Partecipare sì, ma come. I livelli della partecipazione

Riprendiamo il discorso sul corso del Laboratorio di Lambrate, presentando il notevole e illuminante lavoro di Arnstein sulla scala della partecipazione. ()
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Fin qui abbiamo parlato di partecipazione in senso generale e l’abbiamo definita come un insieme di azioni consapevoli di cittadini o aggregazioni sociali intese a costruire progetti di trasformazione relativi a problemi sociali o territoriali. Ma il concetto di democrazia partecipata è qualcosa di più avanzato perché allarga lo sguardo dal semplice protagonismo dei cittadini al rapporto di questi con le istituzioni.

Con De La Pierre, possiamo quindi dire che “la democrazia partecipata è quella forma di democrazia che unisce in un rapporto fecondo, costruttivo e creativo il protagonismo dei cittadini con i processi decisionali delle istituzioni, sia a livello locale, che sovralocale”.
Ciò implica una profonda accettazione sia da parte dei cittadini che delle istituzioni di un confronto autentico in cui entrambe le parti si mettono in discussione, rinunciando gli uni ad un ruolo puramente rivendicativo e le altre alla loro indipendenza nell’agire in virtù della delega ricevuta. Nel lungo periodo questo significa costruire un nuovo tipo di democrazia che tende a modificare il rapporto tra il livello della politica e il livello della società civile.

Perché ciò avvenga è necessario definire forme e modi di questa partecipazione e organizzare l’intero processo con strumenti idonei e riconosciuti dalle parti, in altre parole deve essere 'normato', e un interessante esempio in tal senso è la Legge sulla Partecipazione della Regione Toscana del 2007. Una legge per certi versi esemplare, perché alla stessa si è giunti proprio attraverso un processo partecipativo.

Ma fino a che punto i cittadini contano?
È chiaro che possono esistere modalità, e anche intenzioni, diverse nel coinvolgimento dei cittadini. E che di conseguenza sarà diverso anche il loro ruolo e il loro 'potere decisionale'. Una sociologa americana, Sherry Arnstein, in un interessante saggio intitolato “Una scala della partecipazione dei cittadini” identifica otto diversi possibili livelli di partecipazione, come fossero otto gradini di una scala della democrazia partecipata dal punto di vista dell’atteggiamento delle pubbliche amministrazioni, più o meno disposte a 'cedere' potere.

La scala della partecipazione
Manipulation, therapy, informing, consultation, placation, partnership, delegated power, citizen control: questi i livelli identificati dalla Arnstein, corrispondenti a un 'grado' sempre più alto di partecipazione.
Come abbiamo avuto modo di illustrare più ampiamente nel dossier di z3xmi.it “Orientarsi sulla partecipazione”, questi livelli a loro volta possono essere riuniti in tre gruppi.

La finta partecipazione
La manipolazione e la partecipazione 'terapeutica' appartengono al primo gruppo, quello della 'finta partecipazione' (o partecipazione apparente vedi articolo in dossier). Infatti la manipolazione è caratterizzata dall’unilateralità dei flussi informativi e decisionali, e ha un ruolo di pura persuasione su scelte già fatte. Tipicamente, grandi opere urbane che creano disagio per attenuare il quale si mette in atto qualche iniziativa d’informazione.
La seconda invece è tipica delle equipe di assistenti sociali e psicologi che si pongono il problema della definizione dei bisogni ma con modalità che non prevedono un’interlocuzione attiva fondata sulla reciprocità del dialogo.

La concessione
L’informazione, la consultazione e la cooptazione appartengono invece al secondo gruppo che definiamo della 'concessione' (così abbiamo scelto di tradurre placation, che significa letteralmente accomodamento, conciliazione vedi articolo in dossier). I cittadini sono invitati a partecipare ad alcuni momenti, ma anche in questo caso non viene loro 'concesso' alcun potere decisionale. Nell’informazione, diversamente dalla manipolazione, i cittadini vengono coinvolti in una serie di incontri per progetti in via di definizione anche prima della loro pratica attuazione, ma non esiste alcuno spazio reale di intervento autonomo 'dal basso'.
Nella consultazione, invece, la pubblica amministrazione si rende conto di dover dare loro la parola e allora si avviano iniziative o sondaggi che però mantengono pur sempre ben separato il momento della discussione da quello decisionale. Arnstein parla di “rituale-specchio per le allodole”.
Nella cooptazione (o in inglese placation) alcuni cittadini vengono fatti entrare in un organismo decisionale, quasi 'in rappresentanza' delle istanze di un particolare gruppo sociale, oppure si auto-cooptano con assiduità in diverse situazioni aperte alla loro presenza (vedi per esempio le commissioni nei Municipi), ma non hanno alcun reale potere decisionale.

Il potere dei cittadini
La partnership, la decisionalità progettuale, la partecipazione implementativa: qui (vedi articolo del nostro dossier) i cittadini possono essere dei veri protagonisti.
Nella Partnership gli abitanti sono coinvolti fin dall’inizio del percorso progettuale, e si lascia loro anche la possibilità di proporre nuove soluzioni. Ma la definizione del progetto e la sua implementazione restano nelle mani dell’istituzione (amministrazione comunale ad esempio).
La decisionalità progettuale rappresenta un livello di reale “empowerment”, in quanto la decisione su alcuni progetti urbani o territoriali viene lasciata interamente ai gruppi organizzati di cittadini che interagiscono con l’Istituzione anche nella gestione di una parte dei fondi comunali su problemi pre-definiti. (es. bilancio partecipativo)
Nella partecipazione implementativa il controllo dei cittadini si estende fino alla gestione e controllo dell’attuazione pratica dei progetti. È la forma più alta di democrazia partecipata.
Ne sono esempi l’autocostruzione in tante periferie del mondo, le imprese sociali o le comunità basate sul microcredito, o ancora, negli Stati Uniti, alcuni programmi di riqualificazione di ghetti urbani.


Per saperne di più:
S. R. Arnstein, "A ladder of citizen participation", JAIP, Vol. 35, No. 4, July 1969, pp. 216-224
disponibile online in inglese o in italiano nella traduzione di Fabrizio Bottini.

Settimo articolo sul corso del Laboratorio di democrazia partecipata di Lambrate (qui l'articolo introduttivo, vedi sotto il dettaglio completo dei precedenti e di quelli qui citati)

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