Salute, bene comune?
Che cosa sta succedendo nella sanità italiana? Le lunghe liste d’attesa sono solo una conseguenza, la punta dell’iceberg di qualcosa che sta cambiando molto profondamente anche da un punto di vista culturale, filosofico ed etico.
(Maurizio Bardi)03/07/2024
Molto si sta muovendo in sanità. I problemi sul tavolo sono molti e noti.
Sottofinanziamento, carenza di personale con blocco delle assunzioni nel settore pubblico, crescente peso della sanità privata governata da investitori finanziari in assenza di una chiara strategia pubblica di programmazione, difficoltà ad ottenere prestazioni sociosanitarie (visite, esami o ricoveri) nei tempi necessari, medici di medicina generale che mancano, pronto soccorso intasati, migrazione sanitaria, crescente aumento della spesa privata per prestazioni sanitarie, malati cronici e soprattutto anziani con patologie croniche che nessuno prende in carico.
A fronte di queste e di tutte le altre criticità governo e parlamento hanno emanato una serie di provvedimenti la cui efficacia potremo valutare a breve.
L’autonomia differenziata
Primo fra tutti la legge sull’autonomia differenziata che avrà ricadute importanti non solo su sanità, istruzione e altro. Penalizzerà i cittadini delle regioni economicamente più povere scavando un solco ancora più ampio dell’attuale creando disparità di trattamenti e diritti a seconda della residenza. Una legge che mina l’idea stessa di comunità e ci interroga sulla fragilità dei confini, siano essi geografici, culturali, amministrativi, politici e fino a che punto questi confini siano via via restringibili.
Leggi senza finanziamenti
Ci sono un decreto legge e un disegno di legge volti ad affrontare il penoso problema della lunghezza delle liste d’attesa. In assenza di finanziamenti adeguati non se ne coglie al momento la portata, se non in chiave pre-elettorale con provvedimenti di facciata che nulla incideranno. Saranno istituite agenzie finalizzate al controllo del rispetto dei tempi di attesa, sovrapponendosi alle agenzie regionali, ma non si capisce con quale effettivo potere di intervento. Saranno unificate le agende pubblico/private degli erogatori di prestazioni sanitarie, unico tentativo tangibile di limitare il sistematico depistaggio degli utenti verso le prestazioni a pagamento del settore privato.
Gli anziani cronici in capo ai servizi sociali non più alla sanità
È stata emanata una pericolosa legge riguardante gli anziani con patologie croniche, legge sostenuta anche da stimati esperti della sinistra (Turco, Dirindin, Maciocco). È la legge 23/3/2024 n°33 denominata "Deleghe al governo in materia di politiche in favore delle persone anziane". Rimarrà il diritto alle cure dentro il Servizio Sanitario Nazionale per i ricoveri e le patologie nei momenti di acuzie e post acuzie mentre per gli aspetti della cronicità e dell'assistenza per le cure di lunga durata viene creato il "Sistema nazionale per la popolazione anziana non autosufficiente (SNAA) che fa capo all'assistenza sociale e non alla sanità, rendendo quindi la salute non più un bene esigibile, costituzionalmente esigibile, ma assoggettandola a vincoli di bilancio come è per tutto il settore dell’ assistenza. Quindi non più: “io Stato sono obbligato a prendermi cura di te” ma: “mi prenderò cura di te solo se ci saranno le risorse”.
Ma qualcosa forse ci sfugge
Ma al di là delle finanze e delle leggi ci sono questioni che andrebbero affrontate da un punto di vista culturale e direi etico: la differenza tra pubblico e privato, la prevenzione, il ruolo crescente delle assicurazioni, che tipo di sanità e di medicina vogliamo, il concetto stesso di salute. Sono temi che richiederebbero approfondimento e confronto tra cittadini, operatori sanitari e decisori, ma pare che nessuna di queste categorie sia minimamente interessata.
Quando andiamo a fare una visita ci può sfuggire la differenza tra farla in una struttura pubblica o in una privata, alla fine abbiamo quello che volevamo, un parere e un referto.
Ci può sfuggire il fatto che il privato, a differenza di quello che dovrebbe essere nel pubblico, e così era prima della trasformazione delle ASL in aziende, è interessato a fare profitto e quindi ad aumentare il numero di prestazioni da eseguire e in funzione di ciò ha oliato una serie di meccanismi che poco hanno a che fare con la salute.
