Educare alla Nonviolenza

Prevenire e contrastare la violenza in ogni sua forma manifesta o implicita e promuovere la nonviolenza come stile di vita. Questa la visione di ED.UMA.NA., una rete di scuole che condividono una “visione umanista” e incoraggiano una pratica educativa attiva. ()
edumana
Ogni vero cambiamento ha bisogno di un cambiamento educativo. Come immaginare, come sperare in un futuro nonviolento se non si comincia dall’educazione dei più giovani? In questo nuovo appuntamento della nostra “conversazione sulla nonviolenza” parliamo dunque di scuola, di bambini, di educazione non come semplice trasmissione di sapere, ma come percorso di crescita, di trasmissione di valori che incoraggino l’incontro nonviolento con l’altro.
Ne parliamo con Gabriella Fanara, insegnante delle primarie, DanzaMovimentoTerapeuta APID®, laureata in Scienze del Comportamento e delle Relazioni Sociali e formatrice di ED.UMA.NA., una rete di scuole che condividono una “visione umanista” dell’educazione e un approccio alla nonviolenza come stile di vita. Questa definizione è forse fin troppo sintetica, chiediamo quindi subito a Gabriella se è corretta.

D: Gabriella, puoi spiegarci meglio cos’è Edumana? Come nasce, da chi è formata, a chi si rivolge?

ED.UMA.NA è una rete di scuole e associazioni di Milano e una pratica di “Educazione Umanista alla Nonviolenza Attiva” diffusa nelle realtà scolastiche che fanno parte della rete. Progettata nell’ambito del Centro di Nonviolenza Attiva e del Tavolo cittadino di Educazione alla Nonviolenza di Milano, è nata ufficialmente nel settembre del 2017, quando alcuni istituti scolastici, associazioni no-profit ed enti territoriali decisero di costituire una rete per una sperimentazione triennale.
Oggi è una pratica educativa che si rivolge alle Scuole Primarie e alle Secondarie di primo e di secondo grado e lavora a stretto contatto con dirigenti, docenti, educatori ed educatrici, personale ATA, genitori, bambini, bambine, ragazzi e ragazze.
È un percorso quindi che riguarda tutta la comunità educante e che si occupa di prevenzione e contrasto al fenomeno della violenza in ogni sua forma manifesta o implicita e di promozione alla nonviolenza come stile di vita.
In concreto significa far vivere l’esperienza di una piccola comunità umana nonviolenta ad alunni e alunne, affinché possano acquisire strumenti ed esempi per costruire la propria identità e quella della società di cui fanno parte, nella direzione di una crescita personale e sociale solidale, empatica, aperta al dialogo e in definitiva più felice.

D: Puoi dirci qualcosa anche di te, del percorso personale che ti ha portato a riconoscerti in questo approccio educativo?

L’incontro con ED.UMA.NA e la preziosa collaborazione con Annabella Coiro, co-fondatrice della rete, hanno segnato un punto di svolta importante nel mio percorso di crescita professionale e personale. Da sempre sono alla ricerca di stimoli che mi aiutino a migliorare il clima scolastico, valorizzando e potenziando l’ambiente educativo in funzione di relazioni nonviolente.
Mi occupo di educazione e di benessere delle nuove generazioni, sia come docente che come esperta in Terapie Espressive, convinta dell’importanza di una formazione continua che dia linfa vitale al nostro lavoro di grande responsabilità e così multiforme.

D: Durante il nostro incontro, mi hai parlato di “pratica educativa attiva”, e hai fatto riferimento a bellissimi concetti quali “incontro con l’altro”, “percorso non legato alle discipline ma allo stare insieme”. Puoi spiegarceli meglio?

