Città Studi, un trasferimento da rifiutare.
A Palazzo Marino si è svolto un ennesimo convegno sul trasferimento delle facoltà scientifiche dell’Università Statale di Milano alle aree Expo. Una questione tra le più importanti in discussione in questi anni che, insieme a quella degli scali FS, avrà ripercussioni profonde per i prossimi vent’anni sulla vita della nostra zona e della città.
Un convegno con numerosi interventi di rilievo. Riportiamo quelli del prof. Renzo Rosso del Politecnico di Milano e del prof. Riccardo Ghidoni della Statale che ben chiariscono due aspetti fondamentali della questione. Il primo ci invita ad una riflessione sul ruolo e la vocazione dell’università, richiamando i protagonisti dell’insegnamento universitario alla salvaguardia dell'istituzione, il secondo ci permette di conoscere la reale situazione delle sedi di Città Studi e di comprendere quali siano quelle che non sono oggi in grado di soddisfare le esigenze degli studenti e dei docenti e su cui occorre intervenire.
Il prof. Rosso ha ricordato come a partire dagli albori e sino ai tempi più recenti l’università abbia svolto una funzione fondamentale per lo sviluppo della società, la trasmissione del sapere, coltivando l’educazione degli individui allo scopo di creare cittadini informati e critici. Oggi la sola preoccupazione è quella di formare dei lavoratori. Si è persa la capacità di dare agli individui una formazione sociale. Oggi ci si basa sulla competitività, ieri sulla condivisione del sapere. Oggi la struttura di governo dell’università è gerarchica, sul modello dell’impresa privata, si prendono decisioni in un contesto di tipo aziendale, senza democrazia. Non si concepisce l’allievo come destinatario del sapere, ma come prodotto da formare.
E’ un sistema che sta andando in crisi in tutto il mondo, non solo in Italia, dove si sono avuti tagli drastici dei fondi e riduzioni consistenti del numero dei docenti, ma ovunque e nelle università più ricche e prestigiose nelle roccaforti del neo-liberismo. L’università centrata sulla formazione di un lavoratore funziona sempre meno in una società dove il mondo del lavoro cambia continuamente e in cui perciò il bisogno di cultura diventa essenziale, occorre la capacità di capire e di adattarsi alle novità, non di saper fare alcune cose e basta. L’università deve essere un luogo fisico dove incontrarsi, dove la ricerca del sapere diventa impresa cooperativa, non competitiva, La competizione non porta innovazione, comporta miglioramenti e perfezionamenti, ma non è in grado di affrontare il cambiamento. Il progetto di una cittadella del sapere isolata poteva forse avere significato vent’anni fa, ma oggi è superato. L’università pubblica è uno spazio aperto che chiunque deve poter frequentare, biblioteche e lezioni sono e devono rimanere accessibili al pubblico.
Milano conta sette università e centri di ricerca che insieme costituiscono un polo di cultura scientifica e sono inserite in un ambiente urbano omogeneo nella parte est della città; Bicocca, Università San Raffaele, gli IRCCS Besta e INT, i laboratori del CNR, il Politecnico e la Statale. E in più Città Studi è piena di aree da riusare, non da abbandonare. Non bisogna seguire il cattivo esempio di Genova, dove si è deciso di portare in un’area privata dislocata fuori città la Scuola Politecnica.
La classifica delle migliori università stilata da un qualificato sito americano (www.bestcolleges.com) riporta nelle prime tre posizioni a livello mondiale la Columbia University di New York, situata vicino al Greenwich Village, l’Università di Chicago e la Penn University di Philadelphia, stanno tutte dentro la città, non fuori.
E’ bene allora capire cosa succede senza affondare la testa sott’acqua.
Il prof. Riccardo Ghidoni, ordinario di biochimica della Statale, membro del CdA sino all’anno scorso, ci ha finalmente permesso di capire quale sia la reale situazione delle sedi delle facoltà che si vogliono trasferire a Expo. Un trasferimento che il rettore Vago ha dichiarato nell’ottobre scorso necessario a causa dello stato fatiscente degli edifici che comporta un costo di ristrutturazione più alto di quello di costruzione ex-novo, lasciandoci alquanto perplessi al riguardo.
