La legge toscana sulla partecipazione, un’esperienza all’avanguardia

Chiara Pignaris, esperta di percorsi partecipativi, racconta in quest’intervista le caratteristiche, i pregi e gli aspetti critici di una legge che ha reso il dibattito pubblico obbligatorio per opere di un valore superiore a 50 milioni di euro e ha permesso la realizzazione, dal 2007 ad oggi, di oltre 200 percorsi partecipati per piccoli interventi sparsi sul territorio. ()
town meeting
Chiara Pignaris, dopo un’esperienza come Responsabile del Progetto Quartieri e Partecipazione del Comune della Spezia, ha fondato Cantieri Animati e negli ultimi vent’anni ha condotto centinaia di percorsi di coinvolgimento e di formazione on the job per enti pubblici e soggetti privati, sperimentando diverse metodologie dialogico-deliberative e tecniche di gestione dei conflitti. È stata socia fondatrice dell’Associazione italiana per la Partecipazione Pubblica (AIP2), di cui è attualmente presidente, e promotrice della Carta della Partecipazione.


Dott.ssa Pignaris, la Legge della Regione toscana sulla partecipazione ha avuto due versioni, la prima nel 2007 e l’ultima nel 2013. Lei ha fatto parte del gruppo di esperti che sin dall’inizio ha seguito la formazione della legge. Può raccontare quest’esperienza?

Fin dal 2005, sull’onda del Social forum europeo di Firenze del 2002, si era creato un clima di entusiasmo e aspettative su una nuova idea di democrazia che desse davvero la parola ai cittadini. Così la legge n. 69 del 2007 (“Norme sulla promozione della partecipazione alla elaborazione delle politiche regionali e locali”) è stata preceduta da due anni di lavori preparatori, studi e ricerche che hanno coinvolto esperti come Alberto Magnaghi, Giancarlo Paba e Anna Lisa Pecoriello della Rete del Nuovo Municipio, Iolanda Romano di Avventura Urbana, il prof. Luigi Bobbio che aveva già condotto un primo Dibattito pubblico per la Gronda di Genova. Tra le varie iniziative, a me era stato affidato di girare la Toscana per intervistare gli eletti, sindaci, presidenti di Provincia, consiglieri regionali, incontrando anche qualche perplessità, specie sul fatto che ai cittadini venisse data la possibilità di raccogliere firme per avviare direttamente un percorso partecipativo.
Il tutto si è concluso con il grande Electronic Town Meeting nel Padiglione della Fiera di Marina di Carrara, con 500 cittadini in gran parte esperti, ma anche estratti a sorte, per l’elaborazione delle linee guida della legge. L’esperienza della legge toscana per noi tutti è stata un’importantissima palestra.


Quali sono state le linee fondamentali di quella prima legge?

Intanto è stata istituita l’“Autorità regionale per la garanzia e la promozione della partecipazione” – formata da una sola persona con la legge del 2007 e da tre nel 2013 -, con ruolo terzo, indipendente rispetto sia ai cittadini che all’amministrazione, col compito di promuovere, valutare, indire, assistere metodologicamente e monitorare i diversi percorsi partecipativi in Regione.
Dopo approfondita discussione, che vedeva in campo l’ipotesi delle Giurie di cittadini di matrice statunitense e australiana e il Dibattito pubblico francese, fu deciso di inserire nella legge quest’ultimo, forse più vicino alla nostra cultura politica, prevedendo che potesse essere richiesto da tutta una serie di soggetti. Anche altri diversi percorsi partecipativi a livello locale potevano essere richiesti da cittadini, autorità locali e scuole; e inoltre la stessa Regione, si impegnava a promuovere specifici percorsi partecipativi per la costruzione delle proprie politiche (questa parte purtroppo nella seconda edizione della legge è stata eliminata).


Può fare qualche esempio concreto? Il “Dossier sulla Partecipazione in Toscana” da lei curato per INU Edizioni parla di ben 111 esperienze attivate in Regione nei primi 5 anni della legge del 2007.

Ad esempio a Buonconvento (Siena) c’è stata un’importante esperienza, guidata da me su incarico del “Comitato per la salvaguardia dell’ambiente e del paesaggio”, per valutare la proposta di realizzare alcuni impianti di biogas; altri percorsi hanno riguardato la partecipazione dei ragazzi delle scuole sui temi del verde, della riqualificazione urbana e del riuso dell’invenduto alimentare; a Montespertoli (Fi) è stata co-prodotta una “Mappa di comunità” tra le prime in Italia. L’assessore Bugli alla Partecipazione ha attivato tanti percorsi sui temi dei migranti, dei beni comuni, delle cooperative di comunità, l’assessora Stefania Saccardi alla Sanità si è occupata di Società della salute… Ma sui percorsi attivati dal 2013 con la seconda legge basta andare al sito Open Toscana Partecipa.


Quali sono le caratteristiche della seconda legge sulla partecipazione?

Intanto bisogna dire che la prima legge era “a termine”, cioè prevedeva la propria decadenza a fine 2012 salvo rinnovo (questa clausola non esiste nell’edizione del 2013). Dunque fin dall’inizio del 2012 è iniziato un lungo lavoro di verifica e monitoraggio dei risultati di applicazione della legge del 2007. La carenza maggiore è stata che nessuno ha chiesto un Dibattito pubblico, forse per sfiducia, o per ignoranza della legge, o per diffidenza verso un’Autorità troppo indipendente. Così la nuova legge 46 del 2013 ha messo il Dibattito pubblico addirittura nel titolo (“Dibattito pubblico regionale e promozione della partecipazione alla elaborazione delle politiche regionali e locali”), e l’ha reso obbligatorio per opere di un valore superiore a 50 milioni di euro.


