Partecipare sì, ma come. Agli inizi di un percorso partecipato

Il corso del Laboratorio di Lambrate prosegue con un momento di riflessione su come, quando, con chi e con quale approccio avviare un percorso partecipato. ()
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Onestà dell’approccio, autenticità degli intenti, trasparenza della comunicazione. Potrebbero sembrare raccomandazioni generiche e magari un po’ buoniste, come si usa dire ora per denigrare qualsiasi approccio valoriale alla conoscenza della realtà e al proprio agire in essa, ma in realtà si tratta di principi fondamentali per la buona riuscita di un percorso partecipato.
Ogni metodologia, ogni tecnica partecipativa, infatti, non deve perdere di vista il nucleo centrale di un autentico processo partecipativo, che è la costruzione di nuove relazioni sociali, di nuova fiducia tra i cittadini e tra questi e le istituzioni.
La stessa fiducia di cui parla Giancarlo De Carlo, uno dei grandi padri fondatori della progettazione urbanistica pianificata: “solo quando si raggiungono fiducia e confidenza, il processo diventa vigoroso, spinge all’invenzione” … “l’ambiente si scalda e “accade” la partecipazione”, … “l’interazione diventa sempre più stimolante e i suoi esiti non sono più prevedibili”.

Prima di avviare un processo partecipato è quindi essenziale per i promotori innanzitutto precisare le proprie intenzioni, chiarire l’approccio e porsi alcune domande sul chi, sul perché e sul che cosa.

Linguaggio, informazione e setting
Un’attenzione particolare dovrà essere dedicata al linguaggio. E non si tratta di un aspetto formale, perché il linguaggio può creare barriere di comprensione o “ponti” di comunicazione.
L’informazione, poi, dovrà essere accurata, precisa ed esaustiva e comunicare la reale volontà di inclusione.
Il 'setting' sarà altrettanto importante perché anche la posizione delle persone nello spazio può indicare il tipo di rapporto che si vuole instaurare. Per esempio, due persone con approcci diversi, se sedute l’una di fronte all’altra entreranno più facilmente in conflitto, ma sedute una accanto all’altra, e di fronte al problema, tenderanno al confronto fra due punti di vista differenti. Se tante persone sono sedute in circolo col facilitatore al centro, avranno la sensazione di esser tutte alla pari.

La vera parità
La vera parità fra i soggetti sarà da perseguire anche attraverso la forma delle relazioni che non potranno essere né eccessivamente impersonali/professionali perché rischierebbero di dare più potere al facilitatore o al progettista, né troppo informali perché lascerebbero spazio all’emergere dell’associazione più forte o del personaggio più carismatico.
Perché il gruppo funzioni è anche indispensabile creare ed esplicitare fin dapprincipio regole condivise e chiarire subito come qualsiasi percorso partecipato non possa che essere per sua stessa natura inclusivo, quindi da un lato il gruppo promotore dovrà farsi carico fin dai primissimi momenti di invitare tutti i cittadini potenzialmente interessati e d’altro canto educare il gruppo e se stessi all’ascolto di persone con una visione diversa, o addirittura contraria, consapevoli che da queste divergenze spesso nascono scintille di apertura a nuovi orizzonti progettuali.

Chi invitare e quando?
Ed eccoci dunque ad un aspetto cruciale: chi invitare ad un percorso partecipato? E quando?
Nel suo articolo Avvertenze preliminari Sergio De La Pierre spiega che se un decisore pubblico vuole davvero far partecipare i cittadini dovrà coinvolgerli subito, sin dalla fase della definizione del problema, in modo che i cittadini stessi possano, ad esempio nella fase di costruzione del progetto, accedere ai livelli superiori della 'scala della partecipazione'.
Per quanto riguarda il 'chi invitare', la prima risposta, sicuramente corretta, è tutti i cosiddetti 'stakeholders', quindi cittadini, associazioni, enti, gruppi organizzati… Ma è evidente che i gruppi organizzati potrebbero tendere ad agire in nome di una rappresentanza collettiva creando pressioni di tipo lobbistico, mentre il singolo cittadino rappresenta solo se stesso; peraltro i cittadini che partecipano sono spesso un’esigua percentuale degli abitanti della città e gli esclusi, quindi 'non rappresentati' sono spesso proprio le fasce più deboli. Il tema si presenta piuttosto complesso.
Rimandiamo ogni approfondimento al succitato articolo di De La Pierre (Avvertenze preliminari), qui ci basti ricordare che coinvolgere le persone in un percorso partecipato non significa affatto 'convocarle', bensì 'andarle a cercare'. In inglese si usa il termine 'outreach' ovvero sensibilizzazione, consapevolezza. In questo senso uno dei metodi è la passeggiata di quartiere, utilizzata anche dal Laboratorio di democrazia partecipata nel suo esordio a Lambrate.

Il gruppo promotore
Da chi è formato il gruppo promotore, chi dà inizio a un percorso di progettazione partecipata?
Esistono esperienze partecipate che partono dall’alto, ovvero da un Ente o un’Istituzione, o dal basso, ovvero dalla capacità di auto-organizzazione delle comunità locali, esperienze spesso presenti nel Sud del mondo. Ma per un approfondimento di queste differenze rimandiamo a un altro articolo del nostro dossier (Chi ben comincia…); qui ci occupiamo di vedere come alle nostre latitudini è perlopiù composto il gruppo promotore.
L’avvio viene dato da un’Istituzione pubblica locale che incarica un gruppo di esperti, facilitatori e progettisti, alla gestione del percorso. Questi ultimi insieme al rappresentante dell’Istituzione formeranno il gruppo promotore e manterranno sempre una posizione indipendente anche verso la pubblica amministrazione. Talvolta al team partecipa fin dal principio anche un gruppo di cittadini.

L’indagine di sfondo
Prima di cominciare è quasi sempre necessaria un’indagine di sfondo sul materiale (libri, tesi di laurea, giornali, ricerche storiche…) già prodotto in passato su quel territorio, accompagnata magari da colloqui con tecnici ed esperti di quella specifica situazione.
Bisogna poi individuare i soggetti-chiave (stakeholders, 'portatori di interesse') con i quali effettuare le prime interviste qualitative in profondità, magari accompagnate da un’indagine 'quantitativa' con questionari da distribuire alla popolazione. Non vanno escluse neanche le assemblee informative con la gente o quante attività possano essere utili per sensibilizzare e per raccogliere informazioni.
Tutto questo lavoro sfocerà nella stesura di una 'mappa delle posizioni in campo', un documento riassuntivo che permetterà di avere un quadro iniziale delle idee, delle proposte, dei problemi, delle dinamiche, dei vissuti, dei conflitti e degli immaginari che ruotano attorno a quel territorio.


Per saperne di più:
Bobbio L., "A più voci. Amministrazioni pubbliche, imprese, associazioni e cittadini nei processi decisionali inclusivi", ESI, Napoli-Roma 2004;
lo studio di ViviLambrate, a cura di S. De La Pierre, "Lambrate, un quartiere tra storia e futuro", edito da MIA in I quaderni di Z3.

Ottavo articolo sul corso del Laboratorio di democrazia partecipata di Lambrate (qui l'articolo introduttivo, vedi sotto il dettaglio completo dei precedenti

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