Il Vago progetto su Città Studi e Expo
(Giuseppe Caravita)14/03/2015
Gianluca Vago, rettore dell'Università degli Studi di Milano è l'uomo che dovrebbe rivoltare Città Studi come un calzino,espiantandone ben cinque sedi universitarie (Fisica, Chimica, Informatica,
Agraria e Scienze) per trasportarle di peso nell'area Exp. Ma è apparso giovedì
scorso, in un dibattito organizzato da Umberto Ambrosoli all'Ambrosianeum, un
po' confuso, incerto, quasi pentito della sua proposta.
C'è mancato poco a un suo “Se lo sapevo, non avrei venuto”. In stile Guerra dei Bottoni, dolcissimo film di tanti anni fa.
Lo si può capire. Una città della Scienza sui terreni Expo (oggi a grave
rischio di desertificazione una volta concluso l'evento) sarebbe un'iniziativa
bellissima, un investimento strategico per Milano (specie se associato a un
parco tecnologico e per le nuove imprese) ma anche piuttosto costoso, specie in
tempi di vacche magre quali gli attuali.
Il punto, come spesso avviene, sta in un paio di cifre. La città della Scienza offrirebbe
sedi didattiche e laboratori di ricerca allo stato dell'arte, l'aggregazione
dei dipartimenti ridurrebbe nettamente i costi di gestione delle cinque facoltà
ma...il tutto finirebbe per costare circa 400 milioni. Diciamo anche mezzo
miliardo, tenendo conto degli immancabili scostamenti tra previsioni e consuntivi su opere effettivamente
realizzate.
E chi oggi potrebbe offrire questa cifra? Vago lo ammette con onestà. Non lo
sa. Non certo Arexpo, la società tra Regione, Comune di Milano e Fondazione
Fiera, che detiene il milione di metri quadri dei terreni Expo. Lei ha provato,
con un bando, ad assicurarsi la cessione dei terreni per il dopo Expo, per 325
milioni di valore stimato. Risultato raggelante. Bando deserto. E intanto
pesano i suoi 160 milioni di debito con le banche. Risultato: Arexpo non può
finanziare nulla, semmai deve incassare per chiudere l'esposizione debitoria.
Marco Vitale, un’icona nel mondo della consulenza e dell’economia d’impresa, avanza da par suo una proposta quasi eversiva. La città della scienza e dell’innovazione, premette, sarebbe un nuovo bene pubblico di enorme valore per Milano metropolitana, capace di rigenerare imprese e dare futuro ai giovani. Sarebbe un progetto autoctono, politico, svincolato dal mercato. Per questo il debito attuale di Arexpo andrebbe ribaltato in investimento a lungo termine. Un messaggio chiaro per le banche. Un messaggio forte. Ma i tempi che stiamo attraversando lo consentono? Altrimenti, mette in guardia Vitale, le dimensioni delle cifre attuali non permettono nulla. Men che meno un investimento pubblico in Università, ricerca e innovazione da 400 milioni, e non si sa nemmeno se al netto o a lordo dell’acquisto (oneroso) da Arexpo di un quarto dell’area edificabile (circa metà del milione di Mq complessivi).
L’alternativa, al bene pubblico ipotizzato da Vitale, è il classico e strutturato ricorso al mercato (globale) illustrato da Marco Piazzotta, dell’Urban Land Institute. L’approccio ormai classico di infrastutturazione dell’area, di marketing internazionale, di attrazione di investitori esteri multinazionali, di building per grandi sedi di impresa. E Piazzotta, che siede nel board dell’istituto che studia e fa consulenze su queste maxi operazioni immobiliari, cita il caso di successo delle Olimpiadi di Londra, ovvero la rinascita dell’ East end, un secolo fa i grandi docks della città-impero, ridottisi poi a deserto di criminalità e droga e infine rinati dopo la grande competizione a cinque anelli. E poi Amburgo, Lione, e l’interesse oggi per gli investitori anche per le medie metropoli, ma se dotate di un marchio forte. Come potrebbe essere anche Milano. E gli ultimi acquisti della Skyline di Porta Garibaldi da parte del Qatar sarebbero, secondo Piazzotta, solo il primo segnale positivo di una fase nuova.
