A Milano un nuovo regolamento sulla partecipazione

Che cosa prevede il documento ora allo studio presso l’assessorato? Sarà veramente uno strumento innovativo su cui basare la nuova partecipazione nella città? Lo chiediamo a Marianella Sclavi, antropologa tra le più note esperte di processi partecipativi a livello internazionale. ()
Marianella Sclavi
L’assessorato alla Partecipazione del Comune di Milano ha emanato la bozza di un nuovo “Regolamento per l’attuazione dei diritti di partecipazione popolare” che estende le materie soggette a processi partecipativi anche a nuovi istituti come il Dibattito pubblico, l’istruttoria pubblica e l’assemblea dei cittadini oltre al Bilancio partecipativo, al di là cioè di istituti quali l’iniziativa popolare, il referendum, interrogazioni, istanze, petizioni, consulte e udienze pubbliche già previste in Statuto.

Il testo del Regolamento è in via di ridefinizione grazie alla consultazione avviata dall’assessore alla Partecipazione Lorenzo Lipparini, che ha accolto diverse osservazioni - di cui si fa cenno anche nell’intervista qui sotto riportata - avanzate da un gruppo di esperti riuniti in video-conferenza il 20 maggio scorso. Ci si augura quindi che questa vicenda abbia sviluppi positivi.

Per approfondire vari aspetti di questa importante iniziativa abbiamo intervistato l’antropologa Marianella Sclavi.
Esperta di processi partecipativi e di democrazia deliberativa, è presidente dell’associazione Ascolto attivo, con la quale ha diretto ad esempio tutta l’esperienza di riqualificazione partecipata dell’ex ospedale militare di Napoli .
Tra le sue numerose opere, ricordiamo Arte di ascoltare e mondi possibili (Le Vespe 2002) e - scritto insieme a L. Susskind -Confronto creativo. Come funzionano la co-progettazione creativa e la democrazia deliberativa. Perché ne abbiamo bisogno (Ipoc 2016).


L’assessore alla partecipazione Lorenzo Lipparini ha chiesto ad alcuni esperti, tra cui lei, un contributo di riflessione e proposte su questo progetto di Regolamento. Qual è la sua opinione in proposito?

Non è sufficiente, anche se molto lodevole aggiungere istituti partecipativi più recenti rispetto a quelli tradizionali. La pandemia ha reso evidenti i profondi cambiamenti nelle interconnessioni locali, e internazionali avvenuti negli ultimi decenni e la profonda inadeguatezza delle strutture di governance del territorio vigenti. Compito di questo Statuto è porsi in modo esplicito come il garante di un cambiamento che getta le fondamenta (sulla base della Costituzione Italiana che si rivela straordinariamente attuale) di una democrazia che funziona nella complessità.
Delle pure e semplici aggiunte al vecchio impianto, in questo quadro, risultano asfittiche.


In un documento da lei presentato, una prima critica riguarda il linguaggio. Può spiegare di che si tratta?

Gli Statuti precedenti erano fondamentalmente dei dispositivi tesi a difendere la amministrazione dalle possibili interferenze e critiche da parte della società civile (la famosa dimensione "autoritativa" del potere e delle procedure pubbliche), e a garantire la irresponsabilità generale (della amministrazione e in larga misura anche del potere politico) relativamente agli esiti delle politiche messe in opera.
A questo fine il linguaggio rituale “giuridichese” e avvocatesco andavano benissimo. Le cittadine e i cittadini del XXI secolo leggendo questo Statuto devono poter toccare con mano che la qualità della convivenza e il senso di comunità non è un’impresa del solo Comune, è una IMPRESA COMUNE, che "lo stato siamo noi".
Devono essere invitati a visitare una democrazia desiderabile, che ha bisogno del loro contributo critico e costruttivo.
La stesura di questi testi deve smettere di essere un monopolio dei giuristi e in particolare dei professori ordinari di diritto pubblico. Questo in Italia, al contrario di quasi tutti gli altri Paesi occidentale, è rimasto una specie di tabù. È un salto di civiltà enorme che dobbiamo fare in Italia.


Lei ha sostenuto la necessità di inserire a livello di Statuto comunale, e non solo di Regolamento, il concetto di democrazia deliberativa, che va oltre quelli già presenti di democrazia rappresentativa e diretta. Cosa comporterebbe questa scelta?

