La Casa dello Studente come l'ho vissuta io
Arrivo a Milano da una famiglia “perbene” di una provincia “perbene”
Sono arrivato a Milano nel Novembre del ’62. A mezzogiorno di un giorno dei primi di Novembre e trovo tutte le luci accese, le auto che circolano con i fari accesi e tutto sembrava nero.
Nel vedere lo smog per la prima volta ebbi, in qualche misura, la sensazione di una città chiusa e inospitale cosa che avrei verificato come non vera negli anni immediatamente successivi, anche se in circostanze totalmente diverse.
Occorre valutare i tempi, allora viaggiare era ancora riservato a pochi e la propria vita era cadenzata da ritmi e impegni quasi rallentati all’interno di una provincia sonnolenta.
Primo impatto con la Casa dello Studente
Un'orribile Casa dello Studente, vecchia come edificio, ma pur capace nella sua decadenza di offrire servizi agli studenti oltre all’alloggio quali mensa, bar, barbiere, sala biliardi, sala televisione, ambulatorio medico, sala telefoni, salette studio e lettura, palestra, auditorium cose che oggi sembrano fuori dal mondo.
Evidentemente il fascismo e la sua classe dirigente erano più capaci di comprendere, rispetto a quella di oggi, le necessità di uno studente ospite in una città diversa chiaramente nell’ottica di riprodurre la propria classe dirigente e non per aprire, attraverso lo studio, il sapere, la conoscenza a tutti.
Camere vecchie anche se ampie e alte e con il lavandino, docce e gabinetti in comune che rivelavano l’usura e la mancanza di rinnovamento, telefoni in comune nel corridoio su cui si affacciavano le camere.
Il Politecnico, che era uno dei gestori, non aveva operato ristrutturazioni quantomeno significative e visibili così che il decadimento era palese e continuativo.
Tanti ragazzi, ma ognuno coi supi pensieri
Lo sciamare degli studenti in entrata e in uscita dalle camere, dalla mensa e dal bar dava una certa vitalità ad un ambiente vecchio e decadente, ma dava anche il senso dell’isolamento e della frammentazione pur con un comun denominatore evidente che erano la giovinezza, il desiderio di vivere e divertirsi, riuscire negli studi e pochi soldi.
E con comune denominatore non espresso e non ancora cosciente che era l’insoddisfazione di come si studiava, delle difficoltà non derivanti dallo studio in sé, ma dalla sua astrattezza, per il rapporto con i professori, dalle preoccupazioni delle prospettive di lavoro pur in una economia in sviluppo, dal servizio militare.
Era come entrare in un centro commerciale di oggi: tante persone ma ognuna per conto proprio con i propri pensieri e problemi, attenti a non entrare in collisione che si sentivano soddisfatti del solo essere presenti, condividere obiettivi sconosciuti l’un l’altro e incapaci di esprimerli e confrontarli perché ognuno pensava di essere diverso dall’altro.
e poi l’Università
Masse, per me enormi, di studenti che si precipitano al mattino presto nelle aule per poi correre alla lezione successiva e trovare un posto a sedere o anche in piedi per seguire le lezioni.
Erano già state costruite le aule del Trifoglio di via Bonardi è già molte persone rimanevano fuori.
Questo precipitarsi per non perdere una parola, per prendere a testa bassa gli appunti e magari non capire di cosa si stesse parlando e che si era obbligati a interpretare quando li si riprendeva, a confrontarli con il testo (scritto naturalmente dal professore), la lontananza dei professori determinavano un vero e proprio stress che portava alla perdita della stima di se stessi e all’interrogativo se si erano scelti la città giusta e la facoltà giusta.
I primi esami e la paura che incutevano erano ancora lontani per cui le altre domande erano solo rimandate di qualche mese.
Il Politecnico
...anzi il Regio Politecnico, rivelava lo stile fascista: spazi enormi in cui era importante sentirsi piccoli di fronte a un sapere che doveva essere riverito e contemplato.
Eppure anche nella nostra ingenuità vedevamo le prime vittime di questo sapere avulso dalla realtà quotidiana, gente che si aggirava durante le lezioni e che sembravano sapere tutto ma poi venivi a sapere che non riusciva a superare l’esame da tempo.
I famosi fuori corso, lo sarei sato anch’io, di età più varia, si aggiravano prodighi di consigli e di scherzi verso le matricole, ma ma in effetti trasmettevano le loro paure, le loro frustrazioni e i loro sensi di colpa per gli insuccessi giudicati tali dai parametri di misura vigenti.
