Abbandonare Città Studi? E perché?
Non poche obiezioni provengono dai docenti e i ricercatori di Città Studi. D’altro canto sono loro i diretti interessati dalla proposta, avanzata meno di un mese fa (sui media), dal Rettore dell’Università Statale Gianluca Vago, di una nuova Città della Scienza a Rho Pero. Ovvero di trasferire tutti i dipartimenti scientifici della Statale (salvo Medicina) in un polo, nuovo di zecca, su un quarto dell’area Expo. Ovviamente dopo la chiusura della grande kermesse.
La discussione è tuttora in corso. Qualche riunione c’è stata, anche tra il Rettore e i direttori dei dipartimenti. La proposta è ancora molto aleatoria, sospesa tra un grande fabbisogno di fondi (400-500 milioni) e progetti tutti da verificare. Per questo tutti preferiscono per ora mantenere il riserbo, e non uscire allo scoperto.
Però i dubbi restano, e forti. Il primo, forse il più rilevante, è la prospettiva di una secca perdita di studenti per il polo (Fisica, Agraria, Informatica, Chimica, Biologia, Scienze) che dovrà abbandonare Città Studi.
Oggi, infatti, la Statale attrae studenti dalla città di Milano e dall’Est metropolitano. Con il trasferimento alla ben più lontana Rho - spiegano i docenti - i flussi dalla città andranno verso la più vicina e comoda Bicocca. E dall’Est anche. Il risultato potrebbe tradursi in un drastico rimpicciolimento del polo scientifico attuale, rispetto ai 18mila studenti oggi iscritti a Città Studi.
In teoria una soluzione ci sarebbe. Creare un nuovo polo all’Expo talmente “forte” e attrezzato per la ricerca da divenire attrattivo su scala ben più vasta. Ma è realistico questo sato di qualità con i tagli di bilancio in corso nell’università?
Non solo. <Sappiamo cosa perdiamo ma non sappiamo che cosa otterremo>. Un vecchio adagio mai così attuale oggi, di edilizia inquinata. Gli edifici storici di Città Studi (Matematica, Agraria, anche Fisica) sono solidi e funzionali, e vanno solo rimodernati. Per stare nei costi (elevati) della nuova Città della Scienza non si corre il rischio di finire con strutture al risparmio, anche se gabellate per modernissime?
E poi perché questa esclusione secca per tutta Medicina, l’unica abilitata a restare a Città Studi?
In realtà - spiega un altro docente - l’università ha già iscritto a bilancio 200 milioni per gli interventi di manutenzione su Città Studi. C’è da mettere a posto Chimica, forse il dipartimento più critico, e costruire Informatica, dopo lo stop ai lavori causato dal fallimento di una delle aziende edilizie assegnatarie. E poi qualche intervento sul Biodip (biologia), Matematica e Fisica. Oggi però, con questa storia della ventilata Città delle Scienze, la prospettiva è che almeno fino alla fine dell’Expo, tutto rimarrà congelato. Un anno di fermo, almeno. Non solo. L’Università continuerà a pagare affitti salatissimi su dipartimenti decentrati, come l’informatica a Via Comelico (ex Lagomarsino), dove peraltro ha ricevuto dalla proprietaria Banca Intesa un avviso di fine locazione.
Ovvio, i 200 milioni attuali andrebbero, in caso, interamente al nuovo polo. Ma non sarebbero di sicuro sufficienti. La stima complessiva di 400 milioni esposta (a voce) da Vago non si sa tiene conto dei 250mila metri quadrati da acquistare a Rho da Arexpo (un quarto dell’area Expo), delle attrezzature scientifiche e di ricerca o solo dei nudi fabbricati. Il rischio è che alla fine l’Università si ritrovi con un patrimonio netto negativo – continua il docente - ovvero immersa nei debiti. E questo è già avvenuto in passato in casi simili in altre Università, anche milanesi.
Sono rischi seri, come si vede. Oggi a Città Studi la Statale occupa all’incirca i 250mila metri quadri, una superficie uguale a quella del proposto polo a Rho. Ma di questi solo 80 mila metri quadri sono di proprietà dell’Ateneo, mentre il resto sono terreni e spazi demaniali, a costo zero (ma anche a ricavo futuro zero). Ma anche qui: quanti di questi 80mila mq sono relativi a Medicina (che non si sposta)?
Un po’ di chiarezza, in definitiva, sarebbe necessaria, è il ritornello finale di critici e dubbiosi del progetto Vago.