I rischi di un'Italia presidenziale

Con il voto al Senato del 23 ottobre scorso la battaglia per evitare una riforma della Costituzione in senso autoritario è entrata nel vivo. A dicembre verrà probabilmente approvata la "corsia preferenziale rapida" per cambiare l'assetto istituzionale della Repubblica. E anche in Zona 3 è sorto un comitato per incidere su questo rischioso processo.
()
39316

Vi piacerebbe una repubblica presidenziale, un bel po’ decisionista, in cui il premier maximo verrebbe eletto dal 30-35% dei votanti, magari grazie ai premi di maggioranza di un prossimo "super-porcellum"? Vi piacerebbe se dai principi fondanti della vostra Costituzione fossero cancellati, con un tratto di penna, piccolezze marginali come la tutela del lavoro, il diritto per tutti all’istruzione e alla pubblica assistenza sanitaria?

Questi sono solo alcuni dei rischi che stiamo correndo oggi. E per la precisione dal 23 ottobre scorso, cinque giorni fa, quando il Senato ha approvato in seconda lettura, il d.d.l costituzionale 813. di deroga dell’art. 138  della costituzione., per riformare la seconda parte della Costituzione nel corso della presente legislatura.  In pratica per rivedere tutto l’assetto dei poteri istituzionali della Repubblica Italiana.

Che significa? Che il disegno di legge mette in mora il principale dispositivo creato dai Padri Costituenti per evitare una “facile” modifica della Carta fondamentale. Invece delle canoniche doppie votazione a due terzi di maggioranza delle due camere, intervallate di almeno tre mesi tra di loro, la “deroga” ideata nel disegno di legge prevede un percorso di soli 18 mesi per riformare la seconda parte della Costituzione, sulla base del lavoro di un “Comitato parlamentare per le riforme costituzionali ed elettorali”, venti senatori e venti deputati, che dovranno riprogettare il bicameralismo (introducendo un Senato delle Regioni e riducendo il numero dei parlamentari…), i poteri e i vincoli del Governo e del Premier e soprattutto una nuova legge elettorale “coerente”  con il disegno di riforma del bilanciamento tra potere esecutivo e legislativo.

In pratica: il passaggio a una Repubblica meno parlamentare, più presidenziale-esecutiva, caratterizzata da una legge elettorale forse in stile  “doppio turno francese” oppure persino a un “superporcellum”, come non pochi temono.

Alla fine dei 18 mesi, stilata la proposta da parte del comitato e approvata in doppio turno dalle camere, sarà la volta del referendum popolare , ammissibile anche in caso di doppia approvazione a due terzi (a differenza dell’originale 138). Referendum, in pratica. comunque. Una clausola “democratica” (sostenuta soprattutto dal Pd) che però non mette tranquilli gli oppositori di “Costituzione Via Maestra”, la rete di organizzazioni  (da Giustizia e Libertà alla Fiom, da Libera di Don Ciotti a personalità come Stefano Rodotà, dal Fatto Quotidiano a Sel) che ha tenuto lo scorso 12 ottobre in Piazza del Popolo a Roma una manifestazione nazionale stimata in 40 mila partecipanti.

In pratica se, com'è ormai probabile, la Camera  a metà dicembre approverà anch’essa in seconda lettura il Ddl  813, si aprirà a gennaio la corsa  dei 18 mesi “riformatori”. Dentro vi potrà stare ciò che è oggi condiviso da tutti (compresi gli oppositori di “Via Maestra”) come la riforma del bicameralismo, la riduzione dei parlamentari, l’abolizione delle province e il superamento del Porcellum. Ma vi potrà entrare anche, ed è quasi la certezza  per gli oppositori, quel disegno “presidenzialista” che si agita in Italia fin dagli anni 70 della P2 e del suo “programma di rinascita nazionale”. Passando poi per Craxi e infine Berlusconi.

Nel 2015, avremo quindi una diversa Repubblica? Di sicuro sì. Ma resta da vedere se sarà più di taglio europeo, più snella e efficiente, oppure di sapore sudamericano.

Qualcuno, però , ha in merito idee ben chiare:

«All’inizio della crisi, si pensava che i problemi nazionali fossero di natura economica, ma si è poi capito che ci sono anche problemi di natura politica. Le Costituzioni e i sistemi politici dei Paesi della periferia meridionale, sorti in seguito alla caduta del fascismo, hanno caratteristiche non adatte al processo di integrazione economica, (…) e sono ancora determinati dalla reazione alla caduta delle dittature. Queste Costituzioni mostrano una forte influenza socialista, riflesso della forza politica che le sinistre conquistarono dopo la sconfitta del fascismo. Perciò questi sistemi politici periferici hanno, tipicamente, caratteristiche come: governi deboli rispetto ai parlamenti, stati centrali deboli rispetto alle regioni, tutela costituzionale del diritto al lavoro, consenso basato sul clientelismo politico, diritto di protestare contro ogni cambiamento. La crisi è la conseguenza di queste caratteristiche. (…) Ma qualcosa sta cambiando: test essenziale sarà l’Italia, dove il nuovo governo può chiaramente impegnarsi in importanti riforme politiche ».

