Opinioni a confronto. MILANO PUO' ESSERE “UNA CITTA' PARTECIPATA”?

Che cosa significa oggi nella pratica e nella realtà milanese parlare di partecipazione? Quali le esperienze in città, nei due anni appena trascorsi? Con questo primo quesito intendiamo aprire un dibattito su un tema appassionante, ma controverso.  Abbiamo interpellato alcuni esperti di progettazione urbana partecipata sottoponendo loro le prime domande, alle quali, nelle prossime settimane, ne seguiranno altre. Invitiamo tutti a leggere, far leggere e commentare le loro risposte.
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Partecipazione
Partecipazione. A Milano se n’è parlato tanto, ma spesso ci si è intesi poco. Un’utopia per alcuni. Un boomerang, temono altri. “Una strada difficile, ma da perseguire” - sostengono molti comitati e associazioni di cittadini. “Impossibile senza un reale decentramento amministrativo”- dicono altri ancora. Dall’attuale Giunta ci si aspettava molto. E molti ora sono delusi. Ma che cosa è stato fatto veramente e che cosa si può fare in questa direzione.  L’abbiamo chiesto ad alcuni esperti milanesi di progettazione urbana partecipata, fiduciosi di poter aprire così un confronto serio che coinvolga non solo “gli addetti ai lavori”, ma anche i cittadini attivi, i rappresentanti eletti nei consigli di zona e anche, perché no, i nostri stessi amministratori che, se chiamati in causa, ci auguriamo vogliano intervenire direttamente attraverso i commenti sulle nostre pagine.
Questi gli esperti interpellati per il primo quesito (ma l’invito a intervenire è rivolto anche ai loro colleghi).

Francesca Cognetti
- Ricercatrice presso il Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano e membro del comitato direttivo di Polisocial, il programma di impegno e responsabilità sociale del Politecnico di Milano. È tra i responsabili del Corso di perfezionamento post-lauream “Azione locale partecipata e sviluppo urbano sostenibile”, promosso annualmente da Istituto Universitario di Venezia.

Gerardo DeLuzenberger - Facilitatore Professionista Certificato dalla Associazione Internazionale Facilitatori. Socio fondatore di Genius Loci, società operante nel campo della progettazione partecipata, della formazione e del change management. Co-fondatore della Scuola Superiore di Facilitazione.

Silvia Tarulli - Pianificazione territoriale di area vasta, progettazione partecipata, housing sociale, sviluppo delle risorse delle comunità locali. Collabora con ABcittà officina del futuro - Cooperativa sociale di professionisti in progettazione partecipata.


PRIMO QUESITO
Che voi sappiate l’attuale Giunta ha aperto il dibattito sul futuro della città anche a componenti attive presenti in Milano? Siete a conoscenza di qualche caso interessante di “progettazione partecipata” in città? Cosa rende “attraente” questa modalità di lavoro dal vostro punto di vista?

Francesca Cognetti

Credo che l’attuale Amministrazione abbia avviato molti processi di ascolto e di costruzione di ambiti di dialogo con le organizzazioni della società civile.
È questo un segnale importante che ci fa ben sperare rispetto al rinnovamento di uno stile di governo più attento alle molte progettualità “dal basso” che la città di Milano esprime.
Penso ad esempio, nell’ambito delle politiche sociali al Forum del terzo settore – giunto alla terza edizione-; nell’ambito delle politiche per la casa ai programmi di coinvolgimento degli abitanti come i Laboratori di Quartiere e lo Spazio Abitare; sui temi di carattere urbano i progetti per il quartiere Isola, il processo di ascolto per la trasformazione degli scali ferroviari, il bando per i Giardini Condivisi; sulle politiche culturali la costruzione di eventi che attingono a molte differenti progettualità come BOOK City e Piano city. Questi processi sono stati avviati dall’Amministrazione negli ultimi anni e per la gran parte riguardano attività di avvicinamento e ascolto, volte al recepimento delle posizioni locali e delle progettualità esistenti, alla raccolta di pareri in merito a uno specifico tema, alla messa a sistema delle proposte. Possono essere quindi intesi come l’avvio di un percorso di partecipazione, che non può dirsi concluso e che  ha bisogno di molte energie per essere sviluppato.
Sono quindi processi importanti, che hanno sviluppato aspettative, richieste, nuove idee, che hanno bisogno di acquistare maggiore spessore, anche in funzione di cambiamenti tangibili, sia sul fronte delle trasformazioni urbane, sia su quello degli assetti organizzativi. Dopo questo avvio, in cui molti semi sono stati gettati, ci si aspetta infatti oggi  di vedere i fiori e i frutti di questi processi; siamo quindi in una fase che richiede molta attenzione, orientamenti chiari, esiti importanti.
Il compito non è facile: questa Amministrazione ha dovuto rimettere a fuoco uno stile di governo, un modo di parlare a molti, la possibilità di rappresentare le diverse anime della città, in un’epoca di  crisi del pubblico e dei suoi canali tradizionali di intervento.
D’altra parte l’attuale giunta nasce da un forte impulso al cambiamento che è venuto dalle più diverse componenti attive della città. E’ la spinta anche verso una politica attenta ai temi del coinvolgimento e della partecipazione, che ci restituirà una città più aperta, più inclusiva, più giusta. Siamo in attesa di questi frutti. 

