10 dicembre, Giornata internazionale dei diritti umani

Dialogo con Gianmarco Pisa, autore del libro “Fare pace, costruire società” (Multimage, Firenze, 2023). ()
palestina
A 75 anni di distanza dalla dichiarazione dell’Assemblea generale ONU siglata nel 1948 nel giorno dedicato alla celebrazione dei diritti umani parlare di pace sembra un’impresa senza speranza. Le tragedie umanitarie che si sono svolte all’indomani della seconda guerra mondiale non hanno mai avuto tregua, le vittime causate dai conflitti scoppiati da allora non si contano.
Oggi sotto i nostri occhi in Palestina si sta svolgendo lo sterminio di una popolazione civile inerme, indifesa, senza riguardo per bambini, donne, anziani, malati ad opera di uno stato sovrano che deliberatamente sta compiendo crimini di guerra perseguibili in base alle risoluzioni internazionali approvate dall’ONU. Crimini che avvengono con il sostegno degli USA, l’accondiscendenza degli stati occidentali, Italia inclusa, l’indifferenza di altri.
Il veto che gli USA stanno esercitando impedisce che questo eccidio possa venir pubblicamente condannato dall’assemblea ONU, che forze internazionali possano imporre una tregua in vista di una soluzione che non sia l’eliminazione della popolazione palestinese. Intanto lo sterminio continua e non si intravedono vie d’uscita, anche se una parte crescente della popolazione mondiale chiede il cessate fuoco e la fine del massacro in corso.

Paolo. Pongo allora una domanda a Gianmarco Pisa, operatore di pace, da anni impegnato nell’ambito degli interventi civili per la risoluzione dei conflitti e nella formazione di una cultura della pace come impegno concreto, è possibile costruire una pace in quest’epoca che ha perso sia a livello individuale, sia a livello sociale da parte degli stati sovrani di una buona parte del mondo la percezione dei diritti civili e del rispetto della vita umana?

Gianmarco. È vero che la percezione dei diritti umani si è indebolita, perfino il principio fondamentale del rispetto della vita e della dignità della persona è sempre più sfidato, e l’orizzonte della pace sembra allontanarsi sempre di più. La guerra di Israele contro la popolazione palestinese a Gaza sembra essere una tragica conferma: come hanno dichiarato gli esperti delle Nazioni Unite, le gravi violazioni commesse da Israele contro i palestinesi all’indomani del 7 ottobre, in particolare a Gaza, indicano un genocidio in atto. E tuttavia, è necessario impegnarsi, e non disperare: non perdere la speranza nel cambiamento, attrezzare nuovamente, anche in forme e modalità innovative, gli strumenti di tutela dei diritti umani e della pace positiva che abbiamo a disposizione, immaginare anche nuove iniziative e nuove pratiche di impegno concreto per la pace. Per questo, è opportuno partire dal presupposto che ciascuno e ciascuna di noi, nel proprio ambito di impegno, nello studio e nel lavoro, nelle proprie relazioni e nelle proprie attività, può fare qualcosa, perché, come ricorda Galtung, ad esempio, «Ci sono alternative!». Sia detto, ovviamente, senza enfasi e senza presunzione.
Costruire la pace è un impegno che riguarda tutti e tutte e, allo stesso tempo, ha a che fare sia con l’educazione e l’attivazione concreta contro la guerra e per la pace, sia con la realizzazione di una vera e propria «cultura della pace». Non penso solo alla fondamentale Dichiarazione universale dei diritti umani, che implica un impegno per tutti i diritti umani per tutti e per tutte: i diritti “storici”, i diritti civili e politici e i diritti economici, sociali e culturali, ma anche i diritti di “nuova generazione”, i diritti dei popoli e degli ecosistemi, i diritti digitali e dell’infosfera. Ma penso anche, ad esempio, alla risoluzione del 1999 dell’Assemblea generale che contiene la “Dichiarazione sulla cultura di pace”. Questa Dichiarazione inizia ricordando, non a caso, quel formidabile passaggio della Carta dell’UNESCO che ammonisce che «dal momento che le guerre iniziano nella mente degli uomini, è nella mente degli uomini che le difese della pace devono essere costruite». E continua precisando che «la pace non è solo assenza di conflitto, ma richiede un processo positivo e dinamico di partecipazione, nel quale il dialogo sia incoraggiato e i conflitti siano risolti in uno spirito di comprensione e cooperazione reciproca».