Questa citazione, tratta da un report sull’area Euro della J.p. Morgan del 28 maggio scorso è ormai abbastanza nota in Italia. La prima a divulgarla fu Barbara Spinelli sulla Repubblica. Ma  in Piazza del Popolo a Roma, di fronte a circa 40mila convenuti per la manifestazione in difesa della Costituzione, l’ha ripetuta a gran voce anche Salvatore Settis, l’archeologo insigne ed ex rettore della Scuola Normale di Pisa.

Settis ha efficacemente comparato il punto di vista sulla nostra Costituzione di questo colosso della finanza globale alla prolusione del disegno di legge costituzionale 813 presentato lo scorso giugno dal governo, a firma di Letta, Quagliariello e Franceschini.

Settis ha comparato le tesi di J.P. Morgan con alcuni passi dell’introduzione al Ddl 813. Somiglianze evidenti. La Costituzione “socialista” di J.p. Morgan si specchia nell’ammissione, da parte dei ministri italiani, della sua stesura “nelle temperie della guerra fredda”.

Enrico Letta, lo sappiamo, è un aderente di primo piano della Trilateral. E viene invitato ali consessi riservati del Bildemberg. Conosce quindi bene le opinioni del grande capitale e della grande finanza, di quelli che potremmo definire come i “grandi creditori” del debito pubblico e dell’Italia.

Alla fine dei 18 mesi previsti dal ddl 813, con connessa riforma elettorale, è quindi quantomai probabile che il risultato sarà un sistema istituzionale e politico italiano presidenzialista, compatibile con i desiderata della grande finanza. E insieme, forse, l’abolizione di tutte quelle parti della Costituzione che impegnano lo Stato ai servizi di welfare e di tutela del lavoro.

E’ una prospettiva preoccupante? Giudicate voi. Che fare? In zona 3 è già attivo un “Comitato per La Difesa e l'Applicazione della Costituzione" che si riunisce in Via Porpora 45 c/o la "Casa della Sinistra". Referenti Franco Calamida (f.calamida@alice.it) e Francesco Lauria  (francesco.g.lauria@gmail.com).

C’è infatti da scommettere che la partita, dopo la petizione del Fatto Quotidiano contro la 813 (100mila firme) e poi la manifestazione dei 40mila di Roma non sia affatto chiusa. Lo stesso voto parlamentare del 23 ottobre è passato, ma con numerose defezioni (più tra le fila del Pdl che del Pd in verità) facendo emergere una maggioranza parlamentare piuttosto fragile, in cui molte “colombe” si sono astenute.

Reggerà questa fragilità al complesso 2104 “riformatore”? Il comitato dei 42 parlamentari (20 senatori e 20 deputati, più i presidenti delle commissioni Affari costituzionali) dovrà  riscrivere i titoli I, II, III e V della seconda parte della Costituzione, riguardanti Parlamento, Presidente della Repubblica, Governo, Regioni, Province e Comuni. Di fatto, le camere dovranno votare, lungo il 2014, una riforma pari a circa metà dell'attuale testo costituzionale. Per non parlare della delicatissima legge elettorale.

Un controllo “forte” da parte della pubblica opinione su questo complesso processo, oltre che necessario, avrà quindi buone probabilità di incidere. Quantomeno sugli aspetti più estremistici delle riforme proposte. Ovviamente anche per prepararsi al referendum finale.

G.C.

 


Commenta

Re: I rischi di un'Italia presidenziale
31/10/2013 beppe caravita
Grazie comunque della precisazione.

Beppe Caravita


Re: I rischi di un'Italia presidenziale
31/10/2013 carlo cicardi
Solo per correggere e segnalare che le firme raccolte dal Fatto quotidiano non sono 100 mila come riportato ma quasi 500 mila.
Ma fa poca differenza perchè in ogni caso sono state completamente ignorate da tutti gli altri organi di stampa e dalle Istituzioni, comprese quelle deputate "teoricamente" alla tutela della Costituzione.


 
 Rispondi a questo messaggio
 Nome:
 Indirizzo email:
 Titolo:
Prevenzione Spam:
Per favore, reinserire il codice riportato nell'immagine.
Questo codice serve a bloccare i tentativi di inserimento automatici.
CAPTCHA - click right for audio Play Captcha