I livelli della partecipazione (terza parte: "il potere dei cittadini")

Dopo i primi "gradini" della “finta partecipazione” e della “concessione”, in questo terzo e ultimo contributo sulla “Scala della partecipazione”,  parliamo finalmente delle forme che vedono i cittadini come veri protagonisti.
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Sulla scala della partecipazione dei cittadini della sociologa americana Sherry Arnstein, le forme “alte” di partecipazione, sono quelle in cui i cittadini possono sentirsi davvero protagonisti delle decisioni riguardanti i loro quartieri, i loro comuni, i loro territori. È il livello che Arnstein chiama del “Potere dei cittadini”, sebbene anche questo livello venga declinato secondo tre diversi “gradini” della scala:

1. La Partnership. Diversamente dal livello più basso (si veda il precedente articolo), in cui il potere istituzionale “concede” qualcosa ai cittadini (diritto di parola, informazione, consultazione, cooptazione), qui il potere si rende conto che deve cedere una quota effettiva di potere. L’elemento essenziale che distingue la partnership dalla semplice consultazione è il coinvolgimento degli abitanti fin dall’inizio del percorso progettuale, in modo da far loro conoscere tutte le opzioni in campo e lasciar loro anche la possibilità di proporne di nuove. Rispetto ai livelli successivi, tuttavia, resta il fatto che il potere “finale” – sia di definizione del progetto che della sua implementazione - resta nelle mani dell’istituzione (amministrazione comunale ad esempio), la quale può anche riservarsi un diritto di veto sulle proposte non di suo gradimento, e ciò, in genere, appellandosi al suo ruolo di rappresentanza generale nei confronti dell’intera cittadinanza.
Un’osservazione di Arnstein merita particolare attenzione: che cosa spinge un’amministrazione a passare da un livello consultivo a uno di partenariato, di condivisione almeno di una quota di potere, con gruppi di cittadini attivi?
La risposta del nostro autore è chiara: sono i “cittadini arrabbiati”, delusi dalle tante promesse di (finta) partecipazione del passato, a costringere nella maggior parte dei casi le istituzioni a passare a un livello più autentico di condivisione del potere.
Questo ci pare importante anche per chi vuole iniziare ex novo esperienze di democrazia partecipata a casa nostra: la scelta non è, semplicisticamente, tra una “vecchia” cultura della contestazione e della rivendicazione, e un nuovo atteggiamento collaborativo e di condivisione delle scelte. La scelta obbligata è spesso quella di imparare a gestire il delicatissimo equilibrio tra bisogni dei cittadini che ancora e inevitabilmente si manifestano in termini conflittuali, e la necessità di imparare col tempo a trasformare quel genere di tensioni in un “ambiente progettuale” nuovo, in cui entrambe le parti sanno ridefinire il proprio ruolo.
Molti percorsi di riqualificazione urbana (ad es. quello del quartiere S. Salvario a Torino di cui questo giornale ha già parlato) vanno in questa direzione, ma ciò vale anche per molti progetti (Contratti di quartiere, progetti URBAN e altri finanziati dall’UE ecc.) che fanno ormai parte di un patrimonio consistente di esperienze.

2. La decisionalità progettuale. Traduco così il “Delegated power” di Arnstein, per sottolineare come, nella definizione di alcuni progetti urbani e territoriali, almeno un aspetto del progetto stesso viene lasciato definire interamente ai gruppi organizzati di cittadini.
Qui acquista piena rilevanza il potere contrattuale dei gruppi organizzati, ma anche la dimensione negoziale tra istituzioni e cittadini per la definizione delle rispettive “quote” di progetto e dello stesso “progetto finale”.
Si potrebbe dire che in questo “gradino” della scala rientra il “Bilancio partecipativo”, dove ai cittadini del Comune viene lasciata l’intera decisione sulla gestione di una parte dei fondi comunali su problemi pre-definiti.
L’aspetto finanziario, in questo e nel successivo “gradino”, è importante perché l’amministrazione, nel cedere un’effettiva quota di potere (empowerment), deve provvedere sia i fondi necessari per il percorso partecipativo (stornandoli dagli “esperti”, unici suoi titolari in precedenza), sia per finanziare la fase successiva dell’implementazione, che dovrà rispettare anche la parte di progetto elaborata “dal basso”.
A questo livello, tuttavia, il potere decisionale che viene delegato resta sul piano “progettuale”, e non ancora di attuazione pratica dei progetti. Si tratta comunque di una fase più matura della democrazia partecipativa, in cui le tensioni conflittuali da parte dei cittadini normalmente tendono a diminuire.

3. La partecipazione implementativa, che è quella che Arnstein chiama “Controllo da parte dei cittadini”, ma che è meglio resa in italiano con altre espressioni, ad esempio “autopromozione progettuale”, “autogestione di comunità”, “democrazia diretta locale” e simili. Esiste una lontana origine di questo livello “più alto” della partecipazione nelle comunità “utopiche” che periodicamente si sono affacciate alla storia, ma assai più concreta e recente è la tradizione dell’autocostruzione in tante periferie del mondo, oppure le comunità basate sul microcredito, o in Italia le reti di GAS, i DES e via dicendo. Negli Stati Uniti esistono programmi di riqualificazione di ghetti urbani che finanziano l’intero progetto e la sua attuazione da parte di gruppi organizzati di abitanti.

Questo è il livello della partecipazione che suscita i più grandi entusiasmi e pare essere il livello più alto di “democrazia partecipativa”.
Tuttavia non se ne possono tacere alcuni pericoli: sul versante della società civile, i rischi di esclusione e di conflittualità tra gruppi che competono sullo stesso terreno senza regole chiare (qualcuno l’ha chiamata balcanizzazione); sul versante del rapporto con le amministrazioni pubbliche, può risultare che una “delega” totale di un certo problema a un gruppo di cittadini (per quanto debitamente finanziato, e anche rappresentativo), significa anche deresponsabilizzazione delle stesse istituzioni, e quindi rinuncia al loro ruolo di garante della dimensione “pubblica” degli stessi progetti messi in opera dai cittadini.
Qui si apre tutto il capitolo degli “spazi pubblici di nuova generazione”, sul quale torneremo in un prossimo intervento.


Sergio De La Pierre, del “Laboratorio di democrazia partecipata. Per un nuovo spazio pubblico”


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Re: I livelli della partecipazione (terza parte:
21/03/2013


Re: I livelli della partecipazione (terza parte:
21/03/2013 Anita Sonego
Complimenti per l'ottimo giornale !
Come faccio a saperne di più sul Laboratorio di democrazia partecipata? Grazie e buon lavoro. Anita Sonego


 
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