Costruire, infrastrutturare, fare marketing e vendere, possibilmente bene. E quindi organizzare una società manageriale capace di fare da regista dell’intera operazione. Arexpo, holding ad azionariato pubblico, non sarebbe lontanamente sufficiente a questo tipo di operazione.
Completamente diversa la visione di Gianluca Vago. Il suo punto forte è tutto universitario. Ha
a che fare con una Statale a Città Studi cresciuta disordinatamente negli anni,
fatta di edifici vecchi o invecchiati. E ne confronta i costi di gestione con un campus
moderno, allo stato dell’arte. Imparagonabili, dice. A favore ovviamente del secondo.
Commento. Questo è un punto importante per un’Università pubblica, dipendente dalle risorse statali, molto impoverita dai tagli di bilancio (nonostante una significativa produttività scientifica dei suoi docenti e ricercatori). La Città Studi di oggi costa troppo, con i suoi 250mila metri quadri di attempate palazzine. E ha senso tenerla a pane e acqua, dato che i 200 milioni necessari per rammodernarla appartengono, dati i fondi pubblici attuali per le università, più al mondo delle pie illusioni che degli impegni ministeriali?
Non sarebbe meglio mettere a valore gli 80mila metri quadri posseduti dai dipartimenti da Via Celoria in poi e riuscire ad avviare un “nuovo inizio” - sottende Vago - nell’area Expo? In un progetto più ampio della stessa Statale, in un nodo della rete di ricerca europea?
Vago sa con cosa si confronta. Al suo interno ammette
resistenze e dissensi (in primo luogo i matematici, dice). E poi racconta di Veterinaria, che per essere spostata a Lodi, ci ha messo 20 anni. Non sono rose e fiori per lui.
E formula una sola ipotesi sul punto chiave dei 400 milioni. L’accreditamento del progetto sui fondi strutturali europei, come nuovo nodo (insieme all'unica Bologna in Italia) nella rete dei grandi poli di ricerca continentali.
Sembra un po’ poco perché possa funzionare. E nei tempi stretti della fine dell’Expo e poi delle aree dismesse. E Vago confessa di non riuscire a smuovere l'ostacolo, di non avere forze e strutture, quasi di pentirsi di aver lanciato questa proposta.
Sa però di dover lanciare un segnale concreto entro la fine dell'Expo perchè tutto poi non svapori nel nulla.
Ma Luciano Pilotti, presidente di Arexpo, si lascia scappare una piccola notizia. Secondo cui la Cdp (Cassa Depositi e Prestiti) avrebbe espresso interesse per il progetto Vago (campus scientifico) più Assolombarda (campus delle startup). Un fatto di pochi giorni fa, e potenzialmente significativo. Cdp, infatti, è stata intitolata da Renzi alla gestione di 8 miliardi di euro che l’Italia ha deciso di mettere sul piatto del progetto Junker, di investimenti strategici pubblico-privati pan-europei per la ripresa.
8 miliardi sono quanto l’Italia risparmierà in due anni sul costo del debito pubblico grazie al Quantitative Easing della Bce di Draghi. E oggi queste risorse vengono messe a nuovi investimenti. Possibilmente moltiplicatori di ripresa.
E quale iniziativa più strategica (e necessaria) ha oggi in ballo Milano? Si chiede (retoricamente) Pilotti.
Alla fine Vitale potrebbe avere (paradossalmente) ragione.
Il debito attuale su Expo potrebbe divenire capitale sociale fruttifero a lungo
termine.Tramite i minori debiti indotti dalla Bce.
Beppe Caravita