Coworking, la rete anticrisi
A Mario Miraglia, veterano della consulenza nel management, piace raccontare una vicenda: “Molti anni fa tenere un ufficio singolo era costoso, specie per un giovane professionista agli inizi. E così un gruppo di loro decise di condividere l’affitto di uno spazio, il centralino telefonico, la segreteria, persino un computer che allora era astronomicamente caro e a schede perforate. Un bel gruppetto: c’era un pubblicitario, un esperto di marketing, di logistica, un esperto di finanza, un manager di risorse umane. E altri. Tutti sulle loro commesse. Lavorando fianco a fianco però si piacquero. E decisero di fare una società, quando si presentò un sostanzioso contratto con una multinazionale con sede a Parigi. Ora hanno filiali in tutto il mondo. La compresenza, come la chiamavamo allora, può portare a fenomeni inattesi”.
Certo, erano gli anni della ricostruzione e poi del boom. Ma anche oggi si respira, in una quarantina di punti sulla mappa di Milano, quello spirito. Ieri era detta compresenza, oggi si chiama coworking. I tempi mutano. I giovani architetti, web designer, programmatori, esperti di comunicazione (e persino musicisti e artisti) siedono spesso allo stesso grande tavolo con il loro portatile, condividono la rete Wi-fi, si confrontano, si appartano in salette riunioni regolarmente dotate di proiettore ad alta definizione. Lavorano, e sovente per lunghe, lunghe giornate.
Ma c’è di più, molto di più della sola condivisione a pagamento di uno spazio di lavoro, rispetto a un ufficio singolo che altrimenti costerebbe troppo caro.
“Il coworking non è un business center – nota Isabella Marchese, cofondatrice di Impresa Lab _ Sono una coworker dal 2011. E con una mia collega abbiamo avviato la nostra startup nel Cowo di Via Ventura 3, una delle prime aziende di coworking nate a Milano, nel 2008. Il Cowo è uno spazio condiviso. Ma anche, e soprattutto, popolato di persone. E’ anche una condivisione di valori. La possibilità di creare sinergie tra persone è la chiave. Quando abbiamo creato Impresa Lab, quello che abbiamo trovato nel coworking è stato inaspettato. Facciamo un lavoro in cui vedersi è sempre utile. C’è spazio disponibile e in fondo costa poco. Specie per una micro azienda di poche persone. Basti pensare alla messa in comune di servizi critici come il recupero crediti. Poi il coworking è flessibile. Si può confermare mese per mese, non è un affitto. E infine c’è la rete Cowo. Una rete che accoglie professionisti in tutta Italia senza limitazioni. Così le sinergie si creano quasi per caso.
Faccio un esempio: è stato molto positivo lavorare accanto a professionisti della comunicazione online. L’approccio ai social media per me e le mie colleghe è ora completamente cambiato. E ci serve. Non è una formazione strutturata. Ma un’osmosi spontanea. Da vicinanza”.
E infine c’è la “cowopizza”, periodica, ogni mese. Per passare assieme una serata piacevole, e anche con amici e colleghi esterni. Proprio per rinsaldare quello spirito di comunità che fa la differenza di queste aziende, che consente lo scambio di saperi e di competenze, e spesso anche l’avvio di progetti in comune. Con un effetto anticrisi evidente tra i giovani professionisti.
Per questo, nello scorso marzo, il Comune di Milano, insieme alla Camera di Commercio, decidevano di puntare i pochi fondi disponibili (220mila euro) sul coworking. In termini di voucher (erogazioni fisse annuali, per 1500 euro per coworker) e di altri incentivi per le aziende.
Di qui un programma che ha portato a un albo certificato di aziende milanesi di coworking e all’erogazione di circa 112 voucher, ciascuno capace di coprire all’incirca il 50% delle spese annuali di abbonamento ai servizi per un professionista. "Ma c’è ancora spazio per altre domande – spiega Giuseppina Corvino della direzione centrale Politiche del Lavoro e Sviluppo Economico del Comune – chi vuole deve inviare la domanda spiegando il proprio progetto di lavoro nel coworking. Finora il tasso di domande rigettate è stato quasi trascurabile".