Sono stati attivati dei Dibattiti pubblici?

Sì, ma sempre pochi, il più rilevante è stato quello sull’ampliamento del porto di Livorno condotto dall’esperta francese Sophie Guillain, indetto obbligatoriamente perché superava il limite di spesa, cui hanno partecipato per la valutazione finale esperti come Bobbio, Sclavi, Bertello e noi di AIP2. È stato interessante ma la sua caratteristica è che non aveva elementi di conflittualità, tutti a Livorno erano d’accordo su questo ampliamento, per cui non c’è stata una partecipazione molto numerosa.
Sulla questione della nuova pista e dell’ampliamento dell’aeroporto di Firenze il Dibattito pubblico fu chiesto dal sindaco di Pisa, che avrebbe voluto allargarlo alla revisione globale del sistema aeroportuale della Toscana, ma l’iniziativa è stata bloccata dalla scadenza elettorale del 2015, perché la legge vieta Dibattiti pubblici nei sei mesi che precedono le elezioni regionali. Inoltre era già stato organizzato un confronto pubblico durante la fase preliminare, gestito dal “Garante regionale della comunicazione”, che dipende direttamente dalla Giunta e dall’Assessorato al Governo del territorio, con un non perfetto coordinamento con l’Autorità della partecipazione.

Poi c’è stato un secondo Dibattito pubblico, su iniziativa del Comune di Gavorrano (Gr) che ho gestito personalmente. Si trattava di risolvere un problema spinoso: la questione di dove collocare i gessi rossi di Scarlino, prodotti in grande quantità a seguito della reazione chimica causata dall’uso della marmettola, sottoprodotto del marmo delle Apuane, per spegnere le sostanze acide che vengono usate per estrarre il biossido di titanio dalle scorie titanifere. Questo “gesso chimico” è classificato come rifiuto speciale non pericoloso che può essere usato per il ripristino geomorfologico delle cave, ed infatti è stato collocato per 15 anni nell’ex cava di Montioni, tra Scarlino e Follonica, la cui collina mozzata è stata ripristinata. Il privato, la multinazionale americana Venator, aveva individuato come idonee alla collocazione dei gessi due grandi cave nel territorio di Gavorrano, ed ha co-finanziato il Dibattito per 50.000 euro, che si sono aggiunti ai 38.000 messi a disposizione dall’Autorità toscana.


Come mai solo due Dibattiti pubblici?

C’è sicuramente un problema di risorse destinate alla legge sulla partecipazione, che sono state progressivamente ridotte negli ultimi anni. Ma è anche vero che c’è una grandissima richiesta di percorsi partecipativi di altro genere, e si può dire che si è finito col privilegiare i piccoli numerosi interventi sparsi sul territorio. Dal 2007 l’Autorità ha gestito oltre 200 percorsi partecipativi; in Emilia Romagna sono stati di più, ma ciascuno con un finanziamento assai più piccolo, non superiore ai 20.000 euro.
In Toscana sono stati assegnati contributi molto più alti, ad esempio a Firenze per il percorso sulla moschea di Firenze fu assegnato un contributo di 75.000 euro, per il piano strategico della Città Metropolitana di Firenze 80.000 euro. Da noi a Firenze negli ultimi anni, grazie al sostegno della legge sulla partecipazione, sono stati promossi decine di processi partecipativi come i progetti sull’area dell’ex caserma dei Lupi di Toscana, dell’ex area S. Salvi, della piazza delle Piagge a Firenze o di Sant’Orsola e San Lorenzo (gli ultimi tre sono percorsi partecipativi promossi dal basso).
Non bisogna però dimenticare che la Toscana era ricca, anche prima della legge del 2007, di tante esperienze partecipative, di una creatività che continua anche oggi. L’Autorità spesso riconosce e supporta, con sostegno metodologico ed economico, tante esperienze che nascono dal basso.


Per esempio?

La legge prevede anche percorsi partecipativi promossi dalle scuole. Un progetto che ho curato è stato promosso dall’Istituto per Geometri Salvemini, che ha lavorato alla rivitalizzazione della piazza SS. Annunziata a Firenze; gli studenti, opportunamente formati, non solo sono stati partecipanti attivi ma si sono messi anche a fare i facilitatori, coinvolgendo cittadini e turisti, e hanno elaborato proposte quali un bar sulla terrazza del MUDI (Museo degli Innocenti), che poi è stato realizzato. Con il progetto “Last minute gourmet”, l’Alberghiero di Montecatini Terme ha fatto un progetto per recuperare l’invenduto alimentare, cucinando pasti da chef con gli scarti o i cibi in scadenza per la Caritas locale.


Riassumendo, quali elementi critici vede ancora nella legislazione toscana?

Ripeto, l’esperienza è in gran parte positiva. Forse in nessun’altra Regione si fa tanta partecipazione come in Toscana e in Emilia Romagna. C’è come detto un problema di risorse, e uno di maggior fiducia nell’Autorità indipendente e forse di suo maggiore raccordo con l’amministrazione regionale. La figura del Garante della comunicazione probabilmente va unificato con l’Autorità della partecipazione. La carenza delle esperienze di Dibattito pubblico resta forse ancora il limite maggiore. Poi, da un po’ di tempo, dopo il termine del mandato circa un anno fa dell’Autorità regionale, sembra esserci un po’ di stallo nelle diverse iniziative.


Immagine iniziale: da "Le Vie della Partecipazione", un’immagine del town meeting toscano che ha preparato la legge - Carrara Fiere,18 NOVEMBRE 2006.



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