Il mistero delle liste di attesa e il divorzio tra Moratti e Fontana

Siamo a novembre, inizia uno strano periodo nelle strutture sanitarie lombarde. Le liste di attesa si allungano e quasi sempre le prenotazioni dei ricoveri e delle prestazioni ambulatoriali vengono rinviate a dopo San Silvestro, all’inizio del nuovo anno solare. ()
liste sanit
L’altro giorno, sono andato in una struttura privata per ritirare il referto radiologico per mio figlio ed ho assistito a un dialogo tra l’addetto all’accettazione e prenotazione e una anziana signora che, armata della ricetta “rossa”, chiedeva di essere accettata per usufruire, come suo diritto, di una ecografia. Ha ricevuto una pronta e cortese risposta: “le prestazioni della “mutua” sono esaurite, se vuole può farla a pagamento”. Scenetta che non mi ha certo meravigliato, sentendo altre testimonianze spesso riportate durante la trasmissione di Radio Popolare 37 e 2, diretta magistralmente dal Dott. Agnoletto, il quale ha detto che l’erogatore che non può assolvere la richiesta analoga a quella descritta è obbligato per legge ad indicare lui stesso centri diagnostici alternativi. Non mi sembra che esista una legge del genere e infatti la nostra anziana signora quando osò chiedere se esistevano nelle vicinanze altri centri diagnostici ricevette una risposta vaga (non potevano favorire la concorrenza!). Non so cosa abbia fatto dopo la signora, ma ho visto il suo smarrimento e senso di abbandono.

Il tempo è denaro!

Ora dicono che anche le Farmacie possono fare da intermediari per la prenotazione che comunque rimane un’impresa ardua di fronte all’arbitrio di risposte come quella citata. Oppure ai richiedenti viene data un’altra risposta: “Guardi, con la “mutua” l’attesa è di almeno due mesi, se vuole a pagamento possiamo farla domani o fra pochi giorni”.
Stessa cosa avviene nelle strutture pubbliche dove da anni è data la possibilità al medico dipendente di svolgere la libera professione a beneficio di pazienti che vogliono o possono pagarlo.
Gli erogatori privati stabiliscono la loro tariffa da pagare e, bontà loro, danno la possibilità di pagare una tariffa “slow” ridotta magari a prezzo di una attesa più lunga. Questo è il MERCATO. Questa è la libertà di scelta. Questo è il meccanismo per il quale il tempo diventa merce anzi denaro. Il tempo è denaro lo disse, sembra, Sir Francis Bacon. “Time is money” sentenziò quattro secoli fa e i nostri erogatori privati lo hanno ben imparato trasformando il tempo in merce.

Libertà di scelta?
Altri beni essenziali sono trasformati in merce: l’acqua, l’aria, ai trasporti sicuri ecc. ma per quanto riguarda l’attesa di cure sollecite non sempre si può scegliere, in quanto il tempo trascorso può essere fondamentale per il mantenimento della salute o per permettere la diagnosi e la cura della malattia. Gli economisti definiscono la domanda sanitaria come rigida, in quanto, spesso, non è rinviabile e che la scelta del “cliente” non è libera o elastica come per altri beni.
La libertà di scelta, tanto decantata nelle recenti e passate leggi regionali da Formigoni in poi, vorrebbe convincere la nostra “nonnina” può andare dove vuole, quando vuole e gratuitamente. Così si dice e si afferma nelle leggi nazionali dalla Costituzione in poi. Il problema è che nelle strutture pubbliche siamo ancora cittadini mentre in quelle private siamo clienti, anzi consumatori meglio se paganti o assicurati.

Programmare è possibile
La lunghezza delle liste di attesa viene ormai accettata come inevitabile e irrisolvibile. D’altra parte esiste in altre Regioni e in altri Paesi Europei. In teoria sarebbe semplice basterebbe basarsi sui consumi di prestazioni ambulatoriali dell’anno precedente e valutare la capacità “produttiva” dei vari erogatori pubblici e privati e con i primi fissare gli obiettivi e i secondi chiedere un preciso elenco di prestazioni in quantità e tipologia.
Magari, per le patologie croniche basterebbe la prenotazione programmata degli esami periodici. Sarebbe questa una programmazione in maniera che domanda e offerta coincidano.

Un “tetto” alle prestazioni
In Lombardia, diversamente da quanto prevede la legge, i contratti con gli erogatori delle varie tipologie di prestazioni (ricoveri, prestazioni ambulatoriali, cure residenziali e psichiatriche) non vanno troppo per il sottile. Per ogni tipo e per ogni gruppo o singolo erogatore viene fissato un budget annuale, solitamente uguale o maggiore di poco dell’annuo precedente. L’erogatore praticamente può decidere di erogare ai mutuati le prestazioni che vuole tra quelle prodotte, non superando quel budget in quell’anno solare.
In questo modo la Regione raggiunge l’obiettivo di non spendere di più del budget totale, l’erogatore, magari a fine ottobre, raggiunto il traguardo di budget non eroga più prestazioni o le rinvio all’anno successivo. Non importa se la domanda cresce di fatto la Regione opera un razionamento basato nemmeno sull’analisi se la prestazione fosse necessaria o meno, ma semplicemente per ragioni di bilancio.