Ci può sfuggire il fatto che per pubblico e privato la prevenzione assume un significato diverso, quasi opposto: per il primo la necessità di eliminare/attutire i fattori patogeni, per il secondo fare diagnosi precoci, anche di malattie incurabili. Per fare un esempio che interesse può avere il gruppo San Donato, che controlla una grande fetta della sanità privata lombarda, a investire delle risorse per combattere gli incidenti sul lavoro o l’inquinamento dell’aria? (per inciso l’Agenzia Europea per l’Ambiente ha stimato per la Lombardia nel 2021 quasi 12mila morti premature per l’esposizione al PM2,5 e circa 3.500 morti premature per l’esposizione a biossido di azoto).
Ci può sfuggire il ruolo sempre più pervasivo delle assicurazioni; ci sentiamo tutelati perché, a costo di ticket o gratis addirittura, otteniamo prestazioni in tempi rapidi, non accorgendoci che le assicurazioni sono uno dei grimaldelli con cui far saltare la sanità pubblica il cui ruolo fondamentale di bene primario e universale viene costantemente svilito. Infatti il sistema assicurativo, spesso inserito come benefit dei contratti di lavoro, scava differenze tra i cittadini a seconda del tipo di copertura offerta e rispetto a chi non ne ha alcuna. Esso segna, nei fatti, un ritorno alle vecchie mutue di categoria già smantellate con la nascita del servizio sanitario nazionale per evidente inefficienza sanitaria ed economica.
Ci può sfuggire il fatto che non siamo mai coinvolti nella decisione delle linee strategiche in sanità. Per esempio, chi decide dove allocare le scarse risorse, chi decide di chiudere un pronto soccorso o un ospedale e di aprirne un altro, chi decide di investire in nuove tecnologie d’avanguardia invece che nella cura delle persone non autosufficienti? Non ne faccio una questione di gerarchie di valore ma, in un quadro di limitatezza di risorse, sarebbe necessaria una partecipazione consapevole da parte di tutti alla progettazione del nostro futuro.
Diritto alla salute o diritto alla prestazione?
Per finire, il concetto stesso di salute si è andato progressivamente sfumando. Con lo sviluppo delle nuove tecnologie digitali, che ci consentono di controllare in maniera autonoma mille parametri, ci stiamo trasformando tutti in potenziali futuri malati, maniacalmente attenti a misurare tutto, senza renderci conto di quanto sia sottile il confine tra essere utenti consapevoli o clienti compulsivi, rischiando di confondere il diritto alla salute con il diritto alla prestazione.
In autunno riprenderemo alcuni di questi temi.
In attesa di vostre segnalazioni auguro a tutti una buona estate e soprattutto buona salute.
Sottofinanziamento, carenza di personale con blocco delle assunzioni nel settore pubblico, crescente peso della sanità privata governata da investitori finanziari in assenza di una chiara strategia pubblica di programmazione, difficoltà ad ottenere prestazioni sociosanitarie (visite, esami o ricoveri) nei tempi necessari, medici di medicina generale che mancano, pronto soccorso intasati, migrazione sanitaria, crescente aumento della spesa privata per prestazioni sanitarie, malati cronici e soprattutto anziani con patologie croniche che nessuno prende in carico.
A fronte di queste e di tutte le altre criticità governo e parlamento hanno emanato una serie di provvedimenti la cui efficacia potremo valutare a breve.
L’autonomia differenziata
Primo fra tutti la legge sull’autonomia differenziata che avrà ricadute importanti non solo su sanità, istruzione e altro. Penalizzerà i cittadini delle regioni economicamente più povere scavando un solco ancora più ampio dell’attuale creando disparità di trattamenti e diritti a seconda della residenza. Una legge che mina l’idea stessa di comunità e ci interroga sulla fragilità dei confini, siano essi geografici, culturali, amministrativi, politici e fino a che punto questi confini siano via via restringibili.
Leggi senza finanziamenti
Ci sono un decreto legge e un disegno di legge volti ad affrontare il penoso problema della lunghezza delle liste d’attesa. In assenza di finanziamenti adeguati non se ne coglie al momento la portata, se non in chiave pre-elettorale con provvedimenti di facciata che nulla incideranno. Saranno istituite agenzie finalizzate al controllo del rispetto dei tempi di attesa, sovrapponendosi alle agenzie regionali, ma non si capisce con quale effettivo potere di intervento. Saranno unificate le agende pubblico/private degli erogatori di prestazioni sanitarie, unico tentativo tangibile di limitare il sistematico depistaggio degli utenti verso le prestazioni a pagamento del settore privato.
