Autore: Ennio Galante
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Cari Burgio e Sacerdoti, Leggo con interesse il vostro educato dibattito sulla riapertura dei navigli.
Essendo milanese fin dalla nascita, ho visto da bambino, durante la guerra e l’immediato dopo-guerra la fase di abbandono dei navigli e la successiva ricopertura, in nome della crescente mobilità urbana su gomma. Successivamente ho seguito (un po’ “da lontano”) la fase del lancio delle VIE D’ACQUA DA MILANO AL MARE (ho ancora il libretto del 1963, che mi diede il prof. Arnaudi quando è stato senatore). Di quel canale Milano-Cremona-Po (doveva permettere la navigazione fino a 1350 tonnellate. Mi pare che il terminale milanese sia rimasto nel nulla a S.Donato. In materia di ricordi urbanistico-ambientali, aggiungo un’altra distruzione della quale ormai si è persa memoria e interesse: quel che restava delle mura di Milano, demolite in gran parte all’inizio del secolo scorso, dopo l’ultima guerra fu distrutto (quasi completamente) per edificare palazzoni. L’ultima botta, in questo caso, è avvenuta con la costruzione del Centro Feltrinelli. Io sono conservazionista sia per i beni naturali che per quelli edificati dall’uomo. Purtroppo non ho seguito da vicino la vicenda della “riapertura” dei navigli. Alcuni amici urbanisti sono critici. Personalmente sono per il restauro conservativo dell’antico, piuttosto che per il rifacimento astorico (vedi molte zone del centro di Milano). Tuttavia cerco di capire alcune obiezioni tecniche alla riapertura. Un esempio che ho sentito riguarda l’incrocio tra Corso di Porta Romana e via S. Sofia.
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