Agenti a l’Avana

Regione Lombardia e RSA. Un vuoto assistenziale colmato dai privati, senza alcun obbligo di trasparenza, né di responsabilità sanitaria. ()
nostro 12
Prologo
Chissà perché - l’interessato non me ne voglia - il nostro Assessore al Welfare Gallera mi ricorda il personaggio descritto da Green nel romanzo “Il nostro agente all’Avana” che pur di guadagnare qualcosa inventa dati e informazioni per MI6 (i servizi segreti inglesi). Alla fine, pur di non sbugiardare il falsario e rendere pubblica la falla, il Governo inglese lo gratifica con carica e retribuzione fissa.
Si può fare anche un'altra associazione ardita: il titolo del romanzo mi porta a chiedermi “ma Gallera e Fontana di chi sarebbero agenti?”. La risposta sembrerebbe ovvia: dovrebbero, in base alle leggi e alla Costituzione vigente, rappresentare gli interessi del popolo lombardo. Più precisamente dovrebbero essere i garanti e i tutori della nostra salute. Quali alti funzionari pubblici dovrebbero gestire al meglio le copiose risorse destinate all’assistenza sanitaria e sociale dei 10 milioni dei cittadini da loro governati. Dovrebbero governare il sistema sanitario formato da 200 ospedali (circa metà privati) e dovrebbero distribuire (e controllare come vengono utilizzati) i quasi 19 miliardi (80% del bilancio regionale) che lo Stato ha assegnato per quest’anno.
Viene il sospetto, però, che le scelte fatte dalla coppia siano state fatte con altri intendimenti o almeno con altre finalità. Proviamo ad anellare gli indizi: non preparazione del piano pandemico, non ordinazione e distribuzione delle mascherine a febbraio, ritardo distribuzione vaccini antinfluenzali e acquisto a prezzi maggiorati, ritardo nella requisizione dei letti privati e di strutture per ricoveri temporanei, blocco attività non Covid ospedali pubblici ecc. L’elenco sarebbe lungo. Senza contare gli episodi grotteschi - con rilevanza forse penale - della finta donazione di tute fornite dal cognato e la fabbricazione delle mascherine “mutande”.
Il filo rosso che congiunge questi e altri elementi in corso di accertamento da parte della magistratura, sembra essere la volontà perseverante di favorire gli interessi degli agenti privati. Tetragoni nella ideologica e politica convinzione che esiste una coincidenza totale tra questi “interessi” e la difesa della salute dei cittadini lombardi.

La storia
Per confermare questa suggestiva teoria voglio raccontarvi una storia fresca, fresca che vede tra i protagonisti la Giunta Regionale (Gallera e Fontana in testa), la Direzione Generale del Welfare e le Associazioni dei gestori, proprietari delle strutture assistenziali (il cosiddetto settore socio-sanitario) della Lombardia.
Le sigle di questi portatori dei loro interessi, sconosciute ai più, sono: AGESPI, UNEBA, ANASTE, Alleanza Cooperative, Assiwelfare, Aiop ecc. Come un sol coro, il 25 settembre scorso, nel corso di un’accorata conferenza stampa si è alzato il loro grido di dolore.
La loro richiesta alla Regione è stata molto concreta: a causa della pandemia e il conseguente blocco degli accessi o il ritiro di molti ospiti da parte dei parenti, le RSA prevedono di perdere circa 200 milioni delle entrate previste, corrispondenti a 2 milioni di giornate di degenza. Non potranno così fatturare circa 80 milioni alla Regione e dovranno rivedere la previsione di 120 milioni di entrate provenienti dalle rette sostenute dagli ospiti o dalle loro famiglie. Chiedono dunque un “ristoro” corrispondente da parte della Regione in quanto il tasso di occupazione dei circa 65.000 posti letto delle RSA lombarde ha avuto una diminuzione del 20%. E stimano per il primo semestre una perdita di 180 milioni, più altri 20 per costi suppletivi per guanti, mascherine ecc.

