In Lombardia lo screening per la diagnosi precoce del tumore alla prostata

La regione Lombardia ha avviato da pochi mesi lo screening per la diagnosi precoce del carcinoma prostatico. Siamo i secondi al mondo dopo la Lituania a intraprendere questo percorso di sanità pubblica.
Tre gli screening già in atto
Attualmente sono tre gli screening approvati con quasi unanime consenso del mondo scientifico in vigore in molti Paesi, Italia compresa.
Quello del tumore del collo dell’utero, eseguito ogni tre anni, attraverso il Pap test per le donne in età fertile, dall’inizio di una vita sessuale attiva fino ai 65 anni; poiché recenti evidenze scientifiche hanno dimostrato che sopra i 30 anni il test per il Papilloma virus (HPV-DNA test) effettuato ogni 5 anni ha un migliore rapporto tra efficacia e costi, tutte le Regioni si stanno impegnando per adottare il modello basato sul questo test.
Quello del tumore della mammella, eseguito in Lombardia mediante la mammografia offerta annualmente a tutte le donne tra i 45 e 49 anni e con cadenza biennale tra i 50 e 74 anni.
Quello del tumore del colon-retto, attraverso l’esecuzione biennale della ricerca del sangue occulto nelle feci offerto a uomini e donne tra i 50 e i 70-75 anni.
Per quali patologie è indicato lo screening?
Quali sono le caratteristiche che gli screening di popolazione devono avere per essere ritenuti efficaci? Devono essere rivolti a malattie relativamente frequenti, per le quali esiste uno stadio latente evidenziabile tramite il test di screening. La storia naturale della malattia deve essere conosciuta e devono esistere una terapia efficace e adeguate strutture per la diagnosi e trattamento. Il test dev’essere sicuro, accettabile dalle persone, attendibile, e la diagnosi in fase latente tramite screening deve essere efficace nel ridurre la mortalità e l’incidenza della malattia.
Le ultime raccomandazioni del Consiglio Europeo (dicembre 2022) ribadiscono l'importanza dei programmi organizzati di screening per carcinoma della mammella, del colon-retto e della cervice uterina; in merito agli screening emergenti per altre patologie neoplastiche (di polmone, stomaco e prostata) vengono date alcune indicazioni.
Indicazioni Europee per carcinoma della prostata
In particolare per il carcinoma della prostata, si suggerisce che i Paesi membri adottino un approccio graduale avviando sperimentazioni e progetti pilota mirati a valutare la fattibilità dell'attuazione di programmi organizzati di screening attraverso l'analisi dell'antigene prostatico specifico (PSA) per gli uomini da 50 fino a 70 anni, in combinazione con un Imaging a Risonanza Magnetica (MRI) come test di follow-up, e a reindirizzare le attività di screening opportunistico.
In Italia, il tumore della prostata è la neoplasia più frequente nel sesso maschile (19,8% di tutti i tumori nell’uomo); gli ultimi dati disponibili stimano 40.500 nuove diagnosi nel 2022 e 7.200 decessi nel 2021. La sua incidenza aumenta con il progredire dell’età, colpendo prevalentemente i maschi dopo il 50° anno con un picco di incidenza intorno ai 70 anni. La prognosi di questo tumore dipende da alcuni fattori e, in particolare, dall’estensione della neoplasia al momento della diagnosi e dall’età del paziente.
Che cosa dice la letteratura scientifica?
Le maggiori revisioni scientifiche sull’argomento, pur sulla base di studi sperimentali condotti con modalità differenti e non sempre confrontabili, sembrano abbastanza concordi nel concludere che uno screening del cancro della prostata condotto attraverso l’esecuzione del PSA:
- aumenta di molto il numero di diagnosi per questa patologia, anche di tumori che non avranno un’evoluzione sfavorevole
- porta a una lieve riduzione di mortalità per tumore alla prostata senza però avere alcun effetto sulla mortalità totale,
- espone gli uomini a trattamenti invasivi gravati da possibili effetti collaterali importanti (incontinenza urinaria e disfunzioni di carattere sessuale) per tumori che non necessariamente sarebbero evoluti.
Qualcosa è cambiato
Tre cose sono venute più recentemente a modificare l’atteggiamento sostanzialmente negativo della sanità pubblica nei confronti dello screening del carcinoma prostatico: la possibilità di una cosiddetta sorveglianza attiva, l’avvento della risonanza magnetica multiparametrica, l’adozione di strumenti e tecniche operatorie meno invasive.
