Il Politecnico moltiplica le startup

Quindici anni fa Marco Tronchetti Provera, allora alla
guida della Pirelli, fece il colpo grosso. Vendette alla Cordis americana diciannove
brevetti, dalle denominazioni un po’ astruse (acceleratore ottico all’erbio, per
esempio) ma che stavano (e stanno) letteralmente cambiando il mondo. Con questa
tecnologia di trasmissione ottica su lunga distanza, sviluppata da ricercatori
italiani, le tratte in fibra ottica estendevano di colpo e smisuratamente la loro portata,
fino a coprire il pianeta con la loro capacità di trasporto di bit quasi
illimitata. L'internet a larga banda ha tuttora un cuore italiano.
Tronchetti ebbe in cambio dalla Cordis quasi due miliardi di dollari. I 19 brevetti furono considerati dall’acquirente inattaccabili. Ma la Pirelli, progressivamente, perso questo suo principale patrimonio tecnologico, cominciò ad asciugarsi, e il suo business ottico a scomparire.
11 di quei diciannove brevetti erano opera di un docente del Politecnico di Milano, Mario Martinelli (e del suo gruppo). Ma a quei tempi gli accordi tra università e imprese erano a senso unico. Le seconde finanziavano la ricerca, ma avevano diritti esclusivi sui risultati delle stesse. Risultato: a Martinelli e al Politecnico di Milano non arrivarono nemmeno le briciole di quella maxi-vendita. E poi anni dopo, con il venir meno delle attività ottiche della Pirelli,anche il centro di Martinelli, vicino al Politecnico, fu costretto a chiudere.
Fu una lezione indimenticabile per i ricercatori e anche per il vertice di piazza Leonardo. E fu così che, 14 anni fa, quando un giovane docente che studiava venture capital e startup americane si presentò, senza molte speranze, con un suo progetto all’allora rettore Adriano De Majo trovò invece un’accoglienza inaspettatamente attenta.
<Andai da De Majo a proporgli di far nascere dentro il Politecnico un incubatore per nuove imprese, un’iniziativa eccentrica allora per un’università – racconta Sergio Campo dall’Orto, docente di economia delle imprese - lui mi disse subito. Non ci sono problemi, ma trovami i soldi. Era ancora sotto l’impatto dell’evento Pirelli. Possibile che produciamo così tanta ricerca e innovazione e poi qui non ne resta niente? Facciamoci crescere dentro le nostre nuove imprese, piuttosto>.
Campo dall’Orto si mise a girare, scartabellare, studiare. E alla fine trovò una legge, fatta dall’allora ministro dell’industria Pierluigi Bersani, la 266 per le aree dismesse. E, infilandosi nei finanziamenti ottenuti annualmente dal Comune di Milano, riuscì a far passare il suo progetto. Un acceleratore d’impresa in Via Durando, appunto una ex area industriale dismessa. Alla Bovisa, proprio dove il Politecnico aveva aperto la sua nuova sede distaccata.
<Ricordo che avviai una lunga trattativa anche con il vicesindaco Malagoli. Ottenni 500 milioni, anche per tutta la parte di struttura. Poi dopo quattro anni ottenemmo una seconda tranche di 499 milioni. Cominciammo a fine 99 e aprimmo nel 2000, alla presenza di Giuliano Amato>.
Da allora sono passati 14 anni. Sono arrivate e passate distruttive bolle speculative, crisi finanziarie, il crollo dell’informatica e delle telecomunicazioni italiane. Ma l’istituzione di Città Studi (nata da giovani imprenditori di un secolo e mezzo fa) non ha mai messo di credere, di studiare e di investire sulla creazione di nuove imprese.
<Oggi siamo a un modello a tre stadi: il pollaio, le camerette e poi dall’altre parte gli spazi d’impresa – spiega Campo dall’Orto – in questo stanzone dell’acceleratore li accogliamo, cerchiamo di capire se hanno davvero stoffa e determinazione e se sì gli diamo una stanza tutta loro. Quando cominciano a crescere se ne vanno qui di fronte, nei nuovi spazi attrezzati del PoliHub>.
Si perché allo storico Acceleratore d’Impresa del Politecnico da qualche mese si è affiancato un nuovo spazio, per 1.100 metri quadri attrezzati, chiamato PoliHub. Un investimento forte, una risposta alla domanda di fare startup che si è ingrossata vistosamente, nel mondo come in Italia.
<Ieri sono arrivati due ragazzi che vogliono emulare Fubless, una delle startup più incredibili che abbiamo. Fubless è nata qualche anno fa da un ingegnere gestionale che diceva: io non riesco mai a organizzare partite di calcetto. Prenoto il campo ma c’è sempre qualcuno che mi dà la buca. Se invece riuscissi a creare una community….. potrei giocare a calcio a Milano. Noi eravamo un po’ scettici, ma lui sosteneva che c’era un modello di business e si poteva crescere. Lo mandammo da Elserino Piol, allora il maggiore venture capitalist italiano, per un finanziamento. Ma lo cacciò. Lui imperterrito però ci investiva un sacco di tempo, andava avanti. Da allora è molto migliorato, fa le fotografie alla Panini, dà dei rankings ai giocatori, puoi scegliere i migliori su base locale. E così sono nate le partite Busto Arsizio contro Baggio, Bari contro Milano. Due anni fa siamo tornati alla carica con Piol, ha visto i tassi di crescita, ha guardato i tempi di permanenza degli aderenti al sito e gli ha dato in due ore 300mila euro. Con questi è iniziato il decollo. Oggi la comunità conta 300mila aderenti. Non solo in Italia, ma anche in Spagna, Francia e Inghilterra. Quest’anno sono andati a New York e ora preparano lo sbarco in Brasile. E ora qui sono arrivati quelli del Rugby. Voglio emulare Fubless. Loro hanno già una società, e vedremo subito di che stoffa sono. Però vogliono fare un commercio elettronico su prodotti per il rugby per la loro comunità e poi anche un’area riservata per comprare giocatori. Nessuno infatti sa che c’è, mettiamo, un giocatore di rugby disponibile a Palermo>.