Una giungla in cui… perder la salute
Il Medico di base da tempo sembra non svolgere più la funzione di “gatekeeper” ossia di guardiano della porta, di vigilante della necessità reale della prestazione. Per vari motivi: quasi tutti gli erogatori privati possono a loro volta prescrivere e anche molti medici specialisti. Oppure a seguito della richiesta impropria di prestazioni da parte dell’interessato o dei suoi famigliari. Insomma una domanda e un’offerta non governata, non programmata permette la jungla in qui il paziente deve navigare per essere curato.
Cura che diventa un mosaico di prestazioni: la lastra da una parte, l’esame del sangue da un'altra, poi il medico di base, poi il medico specialista, poi… un giro dell’oca con frequenti fermate determinate dall’attesa.

Questo sistema siffatto è figlio di una credenza ben radicata tra coloro che dirigono la sanità lombarda: il Mercato sanitario si comporta come quello delle zucchine dove domanda e offerta s’incontrano a seconda della scelta del consumatore.(!) Ma non è così; ed è per questo che venne creato il Servizio Sanitario Regionale e speriamo di conservarlo per noi e per i nostri discendenti.

Pazienti migranti
Qualcuno dirà che non è vero che le prestazioni sanitarie sono sempre urgenti o diventino questione di vita o di morte. Sempre in Lombardia (e anche in altre Regioni, ma in misura minore) è grande vanto dei governatori il fatto che esista un flusso emigratorio ininterrotto di pazienti da altre regioni per essere curati nelle strutture soprattutto private. La cosa frutta circa un miliardo a spese delle altre Regioni soprattutto meridionali.
Più o meno un quinto dei posti letto lombardi viene occupato da cittadini residenti. Non gratuitamente come disse qualche parte politica per avere guadagni elettorali. Il problema che questa spesa non è compresa nel budget, nel tetto fissato per i ricoveri o per le prestazioni ambulatoriali destinati ai residenti. Cosa succede che il non residente viene privilegiato e magari curato prima del lombardo doc.

Assoluta mancanza di programmazione
Recentemente in un convegno organizzato da Agenas (Agenzia Nazionale Servizi Sanitari Regionali) sono stati illustrati alcuni casi significativi. La casistica della sostituzione totale del ginocchio (con protesi) vede quest’anno circa 9000 casi trattati di cui 3500 provenienti da altre regioni. Di questo intervento complesso quattro su cinque sono effettuate in strutture private (84%). I tempi di attesa rilevati, misurati come percentuale dei tempi di attesa previsti, sono del 90% per i pazienti extraregionali e del 75% per i residenti lombardi. Per la sostituzione dell’anca i dati dei tempi di attesa sono simili. Per i ricoveri programmati oncologici (e qui è veramente importante il tempo) il rispetto dei tempi di attesa è all’85% dell’attesa in tutte le strutture sia pubbliche che private.

In generale però per il numero dei posti letto per mille abitanti ( dato che pone l’Italia a più bassi posti nel mondo), la Lombardia non ha certo un numero di letti superiori del 10-15% destinati a pazienti di altre Regioni.
Questo dato e altri accennati dimostrano che un sistema sanitario non può essere gestito senza programmazione lasciandolo alle leggi selvagge del mercato e del profitto. Senza contare cosa è successo nel corso della pandemia in cui è cresciuta la domanda di test e di cure solo in parte soddisfatta dalle strutture pubbliche e spesso accolta da quelle private a pagamento. Alzi la mano chi, morso dal dubbio di avere contratto il Covid, non sia corso a sottoporsi al test a pagamento.

Non c’è limite al peggio

Purtroppo, non c’è limite al peggio, il nuovo Governo smantella di colpo ogni minima tutela creata per prevenire i contagi. Anticipa la riammissione dei medici no-vax nelle strutture pubbliche e private (ospedali e RSA) e stava levando l’obbligo della mascherina anche negli ospedali e nelle RSA. Tant’è che anche l’Assessore Moratti si è dimessa per aperto contrasto con Fontana dichiarando tra l’altro “Credo - continua l'ormai ex vice presidente della Lombardia - che se oggi il Paese è in sicurezza per quanto riguarda il covid, lo dobbiamo senza alcun dubbio all’adesione massiccia alla campagna vaccinale dei mesi scorsi, riuscita grazie allo straordinario senso di responsabilità civica dei cittadini lombardi, così come all’enorme impegno di medici, infermieri, militari, protezione civile e volontari, protagonisti di un processo che ha portato la Lombardia ad essere tra le prime aree al mondo per adesione e copertura. Un successo di cui essere fieri e che ora viene messo in discussione da provvedimenti che non condivido".

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