Gli anziani cronici in capo ai servizi sociali non più alla sanità
È stata emanata una pericolosa legge riguardante gli anziani con patologie croniche, legge sostenuta anche da stimati esperti della sinistra (Turco, Dirindin, Maciocco). È la legge 23/3/2024 n°33 denominata "Deleghe al governo in materia di politiche in favore delle persone anziane". Rimarrà il diritto alle cure dentro il Servizio Sanitario Nazionale per i ricoveri e le patologie nei momenti di acuzie e post acuzie mentre per gli aspetti della cronicità e dell'assistenza per le cure di lunga durata viene creato il "Sistema nazionale per la popolazione anziana non autosufficiente (SNAA) che fa capo all'assistenza sociale e non alla sanità, rendendo quindi la salute non più un bene esigibile, costituzionalmente esigibile, ma assoggettandola a vincoli di bilancio come è per tutto il settore dell’ assistenza. Quindi non più: “io Stato sono obbligato a prendermi cura di te” ma: “mi prenderò cura di te solo se ci saranno le risorse”.
Ma qualcosa forse ci sfugge
Ma al di là delle finanze e delle leggi ci sono questioni che andrebbero affrontate da un punto di vista culturale e direi etico: la differenza tra pubblico e privato, la prevenzione, il ruolo crescente delle assicurazioni, che tipo di sanità e di medicina vogliamo, il concetto stesso di salute. Sono temi che richiederebbero approfondimento e confronto tra cittadini, operatori sanitari e decisori, ma pare che nessuna di queste categorie sia minimamente interessata.
Quando andiamo a fare una visita ci può sfuggire la differenza tra farla in una struttura pubblica o in una privata, alla fine abbiamo quello che volevamo, un parere e un referto.
Ci può sfuggire il fatto che il privato, a differenza di quello che dovrebbe essere nel pubblico, e così era prima della trasformazione delle ASL in aziende, è interessato a fare profitto e quindi ad aumentare il numero di prestazioni da eseguire e in funzione di ciò ha oliato una serie di meccanismi che poco hanno a che fare con la salute.
Ci può sfuggire il fatto che per pubblico e privato la prevenzione assume un significato diverso, quasi opposto: per il primo la necessità di eliminare/attutire i fattori patogeni, per il secondo fare diagnosi precoci, anche di malattie incurabili. Per fare un esempio che interesse può avere il gruppo San Donato, che controlla una grande fetta della sanità privata lombarda, a investire delle risorse per combattere gli incidenti sul lavoro o l’inquinamento dell’aria? (per inciso l’Agenzia Europea per l’Ambiente ha stimato per la Lombardia nel 2021 quasi 12mila morti premature per l’esposizione al PM2,5 e circa 3.500 morti premature per l’esposizione a biossido di azoto).
Ci può sfuggire il ruolo sempre più pervasivo delle assicurazioni; ci sentiamo tutelati perché, a costo di ticket o gratis addirittura, otteniamo prestazioni in tempi rapidi, non accorgendoci che le assicurazioni sono uno dei grimaldelli con cui far saltare la sanità pubblica il cui ruolo fondamentale di bene primario e universale viene costantemente svilito. Infatti il sistema assicurativo, spesso inserito come benefit dei contratti di lavoro, scava differenze tra i cittadini a seconda del tipo di copertura offerta e rispetto a chi non ne ha alcuna. Esso segna, nei fatti, un ritorno alle vecchie mutue di categoria già smantellate con la nascita del servizio sanitario nazionale per evidente inefficienza sanitaria ed economica.
Ci può sfuggire il fatto che non siamo mai coinvolti nella decisione delle linee strategiche in sanità. Per esempio, chi decide dove allocare le scarse risorse, chi decide di chiudere un pronto soccorso o un ospedale e di aprirne un altro, chi decide di investire in nuove tecnologie d’avanguardia invece che nella cura delle persone non autosufficienti? Non ne faccio una questione di gerarchie di valore ma, in un quadro di limitatezza di risorse, sarebbe necessaria una partecipazione consapevole da parte di tutti alla progettazione del nostro futuro.
Diritto alla salute o diritto alla prestazione?
Per finire, il concetto stesso di salute si è andato progressivamente sfumando. Con lo sviluppo delle nuove tecnologie digitali, che ci consentono di controllare in maniera autonoma mille parametri, ci stiamo trasformando tutti in potenziali futuri malati, maniacalmente attenti a misurare tutto, senza renderci conto di quanto sia sottile il confine tra essere utenti consapevoli o clienti compulsivi, rischiando di confondere il diritto alla salute con il diritto alla prestazione.
In autunno riprenderemo alcuni di questi temi.
In attesa di vostre segnalazioni auguro a tutti una buona estate e soprattutto buona salute.