Parco Bassini. Riflessioni sulla partecipazione a Milano

Per una visione della città che tenga conto degli interessi e dei bisogni di tutti. ()
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Lo scempio si è consumato. Contro la volontà degli abitanti, degli stessi docenti e degli studenti del Politecnico, un angolo di verde cittadino è stato disboscato.
Le alternative per non consumare suolo c’erano e continuano ad esserci: poco lontani, ampi edifici attrezzati, inutilizzati, ma adatti allo scopo, o l’area dell’edificio attiguo di proprietà dello stesso Politecnico, da risanare e ricostruire e forse altre possibilità che non sono state neanche esplorate perché si è voluto usare, o dovremmo dire 'abusare' quel parchetto; uno spazio 'vergine' perché sorgeva su un terreno che nei secoli non era mai stato edificato, come attestano le mappe cittadine fin dal tempo di Teresa d’Austria; uno spazio 'pubblico' nel suo uso, se non nella proprietà, perché frequentato da studenti e gente di quartiere, da mamme e da bambini; 'prezioso' perché a differenza delle nuove piantumazioni era popolato da alberi pluriennali che, come spiegano gli esperti, sono molto più efficienti delle giovani piante nel ridurre le emissioni di CO2 e lo smog.

Al di là dell’unanime condanna per questa scelta dell’attuale 'magnifico' rettore Resta, sul tema c’è sicuramente molto da dire e da meditare sul metodo: l’attivazione di una procedura straordinaria, un processo decisionale che prevede un rapporto diretto Stato-Regione e che bypassa le autorità locali: il Municipio e il Comune con tutti suoi regolamenti (a tal proposito si legga che cosa prevede il recente regolamento del Verde del Comune di Milano all’art. 30 e 34).
Un accordo sviluppato alla chetichella, così come quasi 'in segreto' è stato avviato l’intervento, poi portato avanti nonostante le proteste, schierando le forze dell’ordine in assetto antisommossa a bloccare la via!

Ma s'impone una riflessione anche su che cosa s’intende per 'bene comune', sugli strumenti atti a difenderlo, sul ruolo delle Istituzioni pubbliche, del Municipio e del Comune che dovrebbero teoricamente tenere in conto e armonizzare gli interessi dei diversi stake holders, e soprattutto su quale spazio hanno nel disegno della città le reali istanze della popolazione? In altre parole, che cosa s’intende per 'partecipazione' oggi a Milano?

Nel 2011 'partecipazione' era stata la parola d’ordine della campagna elettorale di Pisapia che aveva coinvolto ed entusiasmato molti; verso la fine di quel quinquennio si erano fatti solo alcuni primi esperimenti in questa direzione: penso ad esempio alla riqualificazione del cavalcavia Bussa, al Parco dell’ex Sieroterapico, al primo bilancio partecipativo, qualche dibattito pubblico… poca cosa, spesso deludente per chi alla partecipazione crede veramente. Ma era un inizio.

Alcuni assessorati di quell’Amministrazione si erano timidamente cimentati, pur con una frammentarietà di azione e scarso coordinamento tra loro, su ambiti circoscritti. Mancava però l’assunzione di una strategia della partecipazione come un tema chiave del governo della città.
Solo alla fine del mandato Pisapia si arriva alla faticosa definizione di un primo importante documento sulle modalità con cui attivare i processi partecipativi. Sono le “Linee Guida per la sperimentazione di percorsi partecipati nell’ambito dei procedimenti della Direzione Centrale Sviluppo del Territorio”, quindi in materia urbanistica, in cui si afferma che i percorsi partecipativi possono essere attivati sia dall’Amministrazione che dall’operatore privato e si definiscono le modalità operative di applicazione del percorso, prevedendo l’obbligo di un’attività di informazione chiara, efficace e corretta. Ci si ferma qui. Ma è una base da cui si spera di procedere.

Con Sala, a Milano per la prima volta si istituisce un Assessorato alla Partecipazione, ma il suo spazio operativo appare ancora molto limitato. Si tratta ancora di un assessorato tutto sommato 'marginale'.
Senza nulla togliere alle iniziative intraprese e all’importanza della messa in atto di nuovi strumenti digitali per la partecipazione, ci chiediamo: ma non dovrebbe forse essere proprio questo l’assessorato centrale in un 'modello Milano' che voleva vedere nella partecipazione della cittadinanza attiva una sua caratteristica qualificante?
Perché nel momento in cui spontaneamente nasce un confronto forte fra le istanze di diversi stake holders, non è innanzitutto questo l’assessorato coinvolto? Non dovrebbe partire proprio da qui la proposta di un dialogo strutturato tra i diversi attori locali per trovare lo spazio per un accordo di mutuo interesse, o l’identificazione di un bene comune superiore?
E, per tornare al nostro parchetto Bassini, quando un’istanza ambientalista e di tutela di un bene prezioso per la cittadinanza si contrappone alla legittima esigenza di sviluppo del Politecnico, non dovrebbe essere proprio questo l’assessorato che s’incarica di avviare un confronto virtuoso fra le diverse posizioni?

Dove sono finite quelle famose linee guida per la partecipazione con tanta fatica votate alla fine della passata consiliatura. Da quel momento, nessun nuovo strumento? Non è forse ora di dotare questa città di un regolamento sul confronto pubblico e di provare ad applicarlo?
Dobbiamo forse ritenere che la partecipazione debba rimanere relegata ai casi in cui viene avviato, per decisione centrale, un 'dibattito pubblico'? Uno strumento che, per sua stessa natura, “non ha l’ambizione di accompagnare gli attori al dialogo, ma si limita a registrare le voci e gli argomenti”.
È necessario che Milano si doti di strumenti diversi, che abbia la forza e il coraggio di raccogliere la sfida che sempre più frequentemente le pone la sua stessa 'cittadinanza attiva': prendere decisioni pubbliche attraverso un processo inclusivo che tenga conto delle diverse posizioni, colmando così quel gap che ormai pare diventato insanabile fra governanti e governati.

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