Per il Politecnico la Casa dello Studente era più una incombenza, purtroppo ereditata, che un luogo dove lo studio continuava ma dove il poter rapportarsi sarebbe stato fecondo proprio nell’arricchimento reciproco.
Era una "rimessa" dove lo studente poteva alloggiare, mangiare, lavarsi.
Ma tali studenti oltretutto erano una minoranza rispetto agli altri studenti ospiti per i quali l’alloggio era il principale problema.
Questo comportamento può essere misurato nel rapporto con il territorio che il Politecnico ha seguito negli anni ’60-’70 e che possiamo verificare ancora in Citta Studi. Nello sviluppo previsto per le varie facoltà non è stato rispettato alcun equilibrio tra queste esigenze e quelle di chi è previsto che debba usufruirne, anzi si è proceduto alla distruzione di quanto esistente aumentando in modo sconsiderato la cementificazione e togliendo agli abitanti come agli studenti spazi vitali.
Il corpo accademico, i vari docenti avevano in mente solo il proprio lavoro e il proprio prestigio per cui l’attività sportiva, i luoghi di ritrovo, le biblioteche (a parte quella specifica universitaria), i luoghi di cultura, gli spazi verdi, le residenze universitarie erano spazi inutili e lasciati all’autorganizzazione o alle istituzioni.
Basta girare di sera nelle varie vie quali Ponzio, Colombo, Celoria, Golgi, Bonardi, Valvassori Peroni, Clericetti per misurare quanto dico.
Ben oltre l'incuria
Ma le cose sono andate, come detto, ben oltre il non fare nulla ma si è proceduto alla distruzione di quel poco esistente o che si sarebbe potuto utilizzare in altro modo.
Esistevano campetti di calcio dai nomi nobili dove le varie associazioni potevano fare tornei studenteschi sostituiti totalmente da facoltà.
Esisteva il campo sportivo Giuriati (campo sportivo, campi da tennis, pista di atletica, spazio giochi), posto di ricordo dei partigiani fucilati fa nazisti, la cui distruzione totale fu bloccata dall’intervento degli sportivi milanesi e ora incassato tra le facoltà con un accesso che sembra riservato ai privati e che da decenni necessita di ampie ristrutturazioni.
La casa dello studente oggi
Esisteva la Casa dello Studente come io l’ho vissuta e ho tentato di descriverla, ma oggi, è stata ridotta dopo la ristruttrazione, che sicuramente necessitava, ad un ghetto per poche persone e tutti gli spazi che nei miei anni di studente erano aperti a tutti, ora non è chiaro persino se esistono o meno anche solo per i residenti.
Nello spazio antistante l’entrata non una persona ferma a discutere con altri studenti, un’edicola che vendeva anche i giornali internazionali chiusa per anni e solo da poco, credo, riaperta.
All’entrata vedi solo un gabbiotto di sorveglianza con una guardia giurata che ti blocca subito e non vedi cosa ci sia a destra e a sinistra e cosa nei piani superiori. Non c'è un manifesto o locandina attaccata, non si capisce se esiste una attività culturale all’interno e se i vecchi spazi sono stati destinati ad altro uso.
Gli studenti arrivano frettolosamente e si infilano nei piani superiori.
E’ stata ridotta peggio di ciò per cui il fascismo l’aveva creata.
In tutto questo le responsabilità primarie sono del Politecnico e delle istituzioni di tutti i colori milanesi e lombarde che hanno permesso queste distruzioni.
Insomma il provincialismo, il concetto gerarchico dei rapporti umani, il rifiuto della critica e della proposta, il pericolo che le persone pensassero troppo in particolare se contemporaneamente e assieme, che mi ero lasciato alle spalle, li ritrovavo in una università che avrebbe dovuto prepararmi per entrare nel mondo del lavoro e stabilire un diverso rappporto con il mondo circostante.
Quali altri servizi per gli studenti furono aperti dal Politecnico/Università Statale nei miei anni di frequenza?
Che ricordo solo la mensa di via Golgi che diede respiro a quella della Casa dello Studente e fu una delle poche che utilizzava gli studenti, in nero naturalmente, nelle cucine per lavare i piatti in cambio di buoni mensa.
alla mensa della Casa dello Studente che però si affrontava in modo rilassato perchè, specialmente alla sera, si poteva rimanere a parlare, a discutere, a conoscere nuove persone ed esperienze e con il tempo organizzare la serata lontana, non sempre, dagli studi da passare in cinema di secondo ordine o in locali che man mano scoprivano per fare una bevuta o a casa di qualcuno che si poteva permettere un appartamento in affitto, il tutto facendo i conti con i pochi soldi a disposizione.
