Per una primavera di Pace. Una "Agenda per la Pace!"
E' il "peacekeeping internazionale". Fu stilata nel 1992 da Boutros-Ghali, ex segretario generali delle Nazioni Unite: parla di diplomazia preventiva, pacificazione, mantenimento della pace; prevede azioni civili, ma anche militari.
(Gianmarco Pisa - IPRI CCP)24/04/2024
È talvolta considerato la grande invenzione delle Nazioni Unite: il peacekeeping internazionale, vale a dire l’insieme delle misure e delle iniziative volte al mantenimento della pace.
In oltre 70 anni di vita dell’organizzazione, sono oltre 70 le missioni di peacekeeping realizzate dalle Nazioni Unite, le cui misure possono essere di carattere militare, civile o di polizia, con ambiti, compiti e funzioni diversi e specifici.
Ad esempio, tra le funzioni propriamente militari: sicurezza dei civili e del personale delle Nazioni Unite; sicurezza durante le elezioni o in particolari situazioni e contesti; monitoraggio dei confini contesi o delle linee di tregua; separazione e interposizione militare tra le parti in conflitto; assistenza in loco al personale militare o agli ex combattenti nell’attuazione degli accordi di pace.
Tra le funzioni propriamente civili, invece: interposizione non armata; accompagnamento protettivo; mediazione e costruzione della fiducia; aiuto umanitario e cooperazione economica «sensibile al conflitto»; reintegrazione, riabilitazione e reinserimento di ex-combattenti; superamento del trauma e ripristino della convivenza; osservazione, monitoraggio e tutela dei diritti umani; monitoraggio elettorale e del ripristino dello stato di diritto; facilitazione della comunicazione tra le parti; educazione alla pace; giornalismo di pace.
Per fare tutto questo, occorre dotarsi di una vera e propria “agenda”: si tratta della Agenda per la Pace (1992) stilata dall’ex Segretario Generale delle Nazioni Unite, Boutros Boutros-Ghali, che definisce quattro grandi aree di impegno: la diplomazia preventiva (prevenire l’escalazione con mezzi diplomatici); il peace-making (ricercare un accordo tra le parti); il peace-keeping (realizzare un’interposizione, con il consenso, tra le parti); e il peace-building (lavorare sulle cause e ripristinare la convivenza), al fine di estinguere le cause che possano dare luogo a una nuova recrudescenza o a una nuova escalation del conflitto.
In oltre 70 anni di vita dell’organizzazione, sono oltre 70 le missioni di peacekeeping realizzate dalle Nazioni Unite, le cui misure possono essere di carattere militare, civile o di polizia, con ambiti, compiti e funzioni diversi e specifici.
Ad esempio, tra le funzioni propriamente militari: sicurezza dei civili e del personale delle Nazioni Unite; sicurezza durante le elezioni o in particolari situazioni e contesti; monitoraggio dei confini contesi o delle linee di tregua; separazione e interposizione militare tra le parti in conflitto; assistenza in loco al personale militare o agli ex combattenti nell’attuazione degli accordi di pace.
Tra le funzioni propriamente civili, invece: interposizione non armata; accompagnamento protettivo; mediazione e costruzione della fiducia; aiuto umanitario e cooperazione economica «sensibile al conflitto»; reintegrazione, riabilitazione e reinserimento di ex-combattenti; superamento del trauma e ripristino della convivenza; osservazione, monitoraggio e tutela dei diritti umani; monitoraggio elettorale e del ripristino dello stato di diritto; facilitazione della comunicazione tra le parti; educazione alla pace; giornalismo di pace.
Per fare tutto questo, occorre dotarsi di una vera e propria “agenda”: si tratta della Agenda per la Pace (1992) stilata dall’ex Segretario Generale delle Nazioni Unite, Boutros Boutros-Ghali, che definisce quattro grandi aree di impegno: la diplomazia preventiva (prevenire l’escalazione con mezzi diplomatici); il peace-making (ricercare un accordo tra le parti); il peace-keeping (realizzare un’interposizione, con il consenso, tra le parti); e il peace-building (lavorare sulle cause e ripristinare la convivenza), al fine di estinguere le cause che possano dare luogo a una nuova recrudescenza o a una nuova escalation del conflitto.