Gerardo DeLuzenberger
Ho incontrato alcuni assessori dell’attuale giunta, ed ho riscontrato grande attenzione al tema della partecipazione. La mia impressione è che su questo si sia fatto a Milano molto di più di quel che si “veda”, anche se spesso con modalità che definirei “convenzionali” – il che non è per forza un problema. Ci sono poi alcuni esperimenti che hanno provato a fare un salto nell’uso della partecipazione. Penso al progetto partecipato su centro civico e cavalcavia Bussa nel quartiere isola, quello sugli alberi in Mac Mahon, quello per lo sviluppo del welfare, gli orti partecipati, quello su darsena e navigli, quello sulla stazione centrale. Esperienze che, con tutti i loro limiti, penso vadano guardate con interesse. Ciò che le rende attraenti non è tanto l’idea di coinvolgere le componenti attive nelle decisioni da prendere, anzi confesso che comincio a pensare che questa sia la parte meno interessante della storia. Certo il coinvolgimento aumenta le possibilità di prendere decisioni che incontrino i reali bisogni della gente, ma a me piace guardare a queste esperienze come a dei veri e propri esperimenti sociali che provano a ridisegnare il rapporto tra cittadini e cittadini prima ancora che tra cittadini e pubblica amministrazione.

Silvia Tarulli

L’attuale giunta ha promosso diversi progetti partecipati, di questi molti sono riconducibili più alla definizione di “cittadinanza attiva” (cioè progetti che tentano di incoraggiare e rafforzare la rete delle comunità territoriali esistenti) che alla progettazione partecipata tradizionalmente intesa. Un esempio interessante è l’esperienza che si è svolta al quartiere Isola, prima con il percorso partecipato finalizzato alla definizione delle linee guida relative a un nuovo Centro Civico e poi con il laboratorio di progettazione per individuare nuove idee per la riqualificazione del Cavalcavia Bussa. Un altro progetto che ha avuto un risultato positivo è quello della zona 30 Tortona Solari, nato da un’iniziativa dei comitati locali ed in seguito sviluppato attraverso la collaborazione fra cittadini e Amministrazione, che prevede un percorso con moderazione del traffico, piste ciclabili e una maggiore sicurezza per gli abitanti del quartiere.



SECONDO QUESITO

A volte a livello centrale e/o dal decentramento è difficile comunicare con la cittadinanza. Come operatori del settore quali strumenti di comunicazione trovate più efficaci per far conoscere meglio iniziative e progetti alla cittadinanza?

Francesca Cognetti

Credo che il quadro dei progetti di ascolto e partecipazione, per quanto articolato, risulti ai cittadini frammentato e poco accessibile. Mi sembra che ci sia la necessità di ampliare luoghi, virtuali e reali, di comunicazione sui processi e le trasformazioni in corso, che siano prima di tutto luoghi di informazione sulle scelte di governo della città (dalle più minute alle più consistenti), e poi anche luoghi di discussione e di partecipazione.
In questa direzione potrebbero essere potenziati luoghi come l’Urban Center, ma anche le sedi dei Consigli di Zona. Più in generale, gli stessi Consigli di zona potrebbero essere maggiormente valorizzati nel loro ruolo di “antenne locali”, esercitando pienamente la parte di istituzione decentrata, vicina alle percezioni e ai desideri locali. Si sente anche la mancanza di strumenti di comunicazione a larga diffusione, sia sul web, sia di formato cartaceo; strumenti anche semplici che possano però aprire un canale frequente di scambio tra Pubblica Amministrazione e cittadinanza.