Così per Neptuny, Fluidmesh Networks e Khamsa. Quattro tra le aziende incubate con la più alta crescita negli ultimi anni. <Oggi ne abbiamo 26 – dice Campo dall’Orto – ma non perdiamo di vista chi ha lavorato, anche per anni, da noi. Poche hanno chiuso, il tasso di sopravvivenza qui nell’acceleratore è dell’83%. E molte si sono trasformate. Se anche non hanno avuto successo sull’idea iniziale poi sono diventate società di consulenza o di servizi>.
Un caso è proprio Neptuny <nata nel 2000, è stata quattro anni nell’incubatore. Tra le prime. L’abbiamo seguita. Poi ll'ha comprati gli americani di Bmc. Erano partiti dalla misurazione delle pagine web, poi questa attività si è ridotta. E in velocità sono diventati specialisti di sicurezza informatica. Interessando la società americana. Ma il secondo socio di Neptuny nel 2010, ha deciso di ontinuare in Italia, fondando Moviri, e ora ha 100 persone. E’ stata la trasformazione più clamorosa. Si sono convertiti alla sicurezza informatica nel momento giusto>.
Molte startup trovano la via dell’estero, dell’acquisizione da parte di un’azienda internazionale. Altre invece hanno trovato strade al contrario. <Come la Factotum, una delle più interessanti startup che abbiamo avuto qui recentemente - dice Campo dall'Orto. Due architetti che sono venuti qui con un progetto di stampante tridimensionale. Noi li abbiamo aiutati a brevettare. Mentre si stavano laureando hanno costruito la stampante e ce l’hanno messa sul tavolo. E noi gli abbiamo fatto fare l’involucro esterno. Il prodotto era completo, anche piuttosto carino. L’abbiamo messa in vendita su una piattaforma di crowdfunding, Indiegogo, tanto per provare. Hanno raccolto in due mesi 588mila euro di ordini. Record europeo per raccolta su piattaforma Usa>.
E qui emerge un limite degli incubatori. <Quando hai venduto 600 stampanti, poi le devi fare. Devi avere lo spazio per una linea di produzione. Qui entra in gioco Euroimpresa, con il suo incubatore industriale. Ricavato dentro l’Ansaldo-Franco Tosi a Legnano. Un’iniziativa unica nel suo genere. A metà strada tra l’incubatore e la fabbrica>.
Oggi, con l’avvio di PoliHub in via Durando 39, si sta creando lo spazio per almeno altre 50 startup (obbiettivo oltre 200). <Con un approccio diverso rispetto a prima – continua Dall’Orto – dal privilegiare tecnologie e idee provenienti dal Politecnico siamo passati ad un approccio aperto>. PoliHub è una società autonoma, non più dipendente dall’amministrazione dell’Università, che fornisce servizi ai nuovi imprenditori: seminari e workshop su argomenti come lo sviluppo dei business model, marketing, risorse umane, sviluppo dei prodotti e finanza. Oltre a servizi comuni, come la comunicazione e servizi amministrativi. <Se vuoi che funzioni, alle startup devi dargli aiuto, sostegno, tutoraggio, mentoring, raccolta di fondi…>.
Piano piano le nuove strutture si stanno popolando. <E l’offerta non è soltanto per i giovani. Ma anche per imprese già consolidate che vogliano aprire una sede vicino al Politecnico, magari per la ricerca e sviluppo>.
Mancano solo due anelli, secondo Campo Dall’Orto. <Il primo è un luogo con gli spazi necessari anche per la produzione fisica. L’esperienza di Factotum è eloquente. Si sono dovuti trasferire a Legnano. A oltre 10 chilometri di distanza E questo significa, per noi e per loro, perdersi progressivamente di vista>.
Il secondo <è qualcosa che nessun acceleratore italiano ancora ha. Risorse autonome. Mi spiego: Il nostro modello, per Polihub, è quello di "The Hub Venture" di San Francisco. Dove ai ragazzi danno un grant di 25mila dollari per partire, poi li portano dai Venture capitalist e recuperano la cifra iniziale. Noi invece abbiamo un notevole problema di risorse iniziali, quei 50mila euro che potremmo mettere sulle imprese all’inizio. Invece gli imprenditori ci riconoscono una cifra differita sui servizi di incubazione, poi li portiamo dai Venture Capital sperando che tutto funzioni. Ma è una gran fatica. Se invece potremmo disporre di un nostro fondo di investimento, mettiamo da 30 milioni di euro, sarebbe tutto diverso>.
La legge sulle startup di Corrado Passera del 2012, prevedeva un impulso pubblico sul venture capital. Ma finora questa parte del Ddl (l’unico non a costo zero) è rimasto fermo al palo. C’è quindi solo da augurarsi che qualcosa si muova.
Beppe Caravita
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Puntate precedenti:
Come crearsi il lavoro in piena crisi
Tre acceleratori d’impresa, Avanzi, Working Capital di Telecom Italia e il nascente Hub del Politecnico. Ambiti dove cominciano e poi si consolidano decine di startup, nuove imprese lanciate sugli spazi del digitale in chiave sociale (Avanzi) o tecnologica (Telecom e Politecnico).Inoltre la zona offre sei aziende di coworking, per consentire ai giovani professionisti di trovare uno spazio condiviso di lavoro. Una nascente rete di opportunità e di buone pratiche che sta facendo scuola in tutta Milano, carceri inclusi.
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