Parliamo di Expo 2015

Expo 2015: una grande prospettiva per Milano?  Cosa ne pensano la società civile e le Organizzazioni non governative di cooperazione internazionale? Intervista con Lele Pinardi ex Presidente dell’Associazione delle Ong lombarde ed esponente delle Ong che aderiscono al Manifesto per un Expo dei Popoli.


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expo 2015 WEB
Si svolgerà dall'1 maggio al 31 ottobre. Mancano dunque tre anni all’inaugurazione dell’ Esposizione universale di Milano, conosciuta come Expo 2015. Si tratterà fuor di ogni dubbio, nel bene e nel male, di un evento di primaria importanza e di grande impatto per la città e per tutto il paese. Gli ottimisti ritengono che sarà la prima grande manifestazione internazionale post-crisi  e  addirittura che l’Expo stesso possa funzionare da volano per l’avvio della tanto, forse troppo, evocata fase della “crescita”. Ossia dell’inizio di un nuovo ciclo espansivo dell’economia globale, in particolare in Italia. Chi la pensa così sbandiera dati abbastanza mirabolanti: 29 milioni di visite, 7.000 eventi, 70.000 nuovi posti di lavoro a livello locale, 14 miliardi di investimenti infrastrutturali e così via.

D’altra parte non manca chi ritiene, come i comitati no-Expo, seppur in netta minoranza, che l’Expo sia una vera iattura da cui liberarsi. Un mostro divoratore di soldi pubblici, un meccanismo infernale pronto a inquinare e cementificare ulteriormente una delle regioni più inquinate e cementificate del mondo. Un affare planetario limitato però a pochi soggetti, non esclusa la malavita organizzata, con in prima fila le ‘ndrine calabresi ben incistate anche al nord, con buona pace delle scempiaggini negazioniste di certi quantomeno poco informati padani. Un baraccone inutile e pericoloso insomma, che lascerà dietro di sé solo disastri.

Come si ricorderà, la candidatura di Milano è arrivata al successo nell’ottobre di quell’anno 2010 che, politicamente parlando, sembra far parte di un’altra era geologica. Di li a poco il secondo Governo Prodi, già in fase preagonica, sarebbe stato battuto al Senato grazie alle divisioni a sinistra e il colpi maramaldi di Dini e Mastella; Berlusconi si apprestava a fare il pieno dei voti che avrebbe poi usato nel bel modo che tutti sappiamo, contribuendo non poco a portarci dove ora siamo; a palazzo Marino sedeva la signora Moratti, come è noto molto sensibile agli interessi dei costruttori; in Provincia s’era già insediato il Sig. Podestà (Carneade, chi era costui?); alla Regione il lungo periodo di Formigoni (Celeste, come il cielo dei tropici) non dava ancora segni evidenti di debolezza. Insomma una situazione politica così fortemente egemonizzata dalla destra da dare, agli occhi di molti, buoni argomenti alle previsioni più pessimistiche.

Il quadro politico oggi è profondamente mutato e, per citare solo il fatto a noi più vicino,  a Palazzo Marino e come Commissario del Governo per l’Expo c’è Pisapia, seppur in strana diarchia con Formigoni. Il Sindaco di Milano riguardo all’Expo parla di “sfide ad alto livello”, di “capacità creativa” e soprattutto dell’eredità per il paese e per Milano che, nella sua visione sarà grazie anche all’Expo “una città intelligente e sostenibile, aperta al resto del mondo e in grado di competere con le città leader europee e mondiali.”  La famosa Smart City che tutti vorremmo, anche senza tifare per gli anglicismi.

Basta questo a farci dormire sonni tranquilli in attesa che il destino si compia? O si tratta di un tema  di tale importanza da richiedere un alto livello di attenzione, partecipazione e vigilanza da parte dei cittadini, milanesi e non solo? Noi vorremmo tentare di stimolare e raccogliere al riguardo idee e pareri di persone, professionisti e soggetti organizzati, a vario titolo e con diversi e specifici punti di vista, che vantino un’esperienza, propongano una visione,  abbiano od ambiscano ad avere un ruolo oppure, perché no, esprimano una visione critica o anche solo meno ottimista, nei confronti dell’Expo, ormai neppure troppo lontano.