Gerardo DeLuzenberger

Certamente sul tema comunicazione si può fare di più. Anche perché, come dicevo prima, sono convinto che questa amministrazione stia investendo molto sulla “partecipazione” nel senso più ampio del termine, e molto meno sul raccontare quello che fa e renderlo visibile. Credo che la partecipazione andrebbe comunicata e spiegata meglio, raccontando quello che l’amministrazione fa e sta facendo.
Si dovrebbe investire sulla narrazione e sul senso di quello che si sta facendo.
Tempo fa avevo suggerito di sviluppare una parte del sito web del Comune su questo tema. Di creare un portale che potesse raccogliere e mettere a sistema tutte le cose che si stanno facendo. Ma anche diventare esso stesso un canale di partecipazione. Anche perché in una città come Milano non si può prescindere nel fare partecipazione da un uso estensivo di tutti i canali esistenti – e soprattutto del web e dei social network.


Silvia Tarulli
La comunicazione dell’amministrazione rispetto ai progetti partecipati da lei proposti è stata molto scarsa; le attività di coinvolgimento dei cittadini promosse dai vari assessorati sono numerose, ma sono conosciute solo da coloro che ne sono stati direttamente coinvolti, per le altre persone è difficile venirne a conoscenza e questo rende molti milanesi convinti che non sia realizzato quasi nulla in proposito.
Per aumentare la visibilità dei progetti partecipati promossi dall’Amministrazione potrebbe essere utile creare una pagina del sito del Comune di Milano e una pagina Facebook dedicate a questo tema in cui elencare i progetti che propongono un approccio partecipato (magari differenziando tra i vari livelli di partecipazione proposti) e in cui raccontare gli sviluppi e i risultati raggiunti. Si potrebbe anche contrassegnare tali progetti con un simbolo che li identifichi come appartenenti alla categoria dei progetti partecipati e che sia di immediata riconoscibilità.









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Re: Opinioni a confronto. MILANO PUO' ESSERE “UNA CITTA' PARTECIPATA”?
20/03/2014 Patrizia Sollini
Ringrazio anch’io Giuseppe Maria Greco per l’attivo contributo a questo dibattito e mi scuso per il ritardo nel rispondere.
Come lui, sono anch’io in attesa di veder fiorire -anche su queste pagine- una partecipazione più estesa e vitale. Ma qui stiamo cercando di affrontare un tema che rappresenta uno dei più importanti processi innovativi in atto nel concepire nuove forme di democrazia e di rapporto fra i cittadini e le amministrazioni. Si tratta di un mutamento culturale ampio e profondo, un tema non facile che, come tutto ciò che richiede riflessione e pazienza, può faticare a decollare, anche nel dibattito.
Un primo passo trasversale e necessario a questi processi è sicuramente la comunicazione, l’informazione, la conoscenza sulle strategie, le attività e i progetti possibili o in atto ed è proprio a questo primo obiettivo che z3xmi cerca di dare il prorpio contributo, consapevole della propria limitata forza di divulgazione, ma anche orgogliosa di colmare, almeno per i propri lettori, quel vuoto informativo che i grandi media non sembrano voler considerare.
Come giornale, dunque, non vogliamo certo assumere un ruolo di “gestore di pensieri, idee e conclusioni”, ma piuttosto di facilitatore del dibattito e in questo senso riteniamo che quanto più ampio e non “pre-indirizzato” sarà il quesito, tanto maggiore sarà lo spazio per un confronto vero.
Questa quindi l’intenzione di z3xmi: iniziare con un quesito generale per un’indagine preliminare prima di connettersi, se ce ne sarà la possibilità, con un percorso progettuale specifico o di confrontarsi su particolari esperienze concrete.
Per quale esito? Innanzitutto divulgare fra la cittadinanza la conoscenza delle esperienze e stimolare alla riflessione amministratori ed eletti nei Consigli di Zona (le future municipalità), delineando un quadro più ampio della realtà milanese. Un primo step conoscitivo, a nostro avviso fondamentale. (Molte esperienze vivono, infatti, all’interno di circuiti chiusi al di fuori dei quali non giunge notizia, come testimoniano anche le risposte date dai nostri esperti).

