Democrazia deliberativa e democrazia partecipativa

Le due definizioni sono spesso confuse e usate in modo improprio. Cerchiamo di capire quali sono le differenze. ()
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Nell’ambito delle forme “nuove” di democrazia che tendono a superare i limiti profondi della tradizionale democrazia rappresentativa (citiamo, solo di sfuggita, la democrazia “diretta” e quella “associativa”) un posto di rilievo ha assunto, almeno da due decenni a questa parte, il ricco e complesso dibattito che ha cercato di ragionare sulle assonanze e differenze tra democrazia “deliberativa” e “partecipativa”. Dovendo restare nell’ambito del registro “divulgativo” di queste note, iniziamo con la necessaria precisazione terminologica sul termine “deliberativo”, che è una trasposizione meccanica dal “deliberative” inglese, dove però non significa “decisionale” come in  italiano, ma “discorsivo” (da “to deliberate”, discutere, soppesare). Dunque democrazia deliberativa è quel tipo di democrazia che mette al centro un confronto argomentativo tra i soggetti coinvolti, nell’ottica di ponderare i pro e i contro delle diverse opinioni, per giungere alla conclusione in base al principio del “miglior argomento”. 
   Anche la parola “partecipazione” ha un significato – che noi abbiamo già ampiamente illustrato – un po’ diverso da quello “di senso comune”: i percorsi partecipativi più virtuosi sono infatti quelli che restituiscono ai cittadini una quota di potere (empowerment) e quindi una capacità decisionale e realizzativa (per quanto parziale e circoscritta) che va oltre il semplice dibattito e confronto di opinioni opposte. Giancarlo Paba (2010, p. 93), nel definire la democrazia partecipativa come “progettazione interattiva”, così argomenta la differenza tra i due concetti:

“Sintetizzando in una frase la differenza tra democrazia deliberativa e partecipazione come progettazione interattiva, si può forse dire che nella democrazia deliberativa alla fine si vota o ci si accorda su una decisione, dopo avere argomentato, mentre nella partecipazione viene costruito un progetto (una cosa che per definizione non esiste ancora) e proprio perché non si vota, l’interazione deve diventare più spinta e intensa”.

Il problema si complica quando si passa ad analizzare i rapporti tra questi due approcci secondo la letteratura specializzata: se pochi sono forse gli autori che vedono un contrasto insanabile tra di loro, coloro che li considerano “conciliabili” si dividono tra quelli che, spesso inavvertitamente, li considerano addirittura sinonimi, e altri che non escludono un loro utilizzo differenziato all’interno di uno stesso percorso di progettazione partecipata, a volte “inglobando” uno dei due termini nell’altro. Esiste poi un tentativo di differenziazione (Bobbio 2006) che nell’evidenziare il diverso ambito culturale di origine dei due approcci (latino-americano per la partecipazione e anglo-germanico per la deliberazione), sottolineerebbe il carattere “caldo” della partecipazione di contro alla “freddezza” delle procedure deliberative. Ma la freddezza procedurale – ampiamente criticata ad es. da Paba nel testo già cit., che richiama le critiche al proceduralismo tecnicistico, all’insensibilità verso l’irrompere dei veri problemi sociali, al predominio dei tecnici/facilitatori nei percorsi progettuali – può solo in parte essere imputata alle dinamiche “deliberative” (in quanto incentrate su metodi rigorosi di confronto di argomenti), mentre nulla impedisce che essa emerga come limite, o visione metodologica, anche nelle procedure “partecipative” (si pensi a percorsi partecipativi non attenti all’emergere di conflitti inattesi).
   Cercando di schematizzare alcuni aspetti costitutivi dell’approccio deliberativo (riferendomi soprattutto all’ottimo e approfondito contributo di Guido Parietti 2013), si può dire che un percorso di democrazia deliberativa è caratterizzato da:
 importanza del pluralismo come principio costitutivo della società e fondativo del valore stesso del dibattito “deliberativo”;
 centralità del confronto argomentativo che deve portare a una decisione possibilmente condivisa in base al principio del “miglior argomento”;
 il risultato della “deliberazione” è migliore se i vari soggetti che vi partecipano hanno praticato la cosiddetta “modificazione delle preferenze”: cioè la risultante del processo decisionale è qualcosa di diverso dalla semplice sommatoria delle scelte originarie dei soggetti (cosiddetto principio “aggregativo” della democrazia rappresentativa tradizionale);
 su un versante più legato alle esperienze concrete, questi presupposti di individualismo plurale e comunicante conducono a privilegiare la partecipazione di soggetti singoli piuttosto che di soggetti organizzati: soprattutto nel mondo anglosassone, molte esperienze si svolgono attraverso la nomina artificiale di “minipubblici” spesso scelti casualmente, che si presumono rappresentativi dell’universo dei cittadini interessati a quel dato problema (elenchiamo soltanto, per ora, i “deliberative poll”, i “deliberative day” di matrice americana, le “giurie dei cittadini” tedesche, i “débats publics” francesi per la discussione pubblica sulle grandi opere ecc.).
   
