Senza vergogna

Un libro di Giulio Gallera, l'ex-assessore al Welfare di Regione Lombardia silurato dalla sua stessa maggioranza durante la pandemia e sostituito dalla Moratti, scritto allo scopo di vantare il modello di assistenza lombarda, assolversi del proprio operato e addossare tutte le colpe del disastro sanitario lombardo al governo Conte. ()
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In questi giorni ho letto, non senza difficoltà, un libro che non pensavo qualcuno avesse il coraggio di scrivere. Sto parlando di quello che ha per autore Giulio Gallera - indimenticabile in molti sensi - assessore al Welfare e tutore della salute dei lombardi fino al gennaio 2021. “DIARIO DI UNA GUERRA NON CONVENZIONALE” questo è il titolo e “la nostra lotta contro il virus” è il sottotitolo. Sembra che sia tra i bestseller e io l’ho comprato per la curiosità di vedere fino a che punto è potuta giungere la sua rappresentazione di quanto è successo.

Una prefazione encomiastica
La prefazione è di Sallusti (direttore di Libero) che dipinge Gallera come un santo martire moderno, vittima di un massacro mediatico durante il suo mandato e oltre. Così descrive l’opera: “Con il ritmo del diario personale, viene qui raccontata la corsa contro il tempo (e contro l'inerzia del governo centrale) per smontare e rimontare la macchina della sanità regionale, alla ricerca frenetica di respiratori, mascherine e posti letto. Da protagonista di quelle fasi, Gallera documenta con precisione la genesi di decisioni difficili ma necessarie, il nascere delle delibere più contestate, la costruzione di una task force efficiente contro il virus. Soprattutto viene dimostrata, dati alla mano, la bontà del lavoro svolto, che smentisce i terribili attacchi mediatici e politici che hanno accompagnato quella stagione: il tempo è galantuomo. Un lavoro accurato e partecipe dove ogni pagina, che racconti l'impegno generoso di medici e infermieri o che offra spazio a intime riflessioni, è attraversata da toccanti momenti di umanità”.

In difesa del modello lombardo
Ecco in poche righe encomiastiche riassunto il libro e il fine dell’operazione: addossare tutte le colpe al Governo Conte ed ad altri, assolversi e gloriarsi dell’immane compito assolto. Gli attacchi oltre che essere ingiustificati, insiste Sallusti, erano non solo rivolti alla persona dell’Assessore ma soprattutto verso il modello di assistenza sanitaria creato, nel corso degli anni dal trio Formigoni Maroni Fontana, e portato ai massimi risultati dall’autore (indimenticabili i tre milioni di lettere ai cittadini cronici).

Il successo (ho dato anch’io il contributo) sarà determinato dagli acquisti di cittadini entusiasti e memori dell’anno 2020, oppure curiosi di vedere fino a che punto si possa “girare” la frittata e tentare di costruirsi la propria plastica politica. Mi iscrivo tra i secondi e tra coloro che seguirono passo passo dai media i ritmi del lockdown e il numero incessante e crescente dei decessi, dei ricoverati, delle sofferenze e ascoltarono le conferenze stampa dell’Attilio (Fontana) e del Giulio (Gallera).

A casa! Ma senza assistenza
In questo breve scritto non posso far ricordare tutte le contraddittorie notizie e indicazioni di allora. Ricordo solo gli accorati appelli a “stare a casa” confinando così migliaia di anziani senza assistenza, se non una rara telefonata con il proprio medico di base.
La prima fase concitata è descritta nel primo capitolo. A mo’ di diario e di epopea vi si narra il balletto dei funzionari regionali e nazionali, dei colloqui con il Governo, i blocchi dell’area di Codogno e dintorni, la chiusura dell’Ospedale di Alzano e la sua riapertura (senza molte giustificazioni). Intervallati da commenti pesanti sulle responsabilità del Governo centrale riguardo le indicazioni a chi fare i “tamponi” (il governo aveva indicato di farli solo ai sintomatici). (Rimane un mistero perché a livello nazionale non si sia pensato fin da subito ad ampliare la rete dei laboratori abilitati e soprattutto perché il commissario all’emergenza Covid non si sia attivato per acquistare un numero di kit diagnostici adeguato per l’ondata che ha travolto il nostro Paese. A queste domande, che io e molti altri ci siamo fatti in questo lunghissimo periodo, non abbiamo ancora trovato risposta) Peccato che questa domanda se la fecero in molti a proposito dell’assenza di un Piano pandemico Regionale. Però Il Gallera si vanta: “Noi, comunque, anche in questo caso, ci siamo mossi subito. Appena abbiamo avuto coscienza che, purtroppo, lo tsunami coronavirus non era circoscritto al focolaio di Codogno e del basso lodigiano ma dilagava a velocità impressionante, abbiamo (sin dal 24 febbraio) coinvolto ben 47 strutture di ricovero e cura pubbliche e private per ottenere la loro disponibilità a essere attivati come laboratorio per la ricerca della Sars-Cov-2. Due giorni dopo, il 26 febbraio, ne attiviamo due nuovi, che si aggiungono ai primi 3 di gennaio. Il 1° marzo i laboratori attivati diventeranno 10, il 6 marzo 12, il 31 marzo saranno 23 e il 27 aprile già 43 con una capacità di processazione di 16.000 tamponi al giorno".
Da notare la data del 27 aprile due mesi dopo.