I motivi per cui è preferibile la dizione "democrazia deliberativa" rispetto a quella più generica di "democrazia partecipativa" sono due: prima di tutto perché anche la democrazia rappresentativa e quella diretta sono "partecipative", ognuna a modo suo. In secondo luogo perché il termine "deliberativo" riguarda il cuore del cambiamento da promuovere, ovvero la tensione verso un esito qualitativamente più soddisfacente per tutte le parti in causa, raggiunto grazie a dinamiche di gruppo e procedure diverse da quelle "parlamentari". La "democrazia deliberativa" si basa sulla trasformazione delle diversità in risorsa progettuale. Una sintetica definizione della finalità della democrazia deliberativa potrebbe essere: “superare la tirannia della maggioranza attraverso un processo democratico inclusivo, nel quale l’ascolto delle minoranze e la fiducia nella creatività del gruppo sono le due regole principali”.


Una parte assai consistente dei rilievi critici - mossi non solo da lei ad esempio nel video-incontro del 20 maggio scorso tra assessorato ed esperti - ha riguardato il tema complesso della “terzietà”, che comprende il ruolo del previsto Collegio dei Garanti ma anche in generale la necessità di un’autorità terza - tra cittadini e pubbliche amministrazioni - con ruolo super partes nei processi deliberativi, ad esempio garantendo l’autonomia del ruolo dei facilitatori. Tutto ciò era assente nella bozza iniziale del Regolamento?

Così come il "burocrate" è stato il perno nella costruzione dello stato moderno, il facilitatore lo è per lo stato post-moderno. Tale figura e competenza, proprio perché recente e vitale, deve trovare una sua collocazione nello Statuto. Nello Stato post moderno diventa chiaro che la Pubblica Amministrazione pur avendo come missione quella di far valere l'interesse generale, è anche sempre "parte in causa", ha dei propri vincoli e interessi che devono confrontarsi con quelli di tutti gli altri stakeholders.
Il compito di organizzare e gestire questo confronto è ricoperto dalla figura terza del facilitatore. Il che non toglie che la decisione finale rimane nelle mani del potere politico elettivo e che la PA abbia la responsabilità della sua implementazione. In altre parole: l'interesse generale è l'esito di un confronto creativo fra tutte le parti in causa e questo confronto richiede competenze specifiche (in Italia esistono ormai parecchi Master che formano facilitatori) relative alle dinamiche di gruppo, la gestione dei conflitti, la co-progettazione creativa e una nuova figura istituzionale.


Nel documento da lei preparato fa un confronto tra la Legge Toscana sulla partecipazione e questo Regolamento milanese. Può riassumere le differenze?

Le differenze sono parecchie e a mio giudizio tutte a favore della Legge Toscana. Vanno dal modo in cui è stato concepito l'Istituto dei Garanti al modo partecipato in cui la legge stessa è stata elaborata. Mi limito a un paio di accenni. Nella Legge Toscana si parla senza timore o reticenza di "democrazia deliberativa". E poi la sua stesura è stata varata con un Town Meeting del XXI secolo ( assemblea che opera per tavoli di max una decina di persone) di 500 persone rappresentative sia delle PA che dei cittadini.


Come proseguirà l’iter di questa iniziativa presa dal Comune di Milano?
Lei ha proposto di sottoporre la nuova bozza di Statuto (o di Regolamento?) a un Tavolo di confronto creativo che coinvolga i cittadini nella sua stessa formulazione.
Ritiene attuabile questa proposta?

Attuabile lo è di sicuro, basta volerlo e deciderlo.
Come ho già detto è ora di smettere di pensare che la elaborazione del diritto sia esclusiva dei giuristi e che i cittadini debbano rassegnarsi a regolamenti la cui efficacia è fatta dipendere dalla loro estraneità alla realtà concreta della società. Tutto il nostro denunciare che "è colpa della burocrazia" rimane un puro sfogatoio se, rimaniamo prigionieri di regolamenti e procedure che qualsiasi persona di buon senso giudicherebbe da mentecatti e non le sostituiamo con altre forme più democratiche di elaborazione del diritto. Che esistono, sia in Italia (vedi per es. i Patti collaborativi) che nel resto del mondo.
La elaborazione di un nuovo Statuto è l'occasione da non perdere.

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