Liste d’attesa: è successo qualcosa?
Se quest’ultima cosa è palesemente devastante la prima non può rappresentare una soluzione, bensì deve essere considerata parte del problema. Innanzitutto perché certifica una differenza di opportunità in un campo come quello della salute che dovrebbe essere tutelato universalmente (articoli 3 e 32 della Costituzione). Secondariamente perché il comparto assicurativo, anche attraverso i vari benefit contrattuali dei lavoratori, con coperture naturalmente differenziate per età e reddito, va ad incrementare un consumismo sanitario che non può essere millantato come tutela della salute.
Chi ci perde e chi ci guadagna
Ci perde quel 7.6% di popolazione (4,5 milioni) che nel 2023 ha rinunciato a curarsi, per problemi economici, di liste d’attesa o di difficoltà di accesso. Numeri in aumento rispetto all’anno precedente. La quota della rinuncia a prestazioni sanitarie cresce all’aumentare dell’età. Nel 2023, partendo dall’1,3% rilevato tra i bambini fino ai 13 anni, la quota mostra un picco nell’età adulta tra i 55-59enni, dove raggiunge l’11,1%, per restare elevata tra gli anziani di 75 anni e più (9,8%). Tuttavia, l’incremento tra il 2022 e il 2023 riguarda solo la popolazione adulta (18-64 anni), che passa dal 7,3% all’8,4%.
Si confermano le ben note differenze di genere: la quota di rinuncia è pari al 9,0% tra le donne e 6,2% tra gli uomini, con un divario che si amplia ulteriormente nell’ultimo anno per l’aumento registrato tra le donne adulte.
I dati confermano quello che sembra un’ovvietà e cioè che la rinuncia alle cure è inversamente proporzionale al reddito, e ci danno anche conto del cosiddetto effetto erosivo della ricchezza: il 36.9% degli italiani ha rinunciato ad altre spese per sostenere quelle sanitarie. Nel 2023 i cittadini, oltre a quanto versato con i contributi previdenziali, hanno speso di tasca propria circa 43 miliardi di euro, circa il 2.1% del PIL, quota in costante aumento rispetto agli anni precedenti,
Chi guadagna da questo stato di cose?
I professionisti, per lo più medici. Per una visita da un primario ospedaliero ormai si possono pagare cifre intorno ai 500 euro, siamo fuori scala rispetto al paese reale. Guadagnano poi tutte le strutture ospedaliere e poliambulatoriali che hanno delle partecipazioni sulle tariffe. Quindi strutture afferenti al mondo del privato privato, privato convenzionato ma anche strutture pubbliche grazie alle prestazioni intramoenia prestate dai propri dipendenti. Guadagnano le compagnie assicurative che naturalmente sono enti profit, guadagnano i datori di lavoro che possono detrarre dagli utili i benefit assicurativi “offerti” ai propri dipendenti.
Il provvedimento “d’urgenza”
In questo quadro si inserisce il tentativo del governo di arginare la piaga della lunghezza delle liste d’attesa con un provvedimento varato a luglio 2024 con carattere d’urgenza.
Il DL 178 del 31 luglio 2024 è articolato in sette punti e prevede l’istituzione di una piattaforma nazionale e ulteriori sistemi di controllo e verifica a livello nazionale e regionale (art. 1 e 2) e l'istituzione del CUP (centro unico di prenotazione) a cui devono afferire tutte le strutture regionali, sia pubbliche che convenzionate (art. 3). Il decreto ribadisce la norma già in essere che prevede che se ATS non riesce a garantire i tempi di esecuzione specificati nella impegnativa deve soddisfare la richiesta ricorrendo a prestazioni private e/o in intramoenia al costo del ticket (art.4).
Si prevede inoltre un sistema di penalizzazione per coloro che non disdicono le prestazioni fissate entro le 48 ore precedenti l’esame (art.4) Rende possibile l’aumento degli straordinari per il personale in servizio, straordinari a tassazione ridotta e effettuabili anche sabato e domenica (art. 3 e 7). La legge inoltre prevede agende dedicate ai malati cronici per meglio tutelarne la salute (art. 3) e la possibilità di incrementare la spesa per il personale per un 10% nel 2024, che intanto volge al termine, e poi secondo criteri che andranno successivamente definiti (art. 5) Ci sono infine alcune norme riguardanti i Dipartimenti di salute mentale (art. 6).
C’è sicuramente la volontà da parte del Governo di avere a livello centrale un quadro completo di come siano le liste d’attesa a livello regionale. Viene però da chiedersi perché questo quadro non ci sia già e cosa succederà con l’autonomia differenziata.
I decreti attuativi
È facile sostenere che l’unica nuova norma che contempla un aumento dell’offerta è quella che prevede la possibilità di far fare straordinari a chi un lavoro già ce l’ha ed è già spremuto a sufficienza e di ricorrere al privato quando necessario.
Devono seguire i decreti attuativi.
Già, i decreti attuativi! Avrebbero dovuto essere emanati entro 60-90 giorni e l’unica cosa comparsa finora è una bozza di decreto (tre articoli) che dettaglia l’ambito di applicazione e le funzioni di verifica e controllo dell’istituto che opera alle dirette dipendenze del Ministro della salute e che, in caso di inadempienza delle Regioni potrà sostituirsi ad esse.
Nel question time del 6 novembre alla Camera il ministro Schillaci ha affermato che dal mese di febbraio 2025 sarà a disposizione il cruscotto con gli indicatori di monitoraggio delle liste di attesa con i dati relativi a tutte le Regioni e Province autonome. Meno male che il decreto sulle liste d’attesa aveva un carattere d'urgenza!
Chiedere finanziamenti non basta!
A fronte di questo stato di cose non mi pare sufficiente chiedere, come fanno le opposizioni, maggiori finanziamenti. Certo, maggiori finanziamenti sono necessari quanto l’aria che respiriamo, ma senza un progetto di ampio respiro per rendere efficiente ed efficace il nostro servizio sanitario non sono sufficienti.
Dalle forze di opposizione questo mi aspetto: esplicitare la fonte delle risorse e un progetto di rilancio e di investimenti che segni una discontinuità con tutti i precedenti governi anche di centrosinistra che a suo tempo si sono ben guardati, per esempio, dallo sbloccare le assunzioni nel pubblico impiego.
Un’ultima considerazione: se non vogliamo che la salute sia considerata e trattata alla stregua di una merce come tutte le altre, cosa che oggi mi pare in buona parte accada, si deve anche aprire una riflessione sul significato che vogliamo dare alla parola salute.
Viviamo in un mondo in cui, grazie a tutti i device sanitari che ci portiamo addosso, il concetto stesso di salute si va modificando a velocità supersonica secondo una logica di autosorveglianza, di consumismo e di falsa prevenzione.
Da qui credo si debba partire per un ragionamento condiviso tra cittadini, operatori, forze sociali che sappia modificare i paradigmi correnti basati più sul diritto alla prestazione che alla salute. Senza questo le liste d’attesa rimarranno comunque indecentemente lunghe e intasate da prestazioni superflue.