La domanda dagli scienziati nel mondo
L’impreparazione non fu solo della Lombardia, ma dell’Italia nel suo complesso. Per circoscrivere il contagio o il tracciamento era necessario un numero di “tamponi” analogo a quello che venne fatto in Germania già nei primi giorni del primo caso. Le ricerche successive dimostrarono che l’infezione era già presente nel territorio lombardo a gennaio e la domanda che si fecero gli scienziati di tutto il mondo fu come mai non fu rilevata subito in una Regione che si vantava di avere un sistema sanitario tra i più evoluti.
Un’altra ricerca cercò di valutare lo start up del contagio provocato dalla partita di calcio Atalanta-Valencia giocata a Milano. Un quinto dei tifosi atalantini, intervistati da Report, dichiararono che nelle settimane precedenti di aver avuto sintomi nelle due settimane successive all’evento. Col senno del poi ma con la prudenza che dovrebbero avere chi ha la responsabilità di Governo della salute dei cittadini sarebbe bastato rinviare quella partita o tracciare i 36000 tifosi per avere un quadro reale dell’incidenza della nuova patologia. Invece si iniziò a gridare all’untore, la comunità della Chinatown milanese, a bloccare i voli con la Cina e aspettare che l’allarme si sgonfiasse.

In Val Seriana
Il balletto di responsabilità si è intensificato in occasione del blocco mancato della Val Seriana.
Nel libro Gallera dichiara di avere chiesto la zona Rossa a Speranza il 5 marzo, ma solo il 7 il Governo decretò la zona rossa in tutta la Regione. Non dice degli accorati appelli delle associazioni imprenditoriali bergamasche e lombarde di non procedere al blocco produttivo. Nel libro non c’è traccia delle mascherine fatte con le mutande o di quelle del cognato e neppure che inspiegabilmente la Regione ordinava milioni di mascherine quando ormai sul mercato erano state accaparrate da altri. Gallera ne prometteva a valanghe e intanto negli ospedali centinaia di infermieri, medici e operatori si ammalavano e morivano.

I numeri parlano (leggendoli bene)
L’appendice dell’Opera Galleriana è intitolata “La verità dei numeri sgretola le fake news e le accuse calunniose”. Si poteva pensare che oltre alle lagnanze delle prime 150 pagine, almeno in questa parte sciorinasse dati che sono in possesso della Regione. Ma no!
Ripete: “La Lombardia è stata colpita alle spalle, all’improvviso e con una violenza inaudita. Lo dimostrerebbe che nella prima ondata il 50% dei casi italiani della prima ondata si sono verificati in Lombardia Lo confermerebbe l’eccesso di mortalità rilevato e riconosciuto in più studi nazionali e internazionali”.
Ma questi due dati incontrovertibili non dimostrano che in Lombardia si è accanito un virus più virulento piuttosto conferma l’inappropriatezza delle politiche sanitarie approntate dalla Regione.

Gallera rigetta tutte le “false” accuse: “Non è vero che in Lombardia la struttura di cura sia ospedalo-centrica e che si è trascurato la medicina territoriale”. Per provare questa “verità” esibisce l’analisi del professor Signorelli (prorettore Università San Raffaele) dove si dimostra che nella provincia di Piacenza (Emilia Romagna) la mortalità è stata superiore (udite, udite) a quella di Bergamo. In due paginette, con qualche confronto numerico (sappiamo le sue capacità) vuol dimostrare che alla fine ai Lombardi non è andata troppo male.
Sempre la stessa Ricerca (scelta tra le migliaia disponibili) di Carlo Signorelli confronta la Lombardia (montagne comprese) con lo Stato di New York, la Città metropolitana di Madrid, la Catalogna ecc. nei primi 70 giorni per evidenziare che tutto sommato qui il numero dei decessi e dei casi in rapporto alla popolazione non era più alto. Conclude con il solito spreco d’incenso a suo uso e consumo: “Siamo stati i primi ad essere colpiti ma, in confronto siamo stati bravi e veloci ad affrontare l’emergenza”.

La strage nascosta
Le ultime due pagine del libro e di questa appendice “scientifica” sono dedicati ai decessi incontrollati nelle RSA Lombarde. Consiglio ai parenti dei deceduti di non leggere per evitare colpi apoplettici o travasi massivi di bile.
Il nostro premette che “gli anziani morti nelle RSA sono una ferita che riguarda tutti noi (chi?) e che ci rimane dentro, nel profondo”.
Così nel profondo che a tutt’oggi, la Regione Lombardia non ha prodotto nessuna statistica regionale su quanto è successo, ovvero quanti nelle varie RSA sono deceduti per Covid o per sue complicanze. Solo la ATS (agenzia territoriale) di Milano ha redatto un rapporto periodico e, se non sbaglio, entro il maggio 2020 più di 2500 decessi avvennero nelle RSA dell’area metropolitana su circa 15.000 ospiti.

Basterebbe poi scorrere le pagine dei giornali di allora per trovare centinaia di appelli di gestori di RSA, di parenti, di Sindaci che chiedevano la fornitura di tamponi, di mascherine, di personale in sostituzione a quello ammalato o in quarantena. Senza andare a consultare decine di ricerche scritte a livello internazionale sul “caso Lombardia” basterebbe leggere una ricerca fatta da Arlotti e Ranci del Politecnico di Milano dove puntualmente vengono elencate le cause di quella che gli stessi chiamano “la strage nascosta”.

Ora il ”libercolo” di Gallera vorrebbe sotterrare questa realtà fatta dai quarantamila morti lombardi di cui almeno un quarto nelle RSA. Quanti di questi decessi potevano essere evitati? Se permettete come cittadino lombardo provo vergogna per quello che è successo a tutti questi anziani indifesi e anche perché la giustizia italiana sta assolvendo e assolverà i responsabili, che non hanno nemmeno avuto il coraggio di dimettersi dalle cariche pubbliche.


Arlotti, M., Ranci, C. (2020), Un’emergenza nell’emergenza. Cosa è accaduto alle case di riposo del nostro paese?, Laboratorio di politiche sociali, Politecnico di Milano

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