Multiutility del Nord
L'incontro del 5 giugno organizzato dai gruppi consiliari di Sinistra per Pisapia e dal Movimento 5 Stelle in collaborazione con i Comitati per l'Acqua Pubblica ed altre associazioni attive a Milano ha ben messo in evidenza i principali aspetti della questione.
(Paolo Burgio)11/06/2012
Quali le società coinvolte
La proposta della Multiutilty è stata avanzata nel febbraio scorso da parte di Fassino e Tabacci, che proponevano la fusione di A2A e Iren, e in un secondo tempo anche di Hera, per costituire una grande società nel settore energetico e dei servizi pubblici integrati.
Ricordiamo che A2A è nata dalla fusione della milanese AEM e della bresciana ASM, presente tramite ASM anche a Bergamo, con partecipazioni in altre società italiane e in Montenegro. Iren, invece, è la società pubblica nata dalla fusione delle municipalizzate emiliane (Reggio, Parma, Piacenza) e di quelle liguri (Genova) e piemontesi (Torino). Infine, Hera è la società pubblica che raggruppa gli altri comuni emiliani e romagnoli (Bologna, Modena, Ferrara, Ravenna, Forlì, etc.).
Tutte queste società sono attive nella produzione e distribuzione di energia elettrica, distribuzione gas, smaltimento rifiuti, teleriscaldamento, servizi idrici e ambientali (fa eccezione Milano, dove l'acqua è affidata a MM).
Competitor internazionali
La proposta della Multiutility ha come obbiettivo la costituzione di una società in grado di confrontarsi con la concorrenza di Edison, conquistata ormai interamente dal colosso francese EDF (Electricité de France, la società energetica pubblica francese, entrata decisamente sul mercato italiano, competitiva poiché dispone degli impianti nucleari francesi, largamente ammortizzati ed in grado di produrre energia a costi ben inferiori a quelli italiani).
Questa Multiutility diventerebbe il secondo operatore energetico italiano dopo Enel, e avrebbe dimensioni tali da poter operare sui mercati internazionali come fornitore di energia e servizi pubblici integrati, dovendosi confrontare però con una concorrenza numerosa e ben agguerrita, presente da decenni in campo internazionale, e generalmente dotata di ingenti risorse finanziarie.
La proposta di fusione
A2A e Iren hanno accumulato ingenti passività ed hanno una forte esposizione finanziaria, non hanno quindi risorse per acquisizioni e investimenti; i capitali necessari dovrebbero quindi essere messi a disposizione da altri soci, in grado anche di assicurare un management capace e adatto ad operare su un mercato altamente competitivo. Nelle ipotesi di Fassino e Tabacci, la Multiutility sembrava allora aprire le porte all'ingresso di soci previdentemente privati vista la situazione delle finanze pubbliche, soci privati come F2I, la società guidata da Gamberale, che può contare su rilevanti risorse finanziarie.
In cambio delle quote, la proprietà delle reti
La proposta è stata di recente ripresa dal ministro Passera, che ha affidato alla società McKinsey (dove Passera ha iniziato la sua carriera) uno studio di fattibilità che riproporrebbe la proposta originale di Fassino e Tabacci, una Multiutility creata accorpando le società A2A e Iren, e successivamente Hera.
Per superare il problema finanziario, la Multiutility cederebbe ai comuni in cambio delle loro quote azionarie la proprietà delle reti di distribuzione, permettendo ai comuni stessi di svincolarsi dal pesante indebitamento della nuova società e di venir ripagati dalla rendita proveniente dalle reti.
…ma il controllo non sarebbe ai comuni
La nuova società non verrebbe più controllata dai comuni, ma grazie all'intervento della Cassa Depositi e Prestiti (CDP), apportatrice dei fondi necessari a rifinanziare la società, passerebbe di fatto sotto il controllo del ministero, da cui dipende la CDP, non potendosi escludere che in futuro si attui un'apertura alla privatizzazione della società e quindi affidando la gestione ad un management scelto dagli azionisti. La nuova società verrebbe sottratta al controllo dei comuni, che hanno dimostrato di non saper individuare amministratori capaci ed indipendenti dalla politica, in grado di assumersi la responsabilità delle scelte operative e gestionali nella logica dell'efficienza, della remunerazione dei capitali e del profitto.