Anche più interessante il quadro statistico che la Corvino ha delineato durante l’incontro organizzato mercoledì 4 dicembre scorso da Michele Sacerdoti, presidente della commissione lavoro del consiglio di zona 3 alla biblioteca Valvassori Peroni. L’avvio del sistema di incentivi ha fatto emergere una lista di aziende di coworking milanesi di tutto rispetto. Circa 38 startup, in massima parte non più vecchie di due anni. E tra loro nomi come Hub o Avanzi (via Ampere) che hanno più di 100 coworker ospitati. In totale circa 1500 giovani professionisti milanesi attivi in questi spazi condivisi. E la zona 3, con sei aziende di coworking attive (Avanzi, B&C, WorkON, Besanopolis, Monkey Business–Cowo, Ottofilm–Cowo) appare in testa per dinamicità del fenomeno.
Persino in un trend emergente – secondo Corvino – “ovvero i primi segnali di specializzazione di queste iniziative. Per esempio coworking a misura di musicisti o artisti. Fino a un futuro di possibili atelier, per non parlare di botteghe rinascimentali". Già ora Ottofilm accoglie quasi solo specialisti video. E c’è da scommettere che a Città Studi qualcosa di questo tipo sia in fase di incubazione.
“Quando queste aziende cresceranno è abbastanza prevedibile che svilupperanno un crescente ruolo da incubatori – osserva Corvino - sulle opportunità via via create dagli stessi coworkers”.
Ma è sull’arricchimento del lavoro, nella sua quantità e qualità, che si gioca il futuro della rete. E oggi il suo tasso di crescita a due cifre, sia in termini di aziende che di partecipanti, sembra proprio stare in una formula: “un gioco a guadagno reciproco e condiviso”. Che consente quantomeno di limitare i danni individuali dalla crisi. Sia in lavoro che in qualità della vita.
“I coworking non sono strutture chiuse – continua Marchese - Sarebbe una follia, si perderebbe tutto. E’ invece un luogo dove cambia la stessa concezione del lavoro. Non solo perché siamo liberi professionisti, agli antipodi del classico rapporto dipendente. Ma soprattutto perchè piano piano cambiamo il modo di pensare. E di rapportarci con gli altri. Per quanto mi riguarda sono nate importanti collaborazioni nel coworking. Noi ci occupiamo di finanziamenti alla ricerca e sviluppo in alcuni progetti europei. Oggi la nostra capacità di comunicazione su questi progetti è molto diversa dal passato”.
E’ quindi la rete dei coworker che fa la forza. Se n’è accorta Claudia Merlini, che ha affittato da settembre due scrivanie ad Avanzi ed è partita, con la socia, nel suo progetto. Si chiama www.coworkingfor.com. “E’ un sito e un motore di ricerca per mappare tutta la rete di coworkers italiani e oltre. Consente di prenotarsi spazi ovunque, e di promuovere persone o eventi. Dal maggio scorso si sono registrati circa 5mila utenti”. Una velocità notevole. Segno che fare rete è l’anima di questa attività condivisa.
E così l’antesignano, Cowo, che oggi associa un circuito nazionale di sedi e persino offre pacchetti di abbonamento che permettono ai professionisti in movimento di trovare sempre una postazione nelle varie città.
“Se però uno spera, come imprenditore, di fare tanti soldi aprendo una sede di coworking è meglio che si faccia passare l’illusione - spiega Filippo Rigoli, uno dei fondatori di WorkOn – forse tra tre anni, se le cose andranno bene e ci sarà la ripresa, sarà così. Per ora il dato saliente è il fascino di questa attività. Faccio un esempio: un architetto ha incontrato nel coworking un esperto di sicurezza. Il primo con un paio di progetti, il secondo con competenze cruciali. Li hanno fatti assieme, ciascuno per la loro parte, e i progettini sono cresciuti e cresciuti, per i clienti>.
Esattamente come avvenne tanti anni fa, dalle parti della Torre Velasca, ricorda Miraglia, quando la “startup” nata in un ufficio condiviso finì per prendersi tre piani della torre.
Giuseppe Caravita
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La prima puntata sugli incubatori e il coworking la trovate qui.
La seconda puntata è dedicata a
Piano C, una statup per aiutare le mamme