D.i.Re. Rapporto Grevio

Convenzione di Istanbul: Italia ancora lontana da una corretta applicazione. Particolare preoccupazione per l’accoglienza delle donne migranti, richiedenti asilo e rifugiate. ()
Nostalgia
SCHEDA REPORT GREVIO 2023
Un nuovo capitolo della procedura di monitoraggio dell’applicazione della Convenzione di Istanbul
in Italia.
Nel 2018, le associazioni di donne coinvolte nel contrasto alla violenza maschile alle donne
presentavano alle esperte GREVIO un primo rapporto sull’applicazione della Convenzione in Italia.
Il meccanismo di monitoraggio era appena iniziato. A distanza di 2 anni, le esperte del GREVIO
pubblicavano il primo rapporto sull’applicazione della Convenzione di Istanbul in Italia e il
Comitato delle Parti adottava le raccomandazioni più urgenti chiedendo all’Italia di adeguarsi
entro il 30.01.23.
Le principali criticità emerse sono:

1. Mancata attuazione del Piano nazionale, mancato coinvolgimento dei centri antiviolenza e
inadeguata gestione dei fondi (insufficienti)

Il Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne 2021-2023, adottato il 17
novembre 2021, è sostanzialmente inattuato. A parte il periodo di validità (2021- 2023), non vi
sono indicazioni circa i tempi di realizzazione delle attività previste, i soggetti responsabili e le
procedure amministrative che da attivare. Il previsto Piano operativo non è stato adottato.
La governance prevista dal Piano strategico riduce fortemente la partecipazione e disconosce il
ruolo dei centri antiviolenza e delle associazioni di donne e della società civile, con il rischio di non
adottare un approccio di genere, come invece richiesto dalla Convenzione di Istanbul.
Ancora una volta si deve rilevare che i fondi sono insufficienti (una media di 39.000 euro per
ciascun centro antiviolenza e 36.000 per casa rifugio), con gravi criticità in termini di tempistiche di
erogazione (in media 14 mesi).

2. Criticità nell’accesso alla giustizia e vittimizzazione secondaria
Come evidenziato dalla più recente giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani, in Italia
esiste ancora un enorme problema di mancato riconoscimento della violenza maschile contro le
donne, sia in sede civile che penale. Le conseguenze includono:

- una diffusa inerzia da parte dell’autorità giudiziaria nell’adottare misure a protezione delle
donne, dei loro figli e delle loro figlie,
- una bigenitorialità imposta anche in presenza di violenza,
- l’assenza di valutazione del rischio
- il mancato riconoscimento dei diritti umani delle donne.

La riforma Cartabia, nella parte riguardante il diritto civile, menziona le situazioni di violenza
contro le donne. Mancano tuttavia strumenti volti a verificare il grado di efficacia delle misure
introdotte a fronte di pregiudizi e stereotipi radicati e persistenti.
Per quanto riguarda le richieste di modifica della norma penale invocate dal Comitato della Parti,
la riforma Cartabia si è mossa in direzione opposta, ampliando le ipotesi di procedibilità a querela
e imponendo un criterio di esercizio dell’azione penale che rischia di impattare negativamente sui
procedimenti relativi alla violenza maschile sulle donne, che continuano a scontare tassi di
condanna estremamente bassi. Infine, malgrado l’intervento del Comitato CEDAW, non è stato
introdotto il tema del consenso nella norma che punisce la violenza sessuale.

3. Dati
Trasversalmente a tutte le sezioni del rapporto è emersa la difficoltà di reperire dati integrati e
comparabili sulle diverse dimensioni e aree afferenti la violenza maschile contro le donne e il suo
contrasto (mancano ad esempio i dati disaggregati per disabilità, i dati relativi ai procedimenti
giudiziari civili o i dati relativi agli ordini di protezione). L’introduzione della legge 53/2022 è un
passo avanti, che però necessità di molteplici interventi (ancora mancanti) per la sua
implementazione e non ha colmato alcune importanti lacune quali ad esempio i dati del sistema
giudiziario civile. L’ultima indagine generale sul fenomeno della violenza contro le donne risale al
2014, quasi un decennio fa.