Ci riusciremo? Ne avremo la forza? Noi intanto ci proviamo, con onestà e pazienza. Molto dipenderà da quanti vorranno rispondere e dire la loro in un dibattito aperto e per nulla preordinato.

Un’ultima cosa: è interessante anche la proposta di rendere concreto l’esito di questo sforzo. Noi, in redazione, qualche idea l’abbiamo in mente, ma anche in questo caso ci piacerebbe raccogliere proposte dai commenti e dagli interventi che speriamo possano diventare sempre più numerosi.


Re: Opinioni a confronto. MILANO PUO' ESSERE “UNA CITTA' PARTECIPATA”?
18/03/2014 Giuseppe Maria Greco
Ringrazio i pochi che hanno accettato di sedersi attorno allo stesso tavolo in questa conversazione che, se continuata in una sorta di colloquio senza sbocchi, potrebbe durare un'infinità di tempo, come ad esempio è testimoniato dalla lunghezza dell'elenco di Ferappi, al quale ognuno di noi potrebbe aggiungere pezzi di dimensioni poco adatte ad un ambito come questo. Il motivo per cui in questo momento non aggiungo altro ai miei precedenti post è il seguente: dall'apertura di questa proposta di discussione sono passate circa due settimane, ma coloro che l'hanno lanciata non hanno chiarito cosa intendano farne. Quindi, nessuno di noi può svolgere l'argomento in modo consapevolmente efficace. Nel momento cioè in cui viene proposto di parlare di partecipazione, l'elemento di scambio costruttivo necessario perché la partecipazione si eserciti sembra venire meno. Nel momento in cui dovessero comparire altre sollecitazioni di discussione (quando non lo sappiamo, seguendo quale filone logico neppure, con quali obiettivi neanche), ognuno dei (pochi) commentatori non potrebbe che continuare per la sua strada, negando il tavolo a cui ha accettato di sedersi per isolarsi su una poltroncina a parte. Non credo cioè, in conclusione, che si possa sollecitare uno scambio sulla partecipazione "dall'alto", assumendosi il ruolo del gestore di pensieri, idee e conclusioni. Parlare di partecipazione e praticarla dev'essere tutt'uno. E' questo che richiedo quindi ai propositori delle "Opinioni a confronto"


Partecipare diretamente al governo della città
17/03/2014 Alfredo Ferappi
Sulla partecipazione al governo della città

Non esiste un tipo di partecipazione univoco ma tante forme di partecipazione e lo stile, le sue forme e le sue modalità sono strettamente legate tanto alle motivazioni quanto al “che cosa” e ai canali attraverso i quali si partecipa. Inoltre è importante considerare il tipo di partecipazione che si vuole attuare in relazione al contesto politico-sociale in ci si trova a dover operare e al tipo di cittadinanza che si intende coinvolgere nel processo partecipativo.

Dati i numerosi fattori che concorrono a definire un determinato tipo di partecipazione, ( si finirebbe per definire un disegno teorico poco calzante con la realtà in cui calarlo) più che ad una sua costruzione a tavolino è opportuno intraprendere un percorso empirico per giungere per successivi aggiustamenti pratici a definirne il tipo più idoneo e più efficace.

A questo scopo un’analisi del termine partecipazione può essere utile ad aiutare per la costruzione del tipo di partecipazione che si vuole mettere in piedi

Significato del termine partecipazione

In genere per partecipazione si fa riferimento rispettivamente ad una notevole quantità di fenomeni politico-sociali:

a) Comportamenti collettivi (cortei, scioperi, comizi, adunate)

b) Pratiche assembleari

c) Istituto del referendum

d) Nuovi modelli di gestione diretta dei servizi pubblici e sociali

La parola partecipazione ha anche assunto un’enorme carica psicologica considerata l’ideale ultimo del pensiero democratico: creare una città dove qualsiasi decisione collettiva sia frutto ottimale delle preferenze dei cittadini.

In altri termini per partecipazione si può intendere il comportamento autonomo di chi essendo o sentendosi parte di una collettività, concorre in vario modo al processo di formazione delle decisioni che vengono prese all’interno della comunità.

Comprendere e circoscrivere le varie espressioni della partecipazione che abbiamo citato vuol dire individuare i costi e i benefici, nonché gli obiettivi che ciascuna di esse consente di raggiungere o allontanare.

