso si abbiano dei dubbi in fase di trascrizione.

Il luogo dell’intervista. La regola è che va scelto dall’intervistato. Se si tratta di un’intervista che riguarda il futuro o un progetto urbano, è molto utile fare l’intervista nel luogo (o nei suoi paraggi) che è oggetto della ricerca e/o dell’intervento. La presenza fisica dell’“oggetto urbano” spesso stimola di più la fantasia, l’immaginario, il “sogno di futuro” di quanto non faccia l’intervista fatta in un salotto. Stesso criterio (la scelta più comoda per l’intervistato), ovviamente, per l’ora e il giorno dell’intervista.

Scrivere subito luogo e data dell’intervista, nome dell’intervistato e del/degli intervistatori.

Primo contatto. Di norma telefonico, ma anche con la “mediazione” di un precedente intervistato.

Tempo previsto per l’intervista: in media un’ora e mezza.


  1. Svolgimento dell’intervista

  • Iniziare con domande molto generali (“mi parli di lei” o, dopo che gli avete spiegato lo scopo dell’incontro, “da dove vuole cominciare?”, “mi parli della sua esperienza”: il tutto per favorire nell’intervistato quel ruolo di “guida dei contenuti” di cui parlavamo nell’articolo precedente); sappiamo che nella traccia dell’intervista (che va preparata accuratamente prima) dev’essere sempre prevista una parte sui dati personali dell’intervistato: nome cognome, età, stato civile, lavoro, ruolo “sociale” nella sua zona, associazione ecc. (Ciò non vuol dire che queste cose gli vadano chieste subito, ma nel momento più opportuno).

  • Valorizzare ciò che dice, esprimere interesse (si veda il brano citato in “Alcuni consigli” in fondo a questo articolo);

  • Chiedere approfondimenti, a volte ripetere la domanda, se sembra che l’intervistato non abbia svolto bene un argomento che gli sta a cuore;

  • Rispettare le pause, che non sono la stessa cosa di un “blocco” del ragionamento (che si può “sbloccare” magari cambiando argomento e tornandoci su dopo, oppure proponendogli di fare un disegno se è il caso); una “pausa” invece può essere un utile momento di riflessione, di incertezza che va rispettato.

  • Molta sensibilità da parte dell’intervistatore: è questa la sintesi di una capacità difficilmente “codificabile”, che però è decisiva per essere un “intervistatore provetto” (e “non strutturato”): competenza non facile da acquisire ma che alla fine renderà molto piacevole il lavoro di “costruttore della partecipazione”. La sensibilità va esercitata anche nel saper scegliere ilmomento in cui concludere l’intervista: cogliere la stanchezza dell’intervistato, o l’ora tarda per i suoi impegni (o per quelli dell’intervistatore). A volte ci può essere un’intervista molto interessante fatta in meno di 1 ora, a volte non bastano 2 ore, e allora può essere utile (sta all’intervistatore valutarlo) proporre un secondo incontro per completare argomenti rimasti in sospeso.


Trascrizione

  • Si tratta del “Rapporto finale”, la sintesi dell’intervista che bisogna scrivere. Si può suggerire di suddividerlo in due parti:

    1. Il testo dell’intervista. È una sintesi (nel caso non ci sia la sbobinatura completa), da verificare con l’intervistato (tramite una e-mail o anche una telefonata).

    1. Le impressioni dell’intervistatore (questa parte per ora non va verificata con l’intervistato). Se questa “intervista/colloquio” è un “evento interattivo, relazionale”, contano anche e devono emergere il vissuto dell’intervistatore, le sue impressioni sul luogo, il clima, il contesto, i comportamenti non verbali, il fatto che durante l’intervista si sono modificate certezze iniziali o la definizione originaria dei bisogni, l’idea di un possibile progetto che ha assunto contorni più precisi, oppure l’intervistato si è lasciato andare ai sogni e da questo ha, o non ha, ricavato idee concrete da realizzare; e anche le emozioni, paure dell’intervistatore, se ci sono stati momenti di tensione, che cosa lui ha imparato, quali correzioni gli sono venute in mente magari in relazione alla Traccia dell’intervista, o al lavoro futuro del “Gruppo promotore” del percorso partecipativo. Infine, se l’intervistato ha fatto qualche osservazione interessante dopo che l’intervista si è conclusa. Quando dico che per ora queste considerazioni non vanno comunicate all’intervistato, è semplicemente perché prima dovranno diventare patrimonio comune del gruppo di lavoro, che dovrà necessariamente in un secondo momento farne oggetto di riflessione comune con le persone che sono state coinvolte, in un’opera di restituzione del suo lavoro che sarà già molto vicino alla vera e propria costruzione comune con loro dei primi progetti ed eventi concreti (se si tratta di un’intervista inserita in un percorso di progettazione partecipata).


Alcuni consigli

Mi limito qui a riportare un brano sul “bravo intervistatore qualitativo” tratto da un manuale: “L’intervistatore deve ascoltare l’intervistato in modo paziente ed amichevole, ma anche intelligentemente critico; non deve mostrare alcuna specie di autorità; non deve offrire alcun consiglio o ammonimento morale; non deve discutere con l’intervistato; deve parlare o fare domande solo a certe condizioni: per aiutare la persona a parlare; per dissipare ogni timore o paura da parte dell’intervistato che possa influenzare il suo rapporto con l’intervistatore; per apprezzare l’intervistato per il fatto che racconta i suoi pensieri e sentimenti accuratamente; per indirizzare la conversazione su qualche argomento che è stato omesso o trascurato; per discutere su alcuni presupposti rimasti impliciti, se è il caso”.


Per saperne di più

P. Montesperelli,L’intervista ermeneutica, Franco Angeli, Milano 1998.


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