4. Donne richiedenti asilo e rifugiate
Particolarmente preoccupante la situazione delle donne migranti, richiedenti asilo e rifugiateIl termine per adeguarsi è trascorso ed è iniziata una nuova fase del monitoraggio.
È stato pubblicato il secondo Rapporto delle organizzazioni di donne sull’attuazione della
Convenzione di Istanbul in Italia. Ancora molte le aree di intervento nelle quali lo Stato italiano è
carente.
Per il momento politico attuale, preoccupa in particolare la situazione delle donne migranti,
richiedenti asilo e rifugiate che arrivano in Italia - anche alla luce delle politiche annunciate dal
Governo in questi giorni. Nella maggior parte dei casi, queste donne hanno subito diverse forme di
violenza sessuale e di genere, sia nei loro Paesi di origine che in quelli di transito. Rimangono
esposte al rischio di violenza anche in Italia, dove alcune circostanze strutturali e il rischio di
isolamento sociale minano le possibilità di ricevere supporto per le situazioni che vivono.
Di fatto, le donne migranti, richiedenti asilo e rifugiate incontrano ancora barriere nell’accesso ai
servizi e in particolare, al supporto per le situazioni di violenza. Tra i principali ostacoli D.i.Re
evidenzia:
- la mancanza di un meccanismo di referral per la tutela e sostegno delle donne migranti,
richiedenti asilo e rifugiate in situazione di violenza, in grado di informarle dei propri diritti
e offrire supporto adeguato;
- l’assenza di personale formato, sia alle frontiere che nel sistema di accoglienza, rispetto
alle dinamiche della violenza;
- il limitato accesso alle informazioni sull’esistenza e il supporto offerto dai Centri
antiviolenza;
- lo scarso ricorso alla possibilità di rilasciare al permesso di soggiorno per le vittime di
violenza domestica (art. 18 bis).
“Preoccupano le misure securitarie dichiarate dal Governo” – dichiara Antonella Veltri, presidente
D.i.Re – Donne in Rete contro la violenza – “che limitano, o addirittura negano l’accesso al
territorio italiano, il diritto d’asilo o altre forme di protezione; tra queste” – continua Veltri – “desta
sgomento l’annunciato obiettivo di abolire l’istituto della protezione speciale, che è presente in
modo analogo in altri paesi UE, contrariamente a quanto recentemente dichiarato dalla Presidente
Meloni. Questo si tradurrebbe in un aumento delle persone irregolari in Italia, senza possibilità di
percorsi strutturati volti all’inclusione sociale, acuendo fragilità soprattutto dei gruppi più
vulnerabili - tra cui le donne - più facilmente reclutabili e sfruttabili dalle reti criminali nel mercato
del sesso, del lavoro irregolare e delle economie illegali” – conclude la presidente.
Il report è stato prodotto con uno sforzo di un gruppo di lavoro che ha saputo osservare e
approfondire le varie sfaccettature con competenza. Le associazioni che hanno contribuito nei vari
passaggi, insieme a D.i.Re – Donne in Rete contro la violenza sono:
● ActionAid Italia
● Associazione Italiana Donne per lo Sviluppo - Aidos
● Forum Associazione Donne Giuriste
● Forum Italiano sulla Disabilità - FID
● GIUdiT Associazione Giuriste d’Italia
● Esperte indipendenti (Letizia Lambertini)

COMUNICATO STAMPA
Meloni, lavoro femminile e migranti: il lavoro delle donne non è in antitesi con quello di chi arriva in fuga da guerre e carestie

“Ancora una volta le dichiarazioni della presidente Meloni contraddicono la realtà” – dichiara
Antonella Veltri, presidente D.i.Re – Donne in Rete contro la violenza – “ancora una volta le donne
vengono strumentalizzate per togliere diritti a chi fugge dalla violenza, da situazioni di guerra.

Questo Governo” – continua Veltri – cerca spesso la soluzione ai problemi del Paese, questa volta il
lavoro delle donne, nel respingimento di chi cerca rifugio nel nostro Paese. La disoccupazione
femminile non dipende da questo: si sa – ad esempio – che solo 6 donne su 100 trovano lavoro
dopo la maternità. La netta sensazione è che l’intento sia dividere il Paese, senza affrontare i
problemi con realismo e programmazione: aumenta l’occupazione femminile se non accogliamo
persone che sono costrette a lasciare il proprio Paese? A quale lavoro per le donne pensa Meloni?”
– conclude la presidente.

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