Per questo è opportuno analizzare la definizione che abbiamo dato alla parola partecipazione individuandone le parti che la compongono e che sono:

a) Essa denota un comportamento manifesto o un atteggiamento visibile dei singoli componenti della comunità, chi non agisce non può nemmeno prendere parte ( l’inerzia e la passività rendono assenti)

b) Deve trattarsi di un’azione autonoma, senza manifeste costrizioni esterne

c) Chi agisce deve appartenente alla comunità e detenere una quota qualsiasi del potere politico complessivo, sia cioè titolare di diritti esercitabili nei confronti degli stessi organi che rappresentano tale collettività.

d) Partecipare presuppone di sentirsi parte della collettività che si vuol concorrere a governare

e) Occorre che si prenda parte effettivamente, che si concorra cioè in varia misura e con vari comportamenti all’effettiva costituzione delle decisioni collettive.

Dimensione politica della partecipazione

Quest’ultima caratteristica della partecipazione delinea la sua dimensione politica. Prendere parte infatti significa interagire con altri soggetti, e più specificatamente operare con il deliberato obiettivo di convincerli a mutare i propri atteggiamenti nei confronti di determinate decisioni d’ordine collettivo.

La partecipazione come opportunità

La partecipazione considerata come opportunità a disposizione dei cittadini è determinata dalla presenza di precisi incentivi. Allo strumento incentivi fa ricorso un’amministrazione orientata a massimizzare le facoltà espressive dei propri cittadini.

Gli incentivi possono essere raggruppati in tre grandi famiglie:

a) I canali effettivamente accessibili della partecipazione: quanto più alto è il loro numero tanto maggiori sono le possibilità di prendere parte.

Generalmente si ritiene che la partecipazione sia tanto più facile quanto migliori sono le condizioni socioeconomiche dei potenziali partecipanti e la loro possibilità di informarsi sulla natura e la portata degli argomenti in discussione. Ma ciò è condizionato da altri fattori, in particolare dalle istituzioni o regole del gioco che più direttamente possono favorire o scoraggiare determinati atteggiamenti pubblici dei cittadini.

b) Le risorse informative. L’offerta informativa è l’insieme dei mezzi di comunicazione che consentono alla gente di acquisire indispensabili conoscenze per decidere se prendere parte a che cosa, quando e entro quali limiti. Naturalmente quanto più ricco, pluralistico e competitivo è questo insieme di mezzi di comunicazione tanto maggiori finiscono per risultare le opportunità partecipative

c) Le prospettive di un possibile ricavo proveniente dall’azione partecipativa. E’ una motivazione di maggiore importanza nel senso che partecipano soprattutto coloro che ritengono di poter ricavare qualche cosa dal proprio impegno indipendente dal fatto che si tratti di benefici concreti o di ricompense puramente psicologiche.

Motivazioni a partecipare

Il partecipare non appare come un comportamento meramente naturale o istintivo, tutto lascia intendere che si tratti di un comportamento in larghissima parte appreso, discendente cioè da precise modalità di formazione culturale e di ben individuati modelli di percezione e conoscenza dei fenomeni politici. L’azione del partecipare presuppone la decisione di imboccare questa strada per conseguire un determinato obiettivo e sia la conoscenza degli obiettivi e la percezione delle strade effettivamente percorribili devono considerarsi come risultati di un qualche processo di apprendimento.

La convenienza a partecipare

La decisione di prendere parte a qualche processo decisionale è il risultato di un calcolo costi-benefici nel quale vanno contabilizzati almeno tre grandi gruppi di fattori:

a) Fattore istituzionale che consiste nell’insieme di vincoli e opportunità, essenzialmente di natura giuridico-formale di fronte al quale si viene concretamente a trovare ogni soggetto all’interno di un determinato sistema politico. Quanto più istituzionalizzato ( formalizzato ) è un processo partecipativo tanto minore sono i costi a prendervi parte, è anche una strada per incrementare le opportunità partecipative.

b) Fattore tempo. Quale sia il comportamento che ottimizzi la risorsa tempo ( nell’acquisire informazioni, nel discutere con altri, nell’assumere atteggiamenti più o meno meditati) orienta la decisione a partecipare o no.

c) Le possibili ricompense che possono essere:

1) Motivazioni meramente espressive: si partecipa per il gusto di esprimere un’opinione

2) Motivazioni acquisitive: si partecipa per acquisire un bene, un risultato oggettivo.

