Principi e tecniche del gruppo di lavoro (II parte)

Proponiamo la seconda parte del contributo ricevuto da Sergio De La Pierre, con cui l'autore intende offrire spunti teorico-pratici circa la creazione e gestione di un gruppo di lavoro, impegnato nella progettazione partecipata in ambito territoriale. Dopo aver indagato la "dimensione plurale" dell'individuo, si esamina oggi la diversa natura dei gruppi e delle loro finalità specifiche.  ()
gruppi seconda parte web
Tipologie di gruppi
Come accennato, oggi si parla di "gruppi" e "lavoro di gruppo" in molti ambiti, così come assai diversificati sono gli approcci teorici.
Distinguiamo i gruppi a seconda dell’ambito di applicazione sociale e delle finalità.

a) Applicazione sociale
Oltre ai tre tipi “storici” esaminati nella prima parte di questa trattazione, dobbiamo oggi aggiungere:
l’ambito sociale (si tratta del lavoro del mondo vastissimo e diversificato dei gruppi di volontariato);
l’ambito territoriale/partecipativo, che è ovviamente quello privilegiato nelle nostre analisi sulla “democrazia partecipativa”, ma comprende una miriade di gruppi di lavoro legati ai progetti territoriali più vari: GAS, Banche del tempo, gruppi costituiti per i percorsi di Community planning e Community building, Bilancio partecipativo, progetti urbani di riqualificazione (es. Urban), contratti di quartiere, gruppi per la costruzione di luoghi di una nuova socializzazione (Casa del quotidiano, Case di quartiere costruite in tempi recenti ad es. a Torino e Milano).
Qui rientrano ovviamente anche i gruppi, soprattutto di cittadini, che hanno a che fare con l’associazionismo spontaneo “territoriale” o, viceversa, con l’impiego di tecniche di partecipazione progettuale (sulle quali ritorneremo in dettaglio): OST, Planning for real, ecc.

b) Finalità
Ogni gruppo esiste in quanto i suoi membri hanno un obiettivo comune. Specie nei gruppi di lavoro complessi, gli obiettivi possono coesistere e/o succedersi nel corso del lavoro, oppure alcuni possono diventare obiettivi strumentali all’obiettivo principale (perciò riprenderemo questa tipologia al punto II). Abbiamo dunque:
gruppi di discussione, per la scelta o valutazione di idee o progetti (qui rientrano ad esempio i focus group, ma anche riunioni tese alla risoluzione di specifici conflitti, oppure riunioni di valutazione del lavoro svolto, intermedie o finali);

gruppi di formazione, per l’acquisizione di competenze nei vari ambiti, attraverso la formazione “passiva” (lezioni frontali) o inter-attiva (varie tecniche di animazione, simulazione, giochi di ruolo, gruppi di addestramento). Kurt Lewin in particolare ha elaborato una metodologia importante per i Training groups (c.d. “T-groups);

gruppi di progettazione, per elaborare in modo condiviso progetti da realizzare (qui rientrano le tecniche di brainstorming, problem solving, la costruzione di tavoli progettuali negli ambiti più diversi di cui sopra al punto "a");

gruppi di produzione, così detti (in inglese spesso chiamati team) in quanto sono centrati su un compito operativo da svolgere. Sono in un certo senso i più semplici (ruoli, funzioni, leadership, obiettivi sono già pre-definiti), per cui in questa sede non ce ne occuperemo (tuttavia in ambito sociale potremmo inserire in questa categoria il gruppo di ricerca, dove persone già formate a monte portano avanti in modo organizzato un’attività di ricerca sociale già delineata nei suoi obiettivi e aspetti operativi. Un esempio importante è quello di un gruppo che conduce “indagini preliminari” nel momento di avvio di un percorso partecipativo).

La dinamica dei gruppi
Parliamo qui di una diversa classificazione dei gruppi (Di Nubila, che riprende altri autori italiani), che prende a criterio il diverso principio che ispira la dimensione relazionale interna. Tale classificazione ha anche valenza “evolutiva” nel senso che dalla prima alla terza tipologia cresce il grado di coesione interna al gruppo.

Un gruppo può dunque realizzare tra i suoi membri una situazione di:
a) interazione. Nel gruppo c’è sempre un obiettivo “comune”, ma esso consiste fondamentalmente nella soddisfazione dei bisogni individuali dei membri attraverso la relazione di gruppo (gruppi di self-help come gli Alcolisti Anonimi, gruppi terapeutici, ma anche a volte gruppi pedagogici e di formazione – ma avvertiamo che questi esempi potrebbero benissimo essere collocati nelle due tipologie successive, a seconda del grado di maturazione del gruppo). Si realizza comunque un primo livello di “coesione” del gruppo, si è già oltre una soglia di “indifferenza” tra i suoi membri (qual è il caso di un gruppo di viaggiatori in uno stesso scompartimento di treno, che costituisce una semplice forma di “aggregazione”);

b) interdipendenza. Significa la consapevolezza condivisa che ogni membro “è risorsa per gli altri”, il gruppo non è solo strumentale alla soddisfazione dei bisogni individuali, ma ciascuno sa di essere una risorsa per gli altri e reciprocamente, il gruppo dunque inizia ad assumere una sua prima forma di identità collettiva.

c) integrazione. Caratteristica di questa fase, come recita un testo di G.P. Quaglino (1992, p. 27), è “l’equilibrio tra la soddisfazione dei bisogni individuali e dei bisogni di gruppo, la formazione di un soggetto sociale autonomo che si attribuisce significato e che restituisce energie e risultati all’ambiente nel quale si è costituito”; si viene a creare una situazione che potremmo chiamare di “rete relazionale intersoggettiva” (da non intendersi come abbiamo detto all’inizio come una “realtà” separata dalla coscienza che ne hanno i soggetti, ma che tuttavia assume nella loro coscienza, appunto, anche una dimensione più nettamente “autonoma” rispetto alla realtà “individuale”). Nasce quello che molti chiamano lo “spirito di gruppo”.

Vale la pena riportare un brano ancora di Di Nubila: nella fase dell’integrazione (p. 62) vengono a crearsi le condizioni per lo sviluppo di situazioni particolarmente interessanti sia per gli individui che per l’intera realtà gruppale:
• l’integrazione sviluppa collaborazione;
• la collaborazione si fonda su relazioni di fiducia, sulla negoziazione continua e sulla condivisione delle decisioni e degli esiti del lavoro;
• la fiducia si sostanzia nella rassicurazione delle proprie capacità e in quelle degli altri;
• la negoziazione allarga il campo delle possibilità, delle alternative e della valorizzazione delle differenze;
• dalla negoziazione deriva la condivisione che incoraggia il contratto psicologico nel gruppo, fornisce significato al lavoro e consente di riconoscere nel risultato del gruppo il proprio contributo.

Sergio De La Pierre

Per saperne di più
Bion W.R., Esperienze nei gruppi, Armando editore 2004;
Bobbio L. (a cura di), A più voci, Edizioni Scientifiche Italiane 2004;
De Sario P., Professione facilitatore, Franco Angeli 2005;
Di Nubila R.D., Dal gruppo al gruppo di lavoro, Tecomproject 2000;
Gordon Th., Leader efficaci, Edizioni La Meridiana 1999;
Liss J., La valorizzazione della negatività: quando il facilitatore viene criticato, in De Sario 2005u, cit., pp.145-151;
Quaglino G.P., Casagrande S., Castellano A., Gruppo di lavoro. Lavoro di gruppo, R. Cortina 1992.



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