Come docente impegnata nella scuola da molti anni, reclamo l’urgenza di abbandonare ogni possibile rischio di autoreferenzialità e centralità dell’insegnante. Bisogna puntare su metodologie attive, perché al centro della vita scolastica ci sono le bambine e i bambini, i loro interessi e la loro creatività, e noi dobbiamo fare di tutto per favorirne benessere e felicità, agevolando la creazione di un clima di rapporti caldi e positivi.
Penso ad esempio all’importanza dell’apprendimento cooperativo che permette di lavorare insieme, con consegne e ruoli stabiliti: in questo modo ognuno si sente responsabile di un progetto comune e si rafforzano sia il senso di autoefficacia del singolo che la relazione del gruppo-classe.
Maria Montessori affermava che il bambino deve essere aiutato ad agire, ma l’adulto non deve mai operare in vece sua senza assoluta necessità: pensieri importanti che mi riportano alla maieutica di Danilo Dolci e alla straordinaria efficacia del Laboratorio Maieutico, un metodo elaborato da Daniele Novara che sperimento da anni. Preziose indicazioni che mi hanno trasmesso con urgenza la priorità di superare la logica dell’insegnamento trasmissivo (la lezione frontale, la tradizionale interrogazione, il problema obsoleto della valutazione sommativa), permettendo ai bambini e alle bambine di essere parte attiva del loro processo di apprendimento, di ricercare insieme, anche sbagliando. È un’idea di scuola come di un “grande laboratorio”, dove puoi provarci e riprovarci.

D: Parli di scuola lenta, di linguaggio delle emozioni. Puoi approfondire questa visione?

Occuparsi del benessere dei bambini e delle bambine necessita di percorsi rallentati e, soprattutto, di un ampio spazio da dedicare all’ambito affettivo-relazionale. Gianfranco Zavalloni, compianto dirigente scolastico e autore della Pedagogia della Lumaca, un testo fondamentale che mi ha accompagnato fin dagli inizi del mio percorso professionale, diceva che se il mondo reclama tutto e subito, noi educatori abbiamo il dovere di costruire una scuola lenta e nonviolenta, che necessiti di tempi naturali di attesa.
In concreto, possiamo rallentare l’inizio di una giornata scolastica e proporre alla classe momenti di silenzio, chiudendo gli occhi, connettendoci con il respiro, guardandoci l’un l’altro con il sorriso e poi liberando emozioni e parole. È una cosa semplice da fare, ma i risultati sono sorprendenti. “Perdere tempo a parlare” è la base di una buona relazione educativa: non si può prescindere dalla conoscenza reciproca, dall’ascoltare e conversare con bambini e bambine in modo autentico e sincero, vedendo noi stessi negli altri e comunicando interesse ed empatia e dirigendo lo sguardo verso chi parla. L’Ubuntu, uno dei principi cardine della pratica ED.UMA.NA proveniente dalla filosofia umanista africana, ci ricorda che il tempo è il regalo più prezioso che possiamo fare all’Altro e che i legami umani si creano offrendo tempo e condividendo esperienze.

D: Puoi provare a spiegarci come si svolge una “lezione nonviolenta”?

