Per una primavera di pace. E io, che cosa posso fare?
Insieme, organizzandosi, è possibile «lavorare per la pace», promuovere, in senso positivo, la tutela dei diritti e la costruzione della pace.
(Gianmarco Pisa - IPRI CCP)07/05/2024
È la domanda da un milione di dollari: “bene, ma io cosa posso fare?”.
È inevitabile un senso di impotenza di fronte alle grandi questioni della guerra e della pace, di fronte alla vastità e alla radicalità delle distruzioni e delle devastazioni che tutte le guerre portano con sé. Altrettanto incomprimibile è tuttavia il richiamo etico ad un impegno, sia di carattere personale, sia, soprattutto, di carattere sociale, contro la guerra e per la pace.
Nel 1998, in un suo saggio sull’educazione e l’azione per la pace, Alberto L’Abate, tra i massimi esponenti della ricerca per la pace in Italia e a livello internazionale, scriveva: «Tutti dovrebbero fare educazione alla pace, come genitori, come cittadini, come membri di un consesso sociale, come educatori, e in tutti gli ambiti: nella famiglia, nella scuola, nel vivere sociale».
Parafrasando, tutti e tutte possono e devono fare qualcosa, nel proprio ambito, in base alle proprie competenze e possibilità, per contrastare la guerra e per sostenere la pace. Tanto più che il ruolo delle persone e, in particolare, della società civile organizzata è ormai riconosciuto anche in ambito internazionale.
In base alla Risoluzione 53/144 del 1999 (la Dichiarazione sul diritto e la responsabilità degli individui, dei gruppi e degli organi della società di promuovere e proteggere le libertà fondamentali e i diritti umani universalmente riconosciuti) «tutti hanno il diritto, individualmente e in associazione con altri, di promuovere e lottare per la protezione e la realizzazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali a livello nazionale e internazionale».
Inoltre, «allo scopo di promuovere e proteggere i diritti umani e le libertà fondamentali, tutti hanno il diritto, individualmente e in associazione con altri, a livello nazionale e internazionale: di riunione e assemblea pacifica; di formare, aderire e partecipare a organizzazioni non-governative, associazioni o gruppi; di comunicare con organizzazioni non-governative o inter-governative».
Insieme, organizzandosi, è possibile «lavorare per la pace», promuovere, in senso positivo, la tutela dei diritti e la costruzione della pace.
È inevitabile un senso di impotenza di fronte alle grandi questioni della guerra e della pace, di fronte alla vastità e alla radicalità delle distruzioni e delle devastazioni che tutte le guerre portano con sé. Altrettanto incomprimibile è tuttavia il richiamo etico ad un impegno, sia di carattere personale, sia, soprattutto, di carattere sociale, contro la guerra e per la pace.
Nel 1998, in un suo saggio sull’educazione e l’azione per la pace, Alberto L’Abate, tra i massimi esponenti della ricerca per la pace in Italia e a livello internazionale, scriveva: «Tutti dovrebbero fare educazione alla pace, come genitori, come cittadini, come membri di un consesso sociale, come educatori, e in tutti gli ambiti: nella famiglia, nella scuola, nel vivere sociale».
Parafrasando, tutti e tutte possono e devono fare qualcosa, nel proprio ambito, in base alle proprie competenze e possibilità, per contrastare la guerra e per sostenere la pace. Tanto più che il ruolo delle persone e, in particolare, della società civile organizzata è ormai riconosciuto anche in ambito internazionale.
In base alla Risoluzione 53/144 del 1999 (la Dichiarazione sul diritto e la responsabilità degli individui, dei gruppi e degli organi della società di promuovere e proteggere le libertà fondamentali e i diritti umani universalmente riconosciuti) «tutti hanno il diritto, individualmente e in associazione con altri, di promuovere e lottare per la protezione e la realizzazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali a livello nazionale e internazionale».
Inoltre, «allo scopo di promuovere e proteggere i diritti umani e le libertà fondamentali, tutti hanno il diritto, individualmente e in associazione con altri, a livello nazionale e internazionale: di riunione e assemblea pacifica; di formare, aderire e partecipare a organizzazioni non-governative, associazioni o gruppi; di comunicare con organizzazioni non-governative o inter-governative».
Insieme, organizzandosi, è possibile «lavorare per la pace», promuovere, in senso positivo, la tutela dei diritti e la costruzione della pace.