In pratica la proposta Passera toglie agli enti locali la competenza sui servizi pubblici, affida le decisioni al potere centrale e nomina i “tecnici” competenti all'altezza del ruolo che devono ricoprire (non c'è forse un eccesso di autoreferenzialità da parte del ministro Passera in questo?).
Un mercato di forte competitività e scarsi margini
È stato poi messa in evidenza la situazione difficile del mercato dell'energia, ove esiste una forte competitività, con margini di profitto ridotti, eccesso di capacità produttiva, a fronte di una diminuzione progressiva dei consumi, sia per la crisi economica, sia per il fatto che l'energia da fonti alternative, ed innanzitutto quella dal fotovoltaico, dovrebbe coprire quote sempre maggiori di mercato.
In effetti il fotovoltaico è la prospettiva vincente nel prossimo futuro, in quanto non richiede risorse finanziarie pubbliche, porta la produzione sul territorio e salvaguarda l'ambiente come nessuna altra tecnologia consente attualmente di fare.
I profitti più consistenti di A2A e Iren derivano (lo stesso vale per le società private) non dal settore dell'energia, ma da quello dei servizi pubblici integrati (acqua e smaltimento rifiuti), dove non esiste concorrenza.
Il ruolo delle istituzioni e dei cittadini
A fronte di questo scenario quale ruolo vengono ad avere le istituzioni ed i cittadini?
L'ente locale si vede sottratta la gestione dell'energia e dei servizi pubblici; se questo può essere ammissibile per l'energia, un mercato effettivamente libero, con una pluralità di offerte e di operatori in concorrenza tra loro, secondo una logica di libero mercato, non può esserlo per i servizi pubblici, in cui non è possibile e nemmeno logico avere una pluralità di operatori.
Le criticità
La proposta Multiutility fa emergere quindi due palesi criticità.
La prima che sottrae al pubblico un servizio in un settore dove non si possono ottenere economie di mercato.
La seconda che si contraddice in toto il principio che l'acqua è un bene per definizione pubblico, dal quale non è lecito quindi trarre profitto.
Anche il profitto generato dallo smaltimento rifiuti, che è un servizio coperto da una tassazione, non si concilia con la possibilità di trarne profitto (pubblico o privato che sia).
L'ente pubblico che percepisce la tassa sui rifiuti e che affida lo smaltimento al privato, che opera solo in vista di un profitto, non fa che imporre un doppio balzello. La tariffa pagata deve coprire esclusivamente i costi di investimento e gestione del servizio, su cui l'operatore (sia pubblico che privato) non può vantare il diritto di accumulare profitti.
Col referendum avevamo detto NO
L'intervento del costituzionalista Azzarita è stato esemplare sotto questo profilo.
È stato messo in chiara evidenza che le norme sulla privatizzazione dei servizi pubblici, su cui i cittadini sono stati interpellati con il referendum del 2011, avevano un carattere essenzialmente anticostituzionale. I quesiti referendari ammessi riguardavano l'articolo di una legge con cui si imponeva ai comuni di affidare a soggetti privati o misti pubblici/privati i servizi pubblici, tutti i servizi pubblici e non solo quello relativo all'acqua.
In spregio all'esito del referendum e dopo solo due mesi il governo Berlusconi si era premurato di ripristinare in pratica l'affidamento ai privati e il governo Monti non solo non ha cancellato questa legge, ma ha pure abbassato la soglia, precedentemente stabilita, oltre la quale è possibile affidare ai privati i servizi.
Il servizio pubblico può e deve essere efficiente e non rincorrere il profitto
In conclusione Molinari, presidente del Comitato in difesa dell'acqua pubblica, ha ricordato che devono essere i comuni i responsabili della gestione dei servizi pubblici, che la proposta politica della Multiutility intendeva consegnare servizi strategici al profitto privato ed alla speculazione finanziaria, che la proposta di Passera sottrae alla politica il potere decisionale sui servizi per affidarli ai manager.
Appare innegabile che senza il controllo dell'operato da parte dei cittadini non sarà possibile uscire da un circolo vizioso di accaparramento delle risorse del Paese da parte della politica e del sistema finanziario che sta condizionando l'economia reale e la proprietà stessa dei beni comuni.