Qualche dato per orientarsi meglio
• Attualmente la Regione corrisponde mediamente solo il 40% della retta (ovvero 40 euro media giornata) rispetto al 50% definito dai livelli di assistenza e dalle leggi nazionali.
La differenza del 10% finisce a carico dell’ospite o della sua famiglia che pagano quindi circa 3.600 euro in più all’anno che dovrebbero essere corrisposte dalla Regione.
• Questi Enti gestori non hanno nessun obbligo di presentare bilanci e spiegare come vengono erogate le risorse, soprattutto quali sono i tipi di rapporti di lavoro e quale è il livello della qualità e della quantità assistenziale.
• Per i 72.000 dipendenti (stima) sanitari delle RSA non si conosce quanto sia il ricorso al lavoro precario, subappaltato o quanti siano gli effettivi minuti di assistenza per ogni ricoverato.
• Una parte di loro sono di proprietà di società multinazionali o di gruppi finanziari nazionali dunque la loro finalità è dichiaratamente il profitto.

Alberghi o case di cura?
Sicuramente la pandemia ha disvelato molte criticità e fragilità di questo tipo di assistenza residenziale che si è gonfiata in maniera abnorme (+20000 posti dal 2010), si è trasformata e privatizzata come se fosse un’attività alberghiera. Ora i gestori privati lamentano che i loro ospiti sono sempre più ammalati e hanno bisogno di cure che la struttura definita dall’accreditamento regionale non può somministrare.
Di fatto, le RSA e le strutture semiresidenziali stanno coprendo una domanda che non è più da tempo garantita a livello territoriale perché gli anziani e gli ammalati cronici non trovano assistenza né dagli ospedali né dalla medicina di base.

Una buona opportunità
In questo grande “vuoto” del sistema lombardo, gli investitori hanno pensato d’inserirsi cogliendo l’opportunità del profitto. Tra loro e la Regione finora, a parte le loro proteste di giugno, c’è stato il tacito patto di scaricare molti costi sulle famiglie che devono, tra l’altro, firmare un contratto privatistico.
Ora tutto il sistema dell’assistenza residenziale è in crisi e il meccanismo di profitto o di pareggio dei costi è insostenibile. E in più c’è la crescente carenza di personale qualificato, in fuga verso gli ospedali pubblici e privati.
Ecco che allora, vantando il loro ruolo sociale se non missionario, i gestori chiedono un ristoro delle perdite del primo trimestre di almeno 80 milioni per quest’anno. Chiedono anche un finanziamento diretto o indiretto per l’adeguamento tecnologico per affrontare in parte il miglioramento della qualità assistenziale e per sostenere i costi per il personale.
Di fronte a questa richiesta di soccorso la Giunta Regionale non si è fatta attendere ed ha varato un progetto di legge che riconosce a tutti i gestori una integrazione del contributo regionale per complessivi 50 milioni per quest’anno e altrettanti per il 2021 (senza che vengano peraltro previste riduzioni delle tariffe a carico dei pazienti).

Epilogo
A mio parere è un altro episodio della cosiddetta collaborazione pubblico-privato che da 25 anni vede la Regione sussidiare l’espansione dell’intervento privato nel fornire le prestazioni assistenziali. Strana collaborazione che vede flussi di finanziamento senza una motivazione e una contabilizzazione precisa, senza un controllo tra soldi erogati e servizi prestati, salvo ispezioni formali preannunciate.
Tutte queste strutture non forniscono i dati di bilancio le quantità dei servizi prestati, la spesa farmaceutica e per il personale. Se fossero pubbliche dovrebbero essere trasparenti, dovrebbero essere responsabili del livello di assistenza prestata. Sul palco del dramma vissuto da migliaia di persone, che hanno visto i propri cari soffrire in solitudine e morire, abbiamo visto il balletto delle responsabilità, su chi doveva fornire le mascherine agli ospiti e agli operatori in assenza di piani di emergenza regionali e degli Enti proprietari. Purtroppo rischiamo di rivedere una riedizione, speriamo ridotta, di questi drammi e del rimpallo delle responsabilità. Gli agenti all’Avana per chi lavorano?

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