Segregare costa: spreco di fondi pubblici per i “campi nomadi”

“Segregare costa” è la sintesi che ben rappresenta il fallimento sociale, culturale ed economico dell’utilizzo dei fondi pubblici per l’allestimento e la gestione del sistema dei “campi nomadi”, gli spazi che le istituzioni hanno privilegiato per “ospitare” rom e sinti nelle nostre città. ()
campo nomadi

La cooperativa Berenice, le associazioni Compare, Lunaria e OsservAzione hanno analizzato i casi di Milano, Roma e Napoli tra il 2005 e il 2011. Attenzione: il rapporto considera i “campi nomadi” autorizzati dai Comuni, non le baraccopoli abusive continuamente sgomberate in questi anni. Il primo dato che emerge è che le risorse pubbliche investite nei campi sono spesso poco trasparenti, ma sicuramente ingenti; analizzando i bilanci delle tre città, si arriva infatti a ben oltre cento milioni di euro. Con una conseguenza importante: «Per giustificare il mantenimento dei “campi nomadi” si afferma generalmente che non ci sono risorse pubbliche sufficienti, veicolando il messaggio secondo cui i campi costituiscono la soluzione abitativa meno costosa. Non è così».

Dal 2005 al 2011, il Rapporto segnala che a Napoli sono stati stanziati 24 milioni di euro, ma ne sono stati effettivamente utilizzati solo la metà. Nella Capitale, dove vivono più rom rispetto alle altre città, si parla di 86 milioni di euro; il caso di Milano spicca invece per la poca trasparenza: chi ha steso il rapporto ha potuto verificare il rendiconto soltanto di 2,1 milioni di euro, ma la spesa è decisamente maggiore. Per esempio, secondo i ricercatori, non è nota la rendicontazione di 8.635.000 euro stanziati nel 2008 dall’allora Ministro Maroni. Nel capoluogo lombardo, «il 2007 segna il passaggio a un modello organizzativo diverso»: anche nella destinazione dei fondi, «si accentua l’approccio securitario». Un esempio: a metà 2010, l’Amministrazione Moratti spese 480mila euro per installare le telecamere in quattro campi, tra cui quello di via Triboniano, smantellato meno di un anno dopo.

Ai soldi per i campi regolari vanno aggiunti quelli per gli sgomberi dei campi abusivi, che, se fatti in assenza di reali alternative, danno vita a un “giro dell’oca” nelle periferie delle città: sempre sulle stesse aree (in quegli anni, il Cavalcavia Bacula di Milano venne sgomberato oltre 40 volte), colpiscono sempre le stesse persone, spostano il problema senza risolverlo.

 I numeri? In campagna elettorale, l’Amministrazione Moratti festeggiò il traguardo dei 500 sgomberi in quattro anni, mentre a Roma l’Associazione 21 luglio ha censito 450 sgomberi dal 31 luglio 2009 al 24 agosto 2012. I costi? Anche qui per nulla trasparenti; secondo alcune stime 15-20mila euro per ogni sgombero. (Una domanda: non sarebbe costato meno riqualificare l’area di Bacula?). Oltre ovviamente ai costi umani: a Milano, i 500 sgomberi hanno avuto il volto di bambini sgomberati 20 volte in un anno, o costretti a cambiare 8 scuole in tre anni.

Tanti soldi, ma con quali risultati?  È qui che nel Rapporto arriva la bocciatura senza appello: «La segregazione non solo spaziale e abitativa, ma anche sociale e culturale delle persone che vi risiedono».

È il ripetersi di una scelta italiana sbagliata, quella dei campi “nomadi” per famiglie che non sono più nomadi da vari decenni. Una scelta di politica abitativa, fatta dalle città italiane a partire dagli anni Settanta, che ci ha reso “il Paese dei campi”. Ma i campi nomadi non c’entrano nulla con una presunta “cultura rom”.

«Ciononostante – ricorda il rapporto – nelle grandi città italiane il modello del campo è ancora oggi quello prevalente, grazie ad un approccio istituzionale che si fonda su (e continua a perpetuare) stereotipi e pregiudizi consolidati nei confronti dei rom, presupponendone il nomadismo, la propensione alla devianza e l’inconciliabilità culturale che ne impedirebbero a priori l’inserimento lavorativo e sociale».

Il campo diventa spesso un ghetto, con tutti i problemi sociali del ghetto. Si legge nel rapporto: «Sono quasi sempre collocati nelle aree periferiche delle città, isolati, spesso non collegati con i centri urbani dai mezzi di trasporto pubblico, quando non vicini a discariche o ai grandi assi viari. Sono, al di là delle intenzioni più o meno dichiarate, veri e propri ghetti, funzionali a relegare i rom ai margini delle nostre città e a mantenerli in una condizione di estraneità rispetto alla società maggioritaria». Così, i ragazzi cresciuti ai margini della città soffrono maggiormente l’esclusione sociale di cui è vittima il gruppo a cui appartengono. Come i giovani di Via Salone a Roma, il campo rom più grande d’Europa, posto fuori dalla città, addirittura oltre il Grande Raccordo Anulare, dove vivono 1200 persone di varia nazionalità .

Cosa fare? Secondo le associazioni che hanno redatto il rapporto, «è urgente e necessario che le istituzioni cambino del tutto il proprio approccio, abbandonando soluzioni “temporanee” e “ghettizzanti” per progetti di inclusione abitativa, sociale e lavorativa. I “piani nomadi” devono e possono essere sostituiti da “Piani di chiusura dei campi nomadi”. Questi ultimi non hanno naturalmente niente a che vedere con le vergognose politiche degli “sgomberi” che accompagnano le “politiche dei campi”.

Pianificare la chiusura di questi ultimi significa prefigurare soluzioni abitative alternative, concordando con i residenti tempi e modalità del cambiamento». Basta ghetti, basta soldi spesi male. Del resto, come dimostrano le buone pratiche di Pisa, Padova e Bologna riportate nel rapporto, le alternative possibili sono molte: dal sostegno all’inserimento in abitazioni ordinarie o in case di edilizia popolare pubblica, all’housing sociale, alla promozione di interventi di auto-recupero di strutture pubbliche inutilizzate.


Link all'articolo originale su http://lacittanuova.milano.corriere.it/


Commenta

 
 Rispondi a questo messaggio
 Nome:
 Indirizzo email:
 Titolo:
Prevenzione Spam:
Per favore, reinserire il codice riportato nell'immagine.
Questo codice serve a bloccare i tentativi di inserimento automatici.
CAPTCHA - click right for audio Play Captcha