Selezione continua tra Casa dello Studente e Università
Ma le file non finivano con le lezioni.
Grandi file alla mensa della Casa dello Studente che però si affrontava in modo rilassato perchè, specialmente alla sera, si poteva rimanere a parlare, a discutere, a conoscere nuove persone ed esperienze e con il tempo organizzare la serata lontana, non sempre, dagli studi da passare in cinema di secondo ordine o in locali che man mano scoprivano per fare una bevuta o a casa di qualcuno che si poteva permettere un appartamento in affitto, il tutto facendo i conti con i pochi soldi a disposizione.
Tre condizioni personali, ricordo, sono emerse durante un primo e significativo periodo di permanernza a Milano come studente.
Pur rimanendo gli studi al centro degli impegni giornalieri e pur dovendo aspettare i primi esami per arrivare a fare definitivamente i conti tra studio e crescita come persona per un maggior equilibrio tra i due ricordo una grande fame, non appagata a sufficienza dalla mensa.
Questo ci portava a fare grandi cene in camera, a cercare trattorie a basso prezzo o ad accettare inviti a cena da amici di amici, da parenti di parenti, da conoscenti di conoscenti ove spesso si creavano strane ambiguità con i padroni di casa che vedevano in qualcuno di noi un buon partito per una figlia da maritare.
Una sensazione di aridità degli studi portava ad un appiattimento mentale, che mi teneva lontano dalla realtà che pur era in movimento.
Nei giorni di arrivo a Milano ci fu l’uccisione di Giovanni Ardizzone da parte di una camionetta della polizia durante una manifestazione pro Cuba, eppure tale importante avvenimento come altri non ebbero effetto nè su di me nè lo notai alla Casa dello Studente, questo per dire come l’estranietà alla città e l’aridità degli studi mi impedivano di vedere oltre i miei limitati orizzonti.
Questa insufficienza, insoddisfazione mi ha spinto inconsapevolmente a dedicarmi pesantemente alla lettura sia di narrativa che di saggistica come pure verso gli interessi più vari (dal cinema al teatro).
La difficoltà di conoscere, frequentare, avere rapporti naturali tra le persone si acuivano quando riguardavano quelle di sesso diverso. Alle donne sembrava in quegli anni negato l’accesso alla facoltà di ingegneria come erano escluse dalla Casa dello Studente al contrario di quello che accadeva tra i cugini di architettura.
Ciò creava al riguardo facili sarcasmi dettati per lo più da invidia, ma in effetti poteva diventare un problema che però fu poi superato quando ci si accorse che ci univa interessi, problemi comuni.
Se il primo impatto con l’Università era stato più di stupore che altro si è cominciato col tempo a porsi i primi perchè: sull’essere trattati come un numero tra numeri, sul modo di trasmettere il sapere dei professori, sull’obbligo di comprare i loro libri e le loro dispense, sulle corse per prendere posto nell’aula, sugli appunti che ripresi a distanza di giorni diventavano incomprensibili.
Eppure c’erano anche i bravi, e cioè chi capiva tutto, che ordinatamente seguiva e prendeva appunti, ma in questo club non sono mai entrato e queste pesone si sono laureate negli anni previsti dal corso di laurea, ma senza riuscire ad abbassare la media di anni di laurea.
Io come altri rappresentavo la normalità.
Gli stessi studenti di Milano apparivano, sparivano e riapparivano ma senza lasciare in me alcuna traccia.
A fine settimana moltissimi di noi, quando era possibile, tornavano a casa lasciando gli altri in una città che sembrava ancora più desolata.
Tutto questo, già dopo qualche mese, ha portato al cedimento di parecchi amici che hanno cambiato città e facoltà o solo città.
In queste persone si è creata una vera e propria avversione per Milano per il suo ambiente urbano non accogliente per la nebbia e lo smog che impedivano talvolta di vedere le persone in faccia. In aggiunta all’anonimato delle lezioni, all’impossibilità di socializzazione, alle difficoltà reali dello studio, al dover vivere, per chi non abitava alla Casa dello Studente, in camere affittate o in residenze gestite da religiosi che ponevano limiti agli orari o alle persone autorizzate ad entrare in camera per giungere persino alle limitazioni di uso della corrente elettrica o all’uso del bagno.
Il resto della selezione sarebbe avvenuta dopo i primi appelli di esami.