Liberalizzazioni e servizi pubblici

Con il DL 24 gennaio 2012 n.1 il governo Monti ha introdotto nuove norme per la “Promozione della concorrenza nei servizi pubblici locali” (articolo 25), norme contro cui hanno protestato i comitati in difesa dell'acqua pubblica, norme che appaiono in evidente contrasto con la scelta espressa dalla maggioranza degli italiani nel referendum dello scorso giugno sulla privatizzazione dell'acqua (e dei servizi pubblici in generale). Sono opportune allora alcune considerazioni, sia pratiche sia di principio.
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Acqua web
Si vuole promuovere la privatizzazione dei servizi pubblici in quanto la libera concorrenza comporterebbe un vantaggio in termini di tariffe e di efficienza del servizio.
Questo può essere vero solo se l'utente ha possibilità di scegliere tra una pluralità di offerte, come accade oggi ad esempio per i servizi telefonici, ma come non può in pratica accadere nel caso dei servizi di erogazione dell'acqua, della depurazione degli scarichi, dello smaltimento rifiuti ed in molte realtà locali dei trasporti.

E se pur l'affidamento di tali servizi avvenisse in seguito a gare pubbliche aperte ad una molteplicità di concorrenti, occorrerebbe che gli enti appaltanti fossero in grado di impostare le gare con criteri di massima trasparenza, di scegliere le offerte tecnicamente ed economicamente più vantaggiose in base a progetti esecutivi, a rigorose condizioni di fornitura dei servizi, a piani finanziari ben definiti e confrontabili, cosa che non capita di vedere così di frequente. In realtà Il principio della "libera concorrenza" non viene rispettato.

Altro argomento che depone a favore della liberalizzazione è quello che sono necessarie ingenti risorse per ammodernare i servizi ed in particolare per fermare gli sprechi attuali nelle reti di distribuzione dell'acqua; occorrono ingenti investimenti per lavori a cui sono interessate le grandi imprese di costruzione; il capitale privato verrebbe in questo caso in soccorso degli enti pubblici indebitati. Ma perché bisognerebbe affidare ai privati, invece che ad un ente pubblico la realizzazione di opere mediante investimenti che comunque verranno ripagati dalle tariffe applicate e che quindi che non comporteranno deficit di bilancio strutturali?
I patti di stabilità devono impegnare gli enti pubblici a non creare disavanzi nelle partite correnti, non negli investimenti che possono essere attuati con piani di project financing realizzabili dallo stesso ente pubblico, così come farebbe il privato.
La visione liberista che promuove le liberalizzazioni considera poi la gestione privata di per sé più efficiente di quella pubblica.

Il privato che svolge il servizio pubblico opera ovviamente in vista del profitto conseguibile con l'attività intrapresa, ma non ci sono regole per stabilire la misura del giusto profitto, anzi lo spirito liberista presuppone la massimizzazione del profitto come valido criterio con cui valutare l'impresa privata. La massimizzazione del profitto comporta il contenimento dei costi, con ripercussioni sull'efficienza e sulla qualità dei servizi erogati, e questa è una condizione che da sola dovrebbe far riconsiderare seriamente l'opportunità della gestione privata.
Infatti si è sempre verificato che ove i servizi pubblici sono stati affidati ai privati le tariffe hanno subito cospicui incrementi, mentre sarebbe interessante conoscere qualche esempio contrario, passando dalla gestione pubblica a quella privata.
Infine consideriamo che i servizi pubblici attinenti al diritto di ciascuno di disporre di acqua potabile, di aria pulita, di conservazione dell'ambiente, comportano la fruizione di un bene comune e come tali non possono essere affidati ad una gestione privata, incompatibile con l'interesse generale.

La gestione pubblica dei servizi essenziali, acqua, aria, ambiente, unitamente alle scelte di politica di utilizzo delle risorse naturali esigono oggi forme di democrazia diretta e partecipata, rapportata al territorio ed ai diversi ambiti sociali, ed è evidente che le attuali forme di democrazia rappresentativa da sole non hanno consentito e non consentono il raggiungimento di quel bene comune in grado di garantire alle generazioni future un mondo decentemente vivibile. Certo tra il cittadino e l'istituzione pubblica occorre recuperare ambiti di coinvolgimento negati e sviliti dalla stagione polita sinora vissuta, non solo in Italia; la crisi attuale impone svolte democratiche, certo difficili da praticare, ma questa ci sembra una strada che è obbligatorio percorrere.

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