Le forme di partecipazione e il funzionamento dei sistemi politici

La partecipazione è certamente un requisito essenziale al funzionamento politico di una democrazia moderna. E opportuno però domandarci quali effetti politici discendono dalle varie forme di partecipazione.

L’ideale democratico del diretto coinvolgimento potestativo ( coinvolgimento del cittadino con il potere di tutelare il proprio interesse) potrebbe creare le premesse di un regime non democratico di massa.

La questione è osservabile in piccolo nel rapporto individuo-collettività nella quale non siano sufficientemente chiare le regole di svolgimento , nella quale non siano sufficientemente tutelati i diritti delle minoranze. In questo caso si stabilisce una netta distinzione fra chi partecipa in modo attivo e coloro che lo fanno in modo prevalentemente passivo, dove non tutti riescono a dedicare lo stesso tempo alla partecipazione, dove non tutti possono fare ricorso a equivalenti attitudini tribunizie o analoghe abilità nei contatti di corridoio.

Il risultato è l’inevitabile formarsi di una oligarchia assembleare che conduce ad una forma di gestione burocratica dell’assemblea.

Questo ci suggerisce che occorre limitare i poteri dell’amministrazione pubblica con una rete di poteri intermedi in grado di incrementare le effettive opportunità potestative e auto gestionali di ciascuno (mediante molteplici meccanismi decisionali)

Conclusione

Come si può dedurre dalle considerazioni esposte entrano in gioco diversi fattori che determinano il tipo di partecipazione da definire. Abbiamo a che fare con il contesto istituzionale, con la coltura del ceto politico da coinvolgere, con motivazioni convincenti a partecipare, con i mezzi idonei di informazione da utilizzare, ecc.

C’è poi da considerare che da parte dell’amministrazione pubblica non ci deve essere solo la buona disposizione verso l’idea generica di partecipazione ma la determinazione di mettere in campo provvedimenti concreti per la sua attuazione; non può essere solo un’operazione che parte dal basso.

Ma non si tratta ora di mettere in piedi un progetto ma di mettere in evidenza i vari aspetti del problema di cui tenere conto per costruire il processo partecipativo.

alfredo.ferappi@tiscali.it


Re: Opinioni a confronto. MILANO PUO' ESSERE “UNA CITTA' PARTECIPATA”?
12/03/2014 Paolo Burgio
Il tema della partecipazione dovrebbe essere di assoluta priorità per la nostra amministrazione perché su questo ha costruito il suo successo elettorale e perché sarà uno dei punti su cui misurare il sostegno dei cittadini attivi, quelli che più partecipano alla vita cittadina, nel prossimo turno elettorale. Ma, come giustamente rileva Sergio de La Pierre, non essendo stata elaborata alcuna strategia per attuare una politica della partecipazione, non c'è stata da parte dei cittadini alcuna percezione concreta del fatto che questa amministrazione avesse intenzione di soddisfare la richiesta di partecipazione. Anzi, anche per esperienza diretta, ho dovuto constatare che a questo riguardo manca una cultura di base entro cui concepire il rapporto con i cittadini. La partecipazione deve essere necessariamente voluta e promossa da chi ha la responsabilità della cosa pubblica al fine di coinvolgere le parti in causa nei processi decisionali, mantenendo la responsabilità delle scelte finali, a cui si perviene dopo aver fornito le informazioni necessarie, dopo ampie consultazioni e dopo aver coinvolto i cittadini nelle valutazioni dei progetti per arrivare a soluzioni condivisibili all'interno del contesto economico, ambientale e sociale di riferimento. Non si tratta di abdicare al proprio ruolo o delegare le scelte, ma di non imporre scelte che non tengono minimamente in conto le aspettative dei cittadini. Certo si tratta di un cambiamento radicale rispetto al passato, ma, bisogna dirlo, anche rispetto al presente. La cultura della partecipazione ha come premessa una informazione trasparente, completa ed esauriente dei progetti che si vogliono realizzare e dovrebbe costituire una prassi corrente, preliminare all'avvio di qualsiasi progetto di intervento pubblico. Senza questa impostazione è inutile parlare di partecipazione. Un esempio concreto. Quando decisero di ricostruire la capitale della Germania riunificata dopo la caduta del muro, impegnando il paese in uno sforzo economico e progettuale notevole, mio figlio appena laureato in architettura andò a Berlino, la mecca degli architetti dell'epoca, poiché lì vennero chiamati da tutto il mondo i principali studi per collaborare alla ricostruzione della città. Andai a trovarlo, aveva subito cominciato a lavorare in uno studio internazionale, e restai colpito dallo spettacolo del viale dei Tigli, che lungo tutto il suo percorso era disseminato di bacheche e cartelloni, ove venivano presentati i progetti presentati dai concorrenti nelle varie gare indette dall'amministrazione, prima che venissero scelti i vincitori e deliberate le assegnazioni, per portare a conoscenza dei cittadini i le soluzioni proposte, i costi previsti ed i tempi di realizzazione. Se non partiamo da questa impostazione come premessa, penso non saremo mai in grado qui di parlare di partecipazione dei cittadini.