La decisione di abbandonare Città Studi comporta una svolta epocale, ha rilevato il prof. Ghidoni e non può essere proposta senza aver prima censito l’esistente, analizzati i problemi, proposte delle soluzioni e confrontate le possibili alternative tenendo presente le esigenze di efficienza e quali sono gli interessi dei soggetti coinvolti, ponendo in primo piano quello della città.
L’Università Statale di Milano è parte della città, non è un ente a sé stante, non può prendere decisioni estranee all’interesse collettivo. La proposta del trasferimento va quindi valutata a fronte di progetti che tengano conto di tutte le necessità e condizioni da soddisfare e dei costi da sostenere, come occorre fare per qualunque iniziativa di questo genere.
La Statale a Città Studi occupa tre grandi plessi, il quadrilatero Ponzio, Celoria, Golgi, Venezian, dove stanno Fisica e Chimica, il quadrilatero Colombo, Celoria, Ponzio, Mangiagalli dove c’è Veterinaria, Agraria , Medicina, e il quadrilatero degli edifici storici, Saldini, Mangiagalli,Botticelli, Murani con Matematica, Medicina. Altri edifici sono sparsi intorno a Città Studi e a Segrate.
Lo stato di occupazione di questi edifici è nella norma, molti sono anzi semi vuoti, il numero dei docenti è calato del 20 % negli ultimi anni, e una situazione critica è quella di Chimica, sistemata in uno stabile costruito all’incirca nel 1967, dove le condizioni di sicurezza non sono adeguate e il sovraffollamento è alto.
Quindici anni fa si decise di spostare Veterinaria a Lodi, una decisione saggia considerando le esigenze della facoltà; attualmente occupa ancora spazi e laboratori a Città Studi, che verranno liberati nel prossimo anno. Per essere utilizzata deve essere ristrutturata, ma sarebbe certo una sede ambita da altri dipartimenti (si è parlato di Beni Culturali, attualmente dislocato in fondo a via Ripamonti). Un’altra situazione critica riguarda il dipartimento di Farmacologia, prima dislocato in viale Abruzzi e poi trasferito in via Balzaretti, dove oggi non ha sufficienti spazi per lo svolgimento dei corsi e i laboratori.
In conclusione su una trentina di edifici occupati dalla Statale a Città Studi sono due quelli che presentano criticità. Da notare che l’edificio in viale Abruzzi, abbandonato da anni, è stato messo all’asta due volte, per 10 e 8 milioni di euro, senza successo e verrà riproposto a 6 milioni di euro. C’è da temere che, stante le stime dei ricavi previsti dall’alienazione degli stabili della Statale, se c’è un buco a Expo, se ne crei un’altro a Città Studi. E’ possibile allora che si debba umiliare la cittadinanza milanese per un’operazione immobiliare, priva di motivazioni culturali e sociali, invece di sistemare Città Studi e risolvere le poche criticità che ci sono?
Ci sembra ora chiaro che non possiamo accettare la pretesa del rettore Vago che sia più conveniente costruire nuove facoltà scientifiche a Expo, quando è di gran lunga più ragionevole risolvere a costi enormemente inferiori le criticità esistenti e le ristrutturazioni necessarie a Città Studi.
E’ sorprendente poi che non si sia nemmeno preso in considerazione di valutare concretamente i costi degli interventi a Città Studi, facilmente inquadrabili e preventivabili, a fronte del trasferimento a Expo - valore stimato pari a 380 milioni di euro - come sarebbe nella logica delle cose e del divario evidente, lasciando da parte ogni altra considerazione in merito alle opportunità della scelta.
E’ ancora più sorprendente che l’assessore Maran, avallando una proposta che è arduo dare per scontata, abbia ritenuto di risolvere le disastrose conseguenze dello svuotamento di Città Studi, affidando un incarico al prof. Balducci per reperire, diciamo sul mercato, le opzioni disponibili a riempire il vuoto, opzioni che stando alle anticipazioni del Comune consisterebbero in buona parte nell'avvicendamento degli studenti della Statale con quelli di altre Università, Bicocca e Politecnico, ne mandiamo via alcuni, ne facciamo arrivare altri, è possibile?