Per contro, elementi costitutivi della democrazia partecipativa (anche riferendomi al saggio di Mazzuca 2010) sono:
 un orientamento a costruire relazioni progettuali “virtuose” (interattive dice Paba) con le pubbliche amministrazioni (il che non significa ovviamente prive di distinzione di ruoli e anche di conflitti); in ciò la democrazia partecipativa risente fortemente della sua matrice di origine nell’ambito della progettazione urbana e territoriale;
 un “orientamento ai risultati” intesi non solo come risultati “decisionali” (come nella democrazia deliberativa) ma soprattutto come risultati concreti, che possono andare fino al coinvolgimento dei cittadini nella diretta implementazione dei progetti. Lo stesso Parietti ammette che “perlopiù agli esperimenti deliberativi è stato riconosciuto un ruolo consultivo, mentre raramente i risultati delle deliberazioni vincolano le istituzioni dotate del potere d’implementarli” (p. 42);
 possiamo aggiungere che la democrazia partecipativa risente meno di quell’aria di artificiosità che può caratterizzare i “minipubblici” della democrazia deliberativa: è più incarnata nella realtà e nei suoi conflitti, i soggetti coinvolti (individui e associazioni) non possono essere selezionati con troppa puntigliosità statistica, restano incastonati nella realtà come nei suoi conflitti. La “freddezza” procedurale di cui abbiamo parlato sopra dunque non caratterizza di per sé la democrazia deliberativa, ma certamente il “calore” è più presente nei percorsi “partecipativi”.
   Detto tutto ciò, si può essere d’accordo con gli autori – ad esempio Lucia Mazzuca – che considerano non incompatibili i due approcci “deliberativo” e “partecipativo”. Innanzitutto perché non si tratta di sistemi “teorici” che nascono in contrapposizione l’uno all’altro: l’approccio deliberativo si caratterizza innanzitutto come critica delle insufficienze della democrazia tradizionale, e dunque apporta alla cultura di una “nuova democrazia” l’importanza della pluralità sociale come ricchezza da non “ridurre di complessità”, e del dibattito serrato e “paritario” tra i cittadini come contraltare all’assenteismo politico o alle contrapposizioni cristallizzate: tutti temi che non possono non interessare i cultori della democrazia partecipativa. Quest’ultima, d’altro canto, può “portare più avanti” gli esiti della democrazia deliberativa, nel duplice senso di “spingere” la presenza dei cittadini fino all’ottenimento di risultati concreti e tangibili, e di essere uno strumento fondamentale di innovazione della politica e delle istituzioni, fattesi più permeabili alle “insorgenze” della società civile (Perrone 2010)



Per saperne di più

Bobbio L.,  Dilemmi della democrazia partecipativa, in “Democrazia e Diritto”, n. 4, 2006, pp. 11-26;
Mazzuca L., Democrazia partecipativa e democrazia deliberativa: alcune riflessioni sul modello di Fung e Wright, XXIV Convegno SISP, Venezia, Università IUAV, 16-18 settembre 2010, paper;
Paba G., Corpi urbani. Differenze, interazioni, politiche, FrancoAngeli, Milano 2010;
Parietti G., La democrazia deliberativa. Una ricostruzione critica, Manifestolibri La Nuova Talpa, Roma 2013;
Perrone C., La partecipazione come policy instrument. Rituali deliberativi, incontri, apprendimento sociale, “Contesti. Città Territori Progetti”, n. 1, 2010, pp. 49-59.


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