Paolo. Il mondo occidentale pretende ancora di essere un baluardo della democrazia, mentre non esita a sostenere l’uso delle armi e della guerra per risolvere le controversie. In democrazia si ricorre al confronto e alla negoziazione per superare i conflitti, invece che alla violenza ed alla forza.
L’assemblea dell’ONU non è più in grado di intervenire poiché non conta la maggioranza, ma chi può imporre un veto.
Evidentemente siamo già entrati in una fase storica in cui la democrazia è soltanto apparente, non sostanziale e dove la volontà popolare non può esercitare alcun potere perché il potere è nelle mani del più forte in grado di condizionare la vita di tutte e di tutti. Se è questa la via su cui siamo incamminati su quali risorse possiamo contare per non andare incontro ad un futuro dominato dalla violenza e dalla guerra. Come andare alla ricerca dell’equilibrio perduto?

Gianmarco. La questione della democrazia resta una questione cruciale, e si pone oggi anche in termini inediti rispetto al passato. Non è più solo una questione di “regole del gioco”, rispetto del diritto, protezione dello stato di diritto, etc. Tanto è vero che sempre più spesso le Costituzioni democratiche vengono svuotate dall’interno e che i processi decisionali vengono sottratti alla partecipazione pubblica e al controllo sociale e relegati in ambiti sempre più separati e ristretti. Oggi la questione democratica potrebbe essere forse declinata in due direzioni che non si escludono l’una con l’altra: primato della politica e protagonismo delle forze sociali, della società civile democratica. Diventa cioè una questione di democrazia effettiva, con partecipazione, inclusione sociale, giustizia sociale; e, sullo sfondo, una questione di “animazione democratica”, se solo pensiamo alla disillusione che circonda la politica, al disimpegno dalla partecipazione attiva, o addirittura alle cifre impressionanti dell’astensionismo. Solo per limitarci al caso italiano, alle ultime elezioni politiche ha votato meno del 64% degli aventi diritto; e ricordiamo bene il caso delle regionali dell’Emilia Romagna del 2014, in cui votò addirittura meno del 38%. Per tornare poi ai temi della pace e della «cultura della pace», utilizziamo tutti gli strumenti disponibili e attrezziamo tutte le forme di impegno positivo per rianimare il discorso sulla costruzione della pace, in un mondo sempre più sfidato dalla guerra e dalle grandi violazioni dei diritti umani. Sicuramente la Carta delle Nazioni Unite, come caposaldo della giustizia internazionale, e la Dichiarazione , un percorso universale dei diritti umani, che abbiamo già ricordato prima; ma anche la Dichiarazione sui Difensori dei diritti umani (risoluzione 53/144 del 1999) che definisce l’impegno a difesa dei diritti umani ovunque nel mondo. Pensiamo solo al suo articolo 1: «Tutti hanno il diritto, individualmente e in associazione con altri, di promuovere e di lottare per la protezione e la realizzazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali a livello nazionale ed internazionale».
Quanto alla seconda parte della domanda, c’è un riferimento, che mi sembra assai prezioso, alla «ricerca dell’equilibrio perduto». Anche qui può essere utile fare un riferimento a Galtung, che ci fornisce alcune tracce di lavoro assai promettenti: «costruire equità», e cioè individuare soluzioni di cooperazione, di giustizia sociale e di reciproco beneficio; «costruire armonia», e quindi empatia e condivisione; «riconciliare i traumi passati», e delineare la possibilità di un futuro nuovo e diverso; «risolvere i conflitti presenti», in senso positivo e trasformativo. In effetti, solo modificando le culture e le strutture profonde (pensiamo al capitalismo del nostro tempo e alla sua pulsione alla guerra), è possibile disarticolare il sistema al cui interno maturano condizioni e presupposti della guerra, e almeno avviarsi lungo un orizzonte più promettente di pace con diritti e con giustizia.


Il disastro umanitario a cui stiamo assistendo è di tale portata e gravità, ha sollevato tanta indignazione e dolore dovunque che ci sentiamo in dovere di mantenere un continuo impegno a combattere la violenza e perseguire la pace con qualche azione concreta. Lanciamo quindi la proposta di un ciclo di Laboratori per alimentare e diffondere una cultura della pace, ragionata e condivisa pubblicamente; la pace non si può dare per scontata, come la democrazia, va perseguita e costruita giorno per giorno. Questo impegno non può venire che da una società civile informata e consapevole capace di creare un’opinione comune libera e indipendente.
Ne parleremo allora prossimamente in tre incontri che riguarderanno:

1. Le parole per la pace - 24 gennaio 2024 on line
Per comprendere, comunicare e non mistificare la realtà.

e a seguire (date e orari verranno comunicati più avanti)
2. Il ruolo delle Nazioni Unite
Il diritto internazionale deve prevalere per garantire il rispetto dei diritti umani e non cadere nella barbarie dei tempi presenti.
3. Il ruolo della società civile
La costruzione della pace parte dalla difesa e dall’affermazione dei principi di libertà e indipendenza in una società democratica.

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