Re: Opinioni a confronto. MILANO PUO' ESSERE “UNA CITTA' PARTECIPATA”?
12/03/2014 Giuseppe Maria Greco
Non posso che condividere le considerazioni di Sergio De La Pierre, che non mi sembrano distanti da quelle espresse in precedenza, anche se più precisamente definite. Il fatto stesso che la discussione si svolga tra tre persone su tutta la Milano disponibile a partecipare dovrebbe essere di per sé significativo. Pavento il ritorno di una destra fomentatrice di paure e promotrice di sicurezze. Occorre assumersi una responsabilità di rischio forte aprendosi a una progettazione che finora è rimasta sulla carta, sapendo che progettare non significa chiudere la ricerca tra quattro mura ma, al contrario, far intervenire tutte le risorse coinvolte. Non si può parlare di Case dei diritti ecc., e dimenticare chi è portatore di quei diritti.


Re: Opinioni a confronto. MILANO PUO' ESSERE “UNA CITTA' PARTECIPATA”?
12/03/2014 Sergio De La Pierre
Complimenti a “Z3XMI” per aver avviato questo confronto su un tema così attuale e insieme problematico. Di primo acchito, la risposta alla domanda non può che essere sì: il clima che si respira a Milano è sicuramente molto più positivo di quello di soli tre-quattro anni fa, c’è un fiorire e pullulare di iniziative, una voglia di “partecipare” di quote consistenti di popolazione che va al di là dei limiti ed errori dell’amministrazione che sono stati rilevati in altri interventi. Giuste mi paiono così tutte le considerazioni già fatte sull’opportunità di comunicare meglio ciò che c’è già, e soprattutto di rivolgersi al cittadino comune, più che al mondo già organizzato delle associazioni. Ma per entrare più nel merito, partirei dal concetto che “democrazia partecipata” significa che in una comunità locale ci sono due poli, le istituzioni locali e la “società civile”, che devono cercare di interloquire in modo costruttivo e “progettuale”. In linea generale, mi pare che manchi ancora, a diversi livelli, una vera cultura della partecipazione (e questa cultura semmai è presente in tante piccole esperienze che però non vengono abbastanza valorizzate).
Quali i limiti delle istituzioni locali (dove comprendo anche i Consigli di zona)? Intanto, il fatto di non aver istituito fin da subito una “cabina di regia” sul tema della partecipazione rivolta all’intera città, che avrebbe dovuto lavorare su almeno tre punti: costruzione graduale di una diffusa cultura della partecipazione, monitoraggio di esperienze/pilota da valorizzare a livello cittadino, costruzione graduale di un “modello partecipativo” per la città di Milano. Si è preferito invece – contribuendo a un equivoco che si è trascinato per oltre due anni – costruire un “Ufficio per la città” che ha fondamentalmente delegato agli ex “Comitati Pisapia” (ribattezzati “Comitati per Milano”) tutto il tema della partecipazione. L’equivoco è stata la confusione tra la figura del “militante politico” (tale era la connotazione “di parte”, giustamente di parte, dei comitati Pisapia a scopo elettorale) e la figura del cittadino attivo, con conseguenze che qui non v’è spazio di elencare, ma che hanno coinvolto l’intera città: infatti le esperienze “partecipative”positive si sono svolte per fortuna spesso al di fuori di tali Comitati, però ciò ha contribuito non poco a rendere difficile l’elaborazione del “Modello partecipazione” che coinvolgesse l’intera cittadinanza e non solo una sua parte “politica”. Dimostrazione ne sia – qui concludo – il duplice errore di Pisapia, che nelle riunioni dei “Comitati per Milano” continua a chiedere loro di suggerirgli il “modello” sulla partecipazione, e la richiesta analoga che i comitati continuano a fare all’amministrazione. I “due soggetti” della democrazia partecipata entrano in relazione virtuosa solo quando ciascuno di essi fa la sua parte fino in fondo.