Nel libro Scuola Sconfinata edito da Fondazione Feltrinelli (2021) ho descritto una giornata scolastica in un breve diario dal titolo “Gesti sconfinati. Frammenti di un giorno di ordinario prodigio”. Questo per dire che a scuola ogni momento può diventare straordinariamente unico. Dai bambini e dalle bambine ho imparato che le cose belle sono racchiuse in semplici gesti, come l’accoglienza quotidiana alla porta, dove scambiarsi sorrisi e saluti personalizzati; il piacere di togliersi le scarpe all’ingresso in aula e di indossare i calzini antiscivolo, un gesto di rispetto per il nostro spazio che apporta un grande beneficio psicofisico derivato dalla sensazione di contatto tra i piedi e la terra; la sistemazione dei cuscini per il cerchio del dialogo; la cura delle piante, del materiale in comune e dello spazio personale; l’organizzazione dei tavoli per le attività cooperative.
Un ambiente curato e flessibile partecipa al progetto educativo in modo determinante e offre ai bambini e alle bambine quegli spazi di libertà e di autonomia di cui hanno bisogno per crescere bene. Le palline da tennis sotto sedie e banchi ci aiutano a ridurre al minimo i rumori, per vivere meglio un ambiente brulicante di vita, di relazioni, di possibilità. Tutto ciò concorre a predisporre positivamente la classe a un apprendimento significativo e duraturo.
La prima parte della mattinata trascorre allestendo spazi e incontrando sguardi, leggendo insieme brani che parlano di emozioni e di vita, ed anche di storie fantastiche che conducono in territori inesplorati. Nel cerchio fioriscono idee e progetti, ma anche respiri e silenzi ad occhi chiusi, che preparano alle attività didattiche.
Una “lezione nonviolenta” è fatta di tante piccole attenzioni e richiede impegno da parte dell’insegnante nell’agevolare la creazione di un clima accogliente e mai giudicante, con un tono di voce e un atteggiamento adeguati. In definitiva, come ci insegna l’antropologa Pat Patfoort, dobbiamo farci modello di relazione Equivalente (E) superando quello Maggiore-Minore (M-m), tipico della relazione violenta e prevaricante della nostra società.

D: Relazione Equivalente. Bellissimo. E poi mi dicevi anche che “non si stabiliscono regole, ma si fanno accordi”, e hai parlato di “comunità classe come microcosmo di una comunità educante”. Tutto questo non porta anche il bambino a giocare un ruolo diverso come futuro adulto nel suo sociale, un ruolo da “cittadino attivo”?

È proprio così. La classe è tenuta ad osservare le regole della scuola (ad esempio l’orario di ingresso e di uscita o l’organizzazione in mensa). All’interno del gruppo, invece, si stabiliscono accordi che riguardano ogni aspetto della vita comunitaria e che possono essere modificati nel tempo. Chiunque può esprimere una proposta, che verrà discussa nel cerchio del dialogo e approvata solo con adesione generale. In caso contrario si ridiscute, anche per lungo tempo, cercando soluzioni alternative che soddisfino la comunità, ma anche i bisogni individuali. Si trascrive quanto deciso sul “Libro degli Accordi” di classe e tutti ne condividono l’osservanza.
Ad esempio si decidono insieme gli incarichi da svolgere a turno e le modalità con cui organizzare i tavoli di lavoro, la gestione del materiale in comune, l’utilizzo degli spazi nei momenti liberi, e i progetti di cittadinanza attiva da realizzare sul territorio.
La classe è un mondo vitale, dinamico, sempre nuovo e diverso. Attraverso il fare i bambini e le bambine mettono in moto il loro apprendimento, imparano a cooperare responsabilmente e sviluppano competenze civiche che si concretizzano nel territorio. Si può ad esempio “fare scuola fuori dalla scuola”, affrontando temi significativi del quartiere e della nostra città all’interno dell’aula, individuando spazi oggetto di riqualificazione e occupandosene, anche con il coinvolgimento dei genitori, parte altrettanto preziosa e attiva della comunità educante.

D: Mi hai accennato a un progetto pilota che intende monitorare e “misurare” le ricadute positive di questo approccio sull’intera comunità educante? Puoi raccontarcelo?

Questo pensiero mi riporta agli inizi del nostro percorso. Nell’estate del 2017, la Dirigente Scolastica dott.ssa Rita Bramante, che ben conosceva il mio desiderio di cambiamento, mi propose di aderire con la nuova classe al progetto pilota che avrebbe dato inizio ufficialmente a ED.UMA.NA. A settembre, infatti, il nostro Istituto sarebbe entrato a far parte della rete in qualità di “scuola capofila” del territorio milanese.
Accettai con entusiasmo. Avrei avuto la possibilità di condurre per mano una classe pilota “nonviolenta”, collaborando a stretto contatto con un team di professionisti del settore educativo e con altre classi-prime della rete.
Il progetto era ambizioso e, a mio avviso, esaltante: si prospettava l’idea di poter “co-costruire” già dai primi giorni di scuola un percorso concreto in cui metodologie attive, strumenti educativi e buone pratiche avrebbero potuto diffondersi, nella mia e in altre realtà scolastiche del territorio per contribuire a far crescere una rete di scuole nonviolente. Nei primi tre anni di sperimentazione, la consulenza e la valutazione del progetto furono affidate al Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione dell’Università Statale di Milano- Bicocca; il monitoraggio era a cura di AFOL Metropolitana.
Questi anni di formazione e di osservazione dei cambiamenti sono stati intensi. La produzione di materiale si arricchisce tuttora attraverso il lavoro di docenti che condividono tra loro le esperienze di classe. Le informazioni sono disponibili per chiunque voglia approfondire l’argomento sul sito www.edumana.it.

