Sanità Regione Lombardia: tamburi lontani in un autunno incerto

Prima delle vacanze sulla gestione della sanità da parte di Regione Lombardia pareva soffiasse un terribile uragano. Commissariamento, commissione d’inchiesta del consiglio regionale, indagini della magistratura, una legge 23 che andava in scadenza ad agosto… E ora, che succede? ()
sanità Lombardia
Tutta la stampa e l’opinione pubblica sono concentrate sul rientro a scuola.
Giusto! La salute dei bambini e degli adolescenti deve essere oggi la prima preoccupazione. Invece un velo oscuro è sceso sulle vicende passate, presenti e future del Servizio sanitario lombardo.
Ricordiamone alcune.

Il commissariamento ad acta della gestione sanitaria della Regione non avverrà, sia per timidezze governative sia per non creare ulteriori conflitti tra Governo e Regioni.
Gallera e Fontana, da molti accusati di incapacità e responsabilità della strage avvenuta nei vari focolai lombardi, si sono auto-assolti e rimangono al loro posti imperterriti senza nemmeno una formale autocritica; capro espiatorio il Direttore generale e operativo Cajazzo, promosso a più alta carica non operativa, segretario generale della Regione con delega all'integrazione sociosanitaria (dicevano i latini: promoveatur ut amoveatur, NdR).

Commissione d’inchiesta sul Pio Albergo Trivulzio: i deceduti sembrano da addebitarsi all’assenteismo degli operatori.
Commissione regionale interna nominata da Fontana: nulla si sa, ma l’assurdo è che dovrebbe inquisire chi l’ha nominata.
Commissione consiliare chiesta e ottenuta dai Consiglieri di opposizione: forse decollerà, dopo le manovre dilatorie della maggioranza, forse entro settembre.

Queste le notizie dal Palazzo, sempre più distante dalla popolazione che 'gioiosa' per la guarigione dell’ottuagenario di Arcore, è percorsa da paure ed incertezze.

Com’è ora la situazione negli ospedali pubblici?
Non si conosce ad esempio qual è la situazione negli ospedali pubblici lombardi. Fortemente ridimensionati i reparti chirurgici e medici nel periodo marzo-maggio per fare spazio all’emergenza COVID; depauperate da tempo di risorse, le strutture pubbliche fanno fatica a recuperare tutti i malati affetti da altre patologie acute e croniche. Quante prime visite e di controllo sono 'saltate' e quante recuperate? Non troveremo da nessuna parte una risposta. Il Governo ha chiesto alle varie Regioni la predisposizione di un piano organizzativo ospedaliero per il prossimo autunno in previsione di una riaccensione della pandemia. Rimangono le strutture create alla Fiera di Milano e di Bergamo, e rimangono potenziate tutte le terapie intensive con il raddoppio dei letti attivabili.
Cominciano ad arrivare finanziamenti governativi per potenziamento tecnologico che dovrebbero assicurare almeno una migliore risposta nel caso di un nuovo piccolo o grande tsunami come venne definita la pandemia mal affrontata nella primavera. Le strutture private, presentate come salvatrici volontarie, hanno ricevuto ampie retribuzioni del loro aiuto e hanno potuto continuare larga parte della loro attività.

Ritardi di fornitura del vaccino antinfluenzale
Sta intanto lievitando una probabile emergenza che certo non ci riassicura: la maggioranza degli esperti raccomanda l’estensione della vaccinazione antinfluenzale suggerita e gratuita ad altri settori di popolazione, oltre quelli precedenti 'a rischio', ad esempio molti lavoratori esposti o frequentanti spazi con molti utenti. Il Governo ha sposato questa tesi e molte Regioni stanno rendendo operativi i piani di vaccinazione. In Lombardia è annunciato un ritardo di fornitura anche rispetto all’anno passato, senza virus. Come è avvenuto per le mascherine e gli altri dispositivi di prevenzione, i bandi di acquisto - predisposti dalla giunta - hanno visto assenti le ditte fornitrici in quanto tutte le riserve sono già state vendute. Si vedrà, come per gli esami sierologici e i tamponi, la cittadinanza obbligata a vaccinarsi a pagamento.

Il tracciamento ancora disorganizzato
I tamponi sono aumentati e l’attività dei laboratori è stata potenziata, ma il tracciamento dei positivi sintomatici e asintomatici è ancora disorganizzato, insufficiente. Anche qui la risposta dei laboratori privati è pronta e organizzata, e si ha la possibilità di farsi dare un responso certo, previo tampone a 125-150 euro. La pandemia - malamente governata per non dire altro - aumenta così le differenze di accesso alle cure tra chi ha la possibilità di pagare non solo per i tamponi, ma anche per assicurarsi cure e visite non rinviabili.

Il virus ha determinato in Lombardia circa 17.000 vittime, la metà di quelle italiane, un quarto – in rapporto alla popolazione – del Veneto. Quest’ultima Regione ha saputo arginare l’ondata meglio della Lombardia, dimostrando che molti lutti potevano essere evitati, non certo perché la popolazione e il virus fossero differenti, ma perché l’organizzazione sanitaria veneta, a differenza di quella lombarda, ha potuto e saputo organizzare una risposta efficace ieri, oggi e forse domani. Non certo per la preveggenza di Zaia o solo per le intuizioni di Crisanti, il Servizio sanitario veneto (e anche quello dell’Emilia Romagna) è riuscito ad arginare l’emergenza. Molti articoli nazionali ed esteri se lo sono chiesto.