Sergio De La Pierre, sociologo, ricercatore sulle comunità locali “virtuose”, fondatore dei due “Laboratori di democrazia partecipata” di Lambrate e di via Padova, membro del coordinamento del gruppo FAS (Ferrante Aporti/Sammartini)


Re: Opinioni a confronto. MILANO PUO' ESSERE “UNA CITTA' PARTECIPATA”?
06/03/2014 Paolo Morandi
E' vero che esiste un inizio di partecipazione di cui un altro esempio, questo nato dal basso (a proposito di cittadinanza attiva), è il rilevato ferroviario di Ferrante Aporti, ma manca ancora un coinvolgimento pieno della cittadinanza sulle grandi trasformazioni che stanno investendo la città. Esempi, in negativo, sono il caso delle Vie d'Acqua e la cantierizzazione della M4. In entrambi i casi la contrapposizione su temi cittadini è stata altamente conflittuale generando solo problemi e mancate soluzioni (che sono a loro volta un problema).
Un altro problema riguardo a questo tema è il rallentamento dei processi di decentramento. Senza un reale decentramento manca una buona fetta di comunicazione ed il coinvolgimento dei cittadini su casi non a rilevanza cittadina, ma, proprio grazie al loro sentimento di vicinanza, maggiormente sentiti dalla cittadinanza.


Re: Opinioni a confronto. MILANO PUO' ESSERE “UNA CITTA' PARTECIPATA”?
06/03/2014 Giuseppe Maria Greco
E' la prima volta che ne parliamo, dunque occorre partire da lontano. Occorre chiedersi: a chi è indirizzata la proposta di partecipazione? E poi ancora: partecipare a cosa, perché e come? Per capirsi bene, più che scriverne occorrerebbe parlarne insieme. Dalle risposte degli esperti si desume che la proposta è indirizzata soprattutto a gruppi, movimenti e professionisti già disponibili. L'insieme della popolazione appare distante, come fosse un obiettivo da raggiungere in un secondo tempo. Tra i due tempi, quello del rapporto con i gruppi e quello con i cittadini, non appare un'ombra di progetto. Un segnale chiaro di questa assenza è l'osservazione circa la scarsa diffusione alla cittadinanza delle notizie sulle opere in corso da parte del Comune: la diffusione sembra quasi che debba avvenire con degli spot pubblicitari, anziché mediante un progetto sulla e con la città. Non so quindi se questo progetto sia o meno all'ordine del giorno, per cui, per parlarne, aspetto che qualcuno, dalla parte dell'amministrazione, lo ritenga interessante come lo è per me. Un secondo aspetto a mio avviso non trascurabile è rispondere alla domanda: cos'è la partecipazione? Dalle risposte e dal comportamento sinora percepibile del Comune appare che sia da intendersi come una risposta attiva alle offerte dei diversi assessorati. Non so quanto i cittadini, in un'epoca che sperimenta la diffidenza reciproca tra partiti e gente comune, si possa ritenere che una proposta unilaterale delle amministrazioni possa trovare riscontro positivo presso quest'ultima, ordinariamente propensa a ritenere i propri interessi quasi concorrenziali con quelli dell'amministrazione. L'ultimo aspetto che propongo è già noto a tutti. Riguarda gli "strumenti" per l'esercizio della partecipazione a livello anche minimo, quello della risposta ad un bisogno immediato. I Consigli di zona risolvono alcune dimensioni di questo rapporto, ma per loro natura mantengono il formalismo della distanza: tu mi chiedi qualcosa, io mi faccio tramite e ti do la risposta. Non è una modalità sufficiente, se si vuole costruire un rapporto partecipativo bilaterale. Mi fermo qui, per rimanere sulle posizioni generali delle domande e degli esperti intervistati. Sempre disponibile, vi auguro ottima giornata. Giuseppe Maria Greco


 
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