D: In questi ultimi anni, la pandemia, il lockdown, le paure della società hanno pesato molto anche sui più giovani. Ma la scuola può aiutarli a superare le ansie e a vivere questa difficile fase del nostro tempo? E come?

In questo periodo di grandi emergenze mondiali, la scuola rappresenta ancor più uno spazio di socialità, nel quale diventa essenziale potenziare l’ascolto e la condivisione. Paradossalmente invece, dopo i periodi di chiusura forzata per la pandemia, si è preferito puntare sul recupero di contenuti scolastici, a volte eliminando o riducendo drasticamente gli spazi comuni a scapito, ad esempio, delle attività laboratoriali, del movimento espressivo, del canto corale.
Il rischio diffuso è stato quello di riacutizzare un’idea di scuola trasmissiva e distante dai bisogni affettivi e relazionali che l’età esige.
Ad aggravare il quadro generale, le statistiche parlano di una crescita esponenziale di manifestazioni di disagio infantile e adolescenziale. Non è facile accogliere le domande dei bambini e delle bambine senza essere coinvolti dal loro bisogno di rassicurazione e di risposte immediate; penso ad esempio a quanto sia contraddittorio per le classi ED.UMA.NA praticare la Regola d’Oro “Tratto gli altri come voglio essere trattato/a” (cardine della pratica e oggetto di interessanti laboratori), ed essere travolti quotidianamente da immagini di guerra diffuse dalla televisione e dai giornali.

D: Esattamente. Come si fa ad educare alla nonviolenza, mentre ovunque si parla di guerra?

Ogni fascia d’età necessita di una specifica modalità di affrontare l’argomento; certamente è bene evitare di esporre i più piccoli ad immagini che possano turbarli, allontanando la paura di una possibile guerra vicina che causerebbe loro angoscia. Come insegnanti possiamo accogliere nel cerchio del dialogo le domande che emergono spontanee e che appartengono a tutti e incoraggiare la verbalizzazione delle emozioni (inquietudine, paura, rabbia, angoscia) senza esprimere giudizi o dare soluzioni, ma favorendo la comunicazione empatica.

Noi docenti dovremmo porre molta attenzione alle parole che scegliamo nella comunicazione in classe. Aldo Capitini ci invita a “disarmare il linguaggio dell’educazione” nella quotidianità e non solo quando parliamo di guerra: questo a scuola può essere fatto dando voce alle emozioni con una scelta ben calibrata di letture, filmati, riflessioni su esperienze significative. È possibile promuovere una cultura della pace e della nonviolenza attraverso materiali particolarmente adatti all’età di riferimento.
Facciamo in modo che la classe sia promotrice di progetti di solidarietà e aiuti concreti che permettano di sentirsi tutti coinvolti attivamente. E poi cerchiamo il bello nelle piccole cose, individuiamo per ognuno di noi le virtù piuttosto che i difetti. Esaltiamo le buone pratiche e i momenti di crescita individuale e collettiva. E ancora, troviamo tutte le occasioni per mostrare gratitudine: un’esperienza vissuta insieme, una scoperta improvvisa, un fiore che sboccia, un piccolo traguardo da festeggiare, anche se attorno aleggia il pensiero della guerra.
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