La sorveglianza attiva. Una quota rilevante dei tumori della prostata è destinata ad avere una evoluzione spontaneamente favorevole e/o un decorso asintomatico. Si ritiene corretto non intervenire chirurgicamente o con altre terapie, radianti o ormonali, terapie accompagnate da effetti collaterali, e si preferisce sorvegliarli attraverso il monitoraggio del valore del PSA e di biopsie periodiche. Studi basati sulla sorveglianza attiva aiuteranno a individuare i tumori destinati a progredire e meritevoli di trattamento.
La risonanza multiparametrica è un esame di relativamente recente acquisizione che può ridurre di molto il numero delle biopsie e migliorarne l’accuratezza. Ha una sensibilità che varia nei differenti studi ma che si può ragionevolmente collocare intorno al 90%. Cioè anche con una risonanza negativa rimane un 10% di possibilità che sia presente un tumore. è un esame relativamente costoso e non facilmente disponibile ovunque.
L’efficacia dei nuovi metodi di intervento sulla prostata risente della abilità dell’operatore e, alla fine, gli effetti collaterali (10-75 % di deficit erettivo e fino al 20% di incontinenza urinaria a un anno dall’intervento) non differiscono molto dalla chirurgia in laparoscopia della quale sono clamorosamente più costosi.
In sintesi, queste innovazioni non sembrano apportare significativi vantaggi rispetto alle metodiche tradizionali
Le indicazioni dell'Associazione Italiana Oncologia Medica
Facciamo nostre le indicazioni dell’Associazione Italiana Oncologia Medica aggiornate ad ottobre 2024 che così recitano:
“Le evidenze disponibili portano a concludere che uno screening organizzato basato sul PSA potrebbe nel migliore dei casi portare a una minima riduzione della mortalità cancro-specifica ma non porterebbe a nessuna riduzione della mortalità globale, mentre causerebbe con certezza effetti negativi immediati dovuti alla sovradiagnosi. Pertanto, la maggior parte delle Linee guida non raccomanda l’adozione di politiche di screening di popolazione”.
Se da un lato questa sperimentazione propone un confronto molto interessante tra coloro che aderiscono a uno screening organizzato e quei soggetti che, in accordo coi loro medici, si sottopongono comunque al test del PSA, ci sentiamo in dovere di sollevare un paio di questioni che meritano maggiore chiarezza.
Tuttavia è una sperimentazione
Bisognerebbe dire chiaramente a coloro ai quali si offre di partecipare che di sperimentazione si tratta, quindi di un test che non ha ancora raggiunto l’evidenza scientifica di efficacia. Questo non si evince nella presentazione del progetto di Regione Lombardia.
Ci vorrebbe una adeguata informazione fatta da personale appositamente formato, non necessariamente medico, per spiegare bene a tutti i partecipanti, quindi prima dell’esecuzione del PSA, i vantaggi e i rischi della partecipazione, informazione che se adeguatamente espletata può richiedere una ventina di minuti a soggetto.
Ha costi non indifferenti
I passaggi dello screening sono abbastanza macchinosi e prevedono passaggi multipli e in questo campo la complessità è quasi sempre nemica dei buoni risultati.
I costi da sostenere non sono indifferenti, soprattutto se pensiamo alla chirurgia robotica alla quale afferiranno buona parte dei soggetti risultati positivi.
Rischia di rallentare le prestazioni ordinarie
Esiste il rischio reale di un rallentamento delle prestazioni ordinarie viste la perdurante carenza di specialisti, tecnologie e strutture e quindi di allungamento dei tempi delle liste d’attesa.
Una questione irrisolta: chi decide?
Rimane un’ultima questione irrisolta, che non riguarda ovviamente solo lo screening del tumore alla prostata. La questione della partecipazione alle scelte che riguardano la salute di tutti. Agli operatori, o meglio ad alcuni di essi, spesso quelli che hanno i maggiori conflitti di interesse, quando va bene viene chiesto un giudizio di efficacia, ai cittadini e alle loro associazioni nulla. In fondo la spesa stanziata da Regione Lombardia è una spesa importante (poco meno di 500.000 euro nel primo anno) sarebbe bello che la scelta di investire questi soldi qui e non in altri campi fosse il più condivisa possibile, soprattutto in un momento di grave sofferenza (di fondi e di personale) del nostro Servizio Sanitario.