Il tragico gioco dei numeri
Alcuni autorevoli sanitari del San Raffaele hanno assicurato ora che il virus non è più lo stesso ferocemente attivo in primavera oppure che in fondo la Lombardia in rapporto alla popolazione ha avuto la stessa mortalità di New York e Barcellona. Di conseguenza il ragionamento assolve tutti, da Gallera a Fontana, ai loro sottoposti incapaci e impreparati a porre rimedio.
Purtroppo altre conferme della mortalità eccezionale si hanno dai confronti ISTAT della mortalità riscontrata da febbraio a maggio rispetto all’anno precedente. Confronti che segnalano incrementi a Milano del 150% e a Bergamo/Brescia del 250%.

La legge regionale 23
La pandemia si dice potrebbe essere una dura lezione per determinare una correzione all’assetto delle cure lombarde, risultato di un venticinquennio di riforme che hanno generato un modello lombardo, ben lontano da quello definito dalla legge 833 del 1978 che ha varato l’assistenza sanitaria e sociosanitaria per tutti i cittadini. Di questa ormai incolmabile differenza si erano resi conto i Ministeri quando bocciarono l’ultima 'evoluzione' dell’agosto 2015: la tanto discussa legge Regionale 23. Legge tanto propagandata come solutrice di molte sfasature del sistema: dell’ospedale a sfavore delle cure territoriali, dell’assistenza agli ammalati cronici negletta rispetto a quella per i casi acuti ecc.

La 'presa in carico'
La 'presa in carico' è stata la principale innovazione strombazzata e propagandata anche con l’invio di 4 milioni di lettere ante elezioni. Consisteva in una nuova rete di gestori privati e pubblici che si prendevano in carico la popolazione cronica ' il trentacinque per cento del totale - quella a cui è stata negli anni riscontrata una patologia o più ad andamento cronico (ipertensione, diabete, malattie cardio-circolatorie ecc., per citare le più diffuse).
A fronte di questo ruolo con il quale la Regione, diversamente dalla legge 833, delegava a gestori soprattutto privati la responsabilità della cura di milioni di persone, per questo impegno veniva corrisposto un budget per ogni cronico superando il pagamento a prestazione. Per gli ospedali pubblici era quasi ininfluente il cambio di pagamento, mentre per i grandi operatori privati che controllano ormai il 40% dei ricoveri e il 45% delle prestazioni ambulatori erogate in Lombardia a residenti e a provenienti da altre regioni, sembra che non fosse conveniente questa innovazione che tra l’altro, dovrebbe prevedere una forte attività di controllo dei risultati.
Alla fine solo il 10% dei destinatari delle lettere sono stati presi in carico dai gestori, soprattutto cooperative mediche (90%) e sembra che abbiano qualche priorità nella prenotazione dei controlli. Per questa attività suppletiva rispetto a quelle convenzionate si ha un'aggiunta della quota capitaria o per ogni cronico arruolato.

Manca una rete territoriale e organizzata
Questa geometrica innovazione è dunque semi-abortita se non affondata nelle sue ambiziose finalità. Risultato: proprio la pandemia ha mostrato che la popolazione anziana e cronica è stata quella più colpita e computata tra i deceduti. Il motivo è proprio l’assenza di una rete territoriale organizzata diffusa in tutto il territorio, frutto di una programmazione e non di iniziative imprenditoriali orientate al solo profitto.
La legge 23 ha dettato tutta una serie di reti assistenziali che non sono state mai messe in opera, anzi quelle esistenti sono state dismesse sia come funzioni sia come attività. Nel Veneto ci sono ancora i Distretti che organizzano l’assistenza territoriale; in Lombardia sono stati trasformati in uffici democratici. Nel Veneto i Medici di base sono stati organizzati e supportati dai Distretti; qui, ora in solitario ora in gruppo, si sono trovati soli e senza nemmeno la fornitura del materiale necessario.
Si potrebbero fare molti esempi di soluzioni virtuose di altre regioni quali le Case della salute o gli Ospedali di comunità. Strutture, seppur con altri nomi, previste dalla legge 23 ma mai attuate, illudendo medici, operatori e cittadinanza dell’eccellenza lombarda, che nello spazio di tragici mattini si è drammaticamente dissolta.

Cambiamento o rattoppo perché tutto rimanga com’è?
Ora su tutto è scesa una coltre di informazione carente e di sfiducia. La legge 23, architrave traballante del sistema, dovrebbe essere sottoposta a verifica da parte del Governo, come fu concordato allora da Maroni e Lorenzin. Questo doveva già accadere in agosto, allo scadere dei cinque anni, ma avverrà, si dice, entro l’anno. Cajazzo sta incontrando economisti (Bocconi), sindacati, associazioni di fornitori privati (AIOP, ARIS, Confindustria ecc.) per predisporre un'auto-riforma nel più stretto riserbo. Cinque saggi (sempre nominati dalla Giunta regionale lombarda) stanno predisponendo proposte per i vari settori.
Il PD e altri partiti dell’opposizione stanno preparando proposte in merito. Si apre una fase di cambiamento oppure a parte qualche mini-toppa tutto rimarrà come prima? E soprattutto, nel caso di recrudescenza del virus in autunno, al di là di tutto, la Regione è pronta ad affrontare e a prevenire l’emergenza?
È grave che si sappia poco (o niente?) e non bastano più le garanzie ripetute da Gallera e Fontana con la solita sicumera.

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