Iniziamo oggi con l’intervista a Lele Pinardi del Cosv di Milano, un esponente storico del mondo delle Organizzazioni non-governative (Ong) che si occupano di cooperazione internazionale. Sono  più di 100 in Lombardia, alcune grandi e famose come Arci e Acli, Action Aid od Emergency ed altre più piccole o meno note ma portatrici comunque di esperienze preziose. Che sono poi quelle di decenni di presenza e lavoro in quasi tutti paesi del Sud e non solo.  Un patrimonio forse ancora sottostimato e sottoutilizzato. Buona parte di queste hanno conformato una Piattaforma, sorta di tavolo di lavoro aperto ed includente, e hanno lanciato il...

Manifesto per un Expo dei Popoli: Lele Pinardi, ci vuoi dire di cosa si tratta?
È il tentativo promosso dalle Organizzazioni non governative (Ong), dal mondo delle associazioni, Acli, Arci e tante altre, di coinvolgere la società  civile non solo italiana ma europea e mondiale, nelle iniziative previste dall’Expo 2015. In  particolare nel dibattito sui contenuti, con l’obbiettivo di portare dentro l’Expo il punto di vista dei cittadini su temi fondamentali come la lotta alla fame e lo sviluppo sostenibile.
Si tratta della presa di posizione di centinaia di associazioni, in prevalenza italiane ovviamente, ma non solo. L’iniziativa si sta già allargando sul piano internazionale. Operativamente, entro l’estate 2012 sarà costituito un comitato organizzativo aperto tutte le realtà interessate.

E l’Expo “Ufficiale”, a che punto è? Come la vedi? Sarà veramente un’ opportunità per Milano e il paese?  Come vedi gli Expo days recentemente organizzati a Milano. Il Mondo a tavola: si va nella direzione da voi auspicata?
A nostro avviso l’organizzazione dell’Expo è molto in ritardo. Non tanto sui passi formali (concessioni, acquisizioni ecc.), quanto sui contenuti e anche sugli aspetti organizzativi. Probabilmente ciò si deve alla conflittualità tra posizioni politiche. Ad esempio, i due commissari (Il presidente della Regione Lombardia e il Sindaco di Milano, ndA)  dicono e ripetono di poter lavorare insieme, ma nella pratica la spartizione dei poteri complica le decisioni. A Formigoni spettano la definizione dei contenuti e la realizzazione delle grandi infrastrutture, mentre Pisapia deve occuparsi della gestione dell’evento e dell’assemblaggio e organizzazione del sito dove si svolgerà concretamente la manifestazione. E’ un fatto inusuale questo dei due commissari ed inevitabilmente tende a creare sovrapposizioni e dunque conflitto.  
C’è poi il grande problema di comunicare l’Expo ai cittadini. Tutti, 20 milioni di visitatori potenziali! E si è molto indietro. Oggi si sceglie, ma è comprensibile, eventi concentrati, di basso costo e buon impatto. Noi auspichiamo che eventi un po’ occasionali possano diventare incontri più virtuosi per costruire una disponibilità, che non siano fini a sé stessi.
Sappiamo che l’intenzione è organizzare anno due momenti fissi: Expo days in aprile- maggio e Participant meeting a metà ottobre, sempre a Milano. Abbiamo però qualche perplessità. Temiamo che gli eventi siano pochi e troppo concentrati, finendo per avere poco impatto sulla cittadinanza. Forse sarebbe più opportuno parlare nelle scuole, nelle biblioteche, nei centri sociali. Costruendo  percorsi di confronto sul cibo, sull’a produzione, sull’ambiente ecc. per poi, solo poi,  arrivare in piazza del Duomo.

In altra occasione hai detto che l’unico modo di fare dell’Expo un evento che valga la pena di essere visitato sia proprio quello di sviluppare davvero, in un dibattito pubblico e aperto, i temi contenuti nel motto Nutrire il pianeta energia per la vita. Ma hai indicato il rischio che l’Expo diventi una fiera commerciale con tanto di cementificazione, mafie, gruppi di potere ecc. Qual è la situazione?
Ci vuole una grande attenzione ed anche una forte mobilitazione della società civile sul tema della  trasparenza e delle regole per l’assegnazione dei lavori. Allo stato ci sono due grandi problemi non ancora risolti. Il primo è la mancata definizione di cosa ne sarà delle aree Expo dopo la sua conclusione. E il secondo la questione della lotta alla criminalità, tenendo anche conto che il nostro paese, non solo Milano, sarà, si spera, al centro dell’attenzione anche a questo riguardo. Molti pensano che non bastino le regole attuali per contrastare le infiltrazioni mafiose, perché la criminalità organizzata purtroppo ormai è parte del tessuto produttivo del norditalia. Non basta la commissione opportunamente  istituita dal Comune di Milano e neppure il recete accordo con la Procura. Ci voleva un patto più forte e penetrante  con la magistratura e le forze di polizia.

Ma la proposta di un  l’Expo dei popoli non rischia di essere vista come  la raccolta dei soliti ingenui che non vedono l’importanza del commercio, degli affari, del lavoro,  interessati solo a riproporre una contrapposizione, stile no global, per intenderci?
Mettiamo in chiaro: l’Expo per sua natura legale non è una fiera, non è un evento commerciale. Dovrebbe essere un evento, adeguato o no all’epoca in cui viviamo, un’occasione di aggiornamento sulle migliori tecnologie per affrontare determinati temi di interesse generale.
La presenza delle imprese, naturalmente positiva,  non ha come primo obbiettivo la vendita di prodotti, ma appunto l’aspetto tecnico-scientifico per la risoluzione dei problemi globali.

Esiste una battaglia politico/culturale sull’Expo? Quali sono le forze in campo? Quali le istituzioni e le personalità chiave?
Certo che esiste. In campo ci sono le massime istituzioni  internazionali, primo fra tutte lo stessi sistema delle Nazioni Unite. L’Onu è stata tra i primi a firmare un accordo per la realizzazione dell’Expo. Ed è lo sponsor ufficiale, assieme a Accenture, Telecom e Cisco.
Ciò prova, in parte, l’interesse delle multinazionali per la manifestazione.
Ma vi sono anche le posizioni autonome ed originali dei piccoli produttori, dei coordinamenti internazionali  della società civile, degli istituti di ricerca indipendenti, dell’associazionismo sia al sud che al nord del pianeta.
Ad esempio, il mondo della scienza sugli OGM (organismi geneticamente modificati) fa un discorso non illogico ma che altri giudicano inadeguato. Con l’appoggio delle multinazionali molti sostengono che, vista la scarsità delle risorse, gli OGM sarebbero l’unico mezzo per lottare contro la fame.
A fronte di questo, il mondo delle associazioni in maggioranza ritine invece che le risorse ci sono e che i problemi principali vengono dall’iniqua distribuzione e dal prevalere di interessi privati. Da ciò consegue la posizione, vero asse politico-culturale di questa parte dello schieramento, secondo cui il tempo e le conoscenze a disposizione andrebbero spese per incrementare un approccio idoneo a diminuire gli sprechi e modificare i consumi piuttosto che la natura, con l’aggravante che non sono neppure conosciute con chiarezza le possibili conseguenze. 
Una critica proveniente dal mondo dell’associazionismo alla cosiddetta rivoluzione verde è quella di aver aumentato la produzione attraverso la selezione delle sementi, ma di aver aumentato anche la dipendenza e l’esproprio dei contadini.
E non dimentichiamo che esiste anche un fronte del no, assolutamente legittimo e con motivazioni ben presenti alla Piattaforma. I No-Expo sollevano questioni importanti come la tutela del lavoro e l’impatto negativo sulla città e sul territorio.

Cosa ne pensi delle posizioni espresse nella cosiddetta Carta di Veronesi?
La Carta 2015 di Veronesi riguarda la scienza. Sarebbe assurdo non realizzare un confronto, pubblico e  aperto,  tra  la Piattaforma e la Carta perché quest’ultima ha molte proposte in linea con le posizioni di chi propone l’Expo popoli. Sono condivisi ad esempio il ripensare lo sviluppo non solo in termini di crescita ma di sostenibilità e l’appello a diminuire le spese militari per trovare risorse per lo sviluppo.
Ma sugli OGM c’è una profonda diversità di opinioni. D’altronde  la Carta di Veronesi, due paginette, è talmente sintetica da rasentare davvero la superficialità. Pensiamo che anche gli estensori la vorranno approfondire. Allora noi diciamo: confrontiamoci sugli OGM per portare a conoscenza dell’opinione pubblica i pro e i contro di scelte che poi non si potranno più modificare.

Premesso che sappiamo che la vostra Piattaforma, giustamente, dialoga con tutti, qual è lo stato dei rapporti con le autorità, in particolare il Comune di Milano e la Regione Lombardia? E’ possibile non schierarsi data la diversità delle posizioni presenti?
Partiamo dalla premessa che la Piattaforma vuole riunire il massimo numero di espressioni della società civile a prescindere da una qualunque impostazione di tipo ideologico.
Detto ciò, è evidente dallo stesso Manifesto per un Expo dei popoli quale sia la proposta dell’ampio fronte di organizzazioni che fanno parte della Piattaforma: partire dalle esigenze e dalle caratteristiche  delle comunità e dei cittadini, in contrapposizione, uso questa parola, a modelli preconfezionati o imposti dall’esterno da governi, mondo scientifico, multinazionali, interessi economici vari, più o meno legittimi. Per non parlare naturalmente delle infiltrazioni di carattere criminale e mafioso. O lo sviluppo è per tutti o non ci sarà. Da questa posizione consegue l’attenzione verso tutti gli interlocutori, anche quelli portatori di interessi e punti di vista particolari.
Oggi di fronte ad un Comune che dichiara di condividere i contenuti e la proposta di affrontare i problemi mettendo sullo stesso piano, ad un pari livello di dignità, tutti i punti di vista, c’è senz’altro la volontà di un’interlocuzione positiva. Abbiamo apprezzato molto l’apertura di tavoli con le comunità di immigrati e la volontà  di Confalonieri, responsabile del Comune di Milano per l’Expo, di incontrarsi periodicamente con i rappresentanti della Piattaforma.

E la Regione? Spetta al Presidente della Regione definire i contenuti dell’Expo.
Quando c’era la Moratti la Regione era di fatto un interlocutore importante. Adesso il dialogo è molto più difficile, probabilmente  per problemi politici. Riscontriamo una carenza di interlocuzione per via dell’oggettiva crisi della destra, che governa la Regione Lombardia. Ad esempio, era stato promesso un Festival dell’ambiente, ma non se ne è più parlato.
In tutti i casi, chi ha in mano i contenuti non può essere arbitrario: devono essere pensati con un forte apporto di tutti i soggetti istituzionali. Il Comune, l’Università, la Camera di commercio. In Regione sono convinti che la società  civile, nel suo complesso, debba avere un ruolo oppure no? L’Expo nasce dichiarando l’importanza della società civile e ciò deve essere confermato. D’altronde la Piattaforma ha dichiarato che parteciperà all’Expo solo a certe condizioni.
Noi pensiamo che l’Expo dovrebbe essere una grande occasione internazionale per discutere del futuro della cooperazione internazionale, nel quadro, molto più ricco di ombre che non di luci, del dopo Millennium Goals. Siamo fortemente impegnati a partecipare, ma in nessun caso accetteremo un nostro ruolo nell’Expo che si configuri come una sorta di ghetto folcloristico.

I sindacati che ruolo possono avere?
Devono averlo e per fortuna ce l’hanno. Le Confederazioni hanno firmato un accordo con la Società Expo sulla sicurezza del lavoro, la legalità ecc. C’è poi la questione della richiesta da parte di Expo per migliaia di volontari. I Corsi di formazione sono già partiti, anche se non se ne sa molto.
Ma ciò sottende l’intenzione di non pagare delle prestazioni sfruttando il volontariato oppure si vogliono costruire dei veri percorsi di formazione e di inserimento al lavoro? 

Considerate come interlocutori anche i movimenti di cittadini, quelli al di fuori dei partiti, come ad esempio i Comitati per Milano?
Certo. Chiunque possa raggiungere i cittadini ed aprire un dibatto con parti dell’opinione pubblica  anche chi non fosse molto informato sull’argomento è un interlocutore prezioso, perché e importante che l’Expo parli alla società nel suo complesso.
Ma i movimenti ci interessano anche in quanto sensori dell’atteggiamento comune. Anche attraverso di loro più passare la sensibilizzazione. Noi siamo interessati ad avere contatti, ad invitare questi movimenti ai nostri tavoli di discussione. Ma ci piacerebbe anche che loro fossero promotori di momenti di incontro, non per adesione ideologica ad un determinato modello di Expo, ma per dibattere dei problemi.

C’è un rapporto tra Expo popoli e dibattito internazionale sulla cooperazione allo sviluppo? Nel 2015 scadranno i già menzionati Obbiettivi del Millennio. Dall’Expo 2015 può venire un contributo alla loro valutazione e riformulazione?
Come agenzia di riferimento è stata incaricata la Fao (Organizzazione delle Nazioni Unite per il cibo e l’agricoltura). Si è già tenuto un incontro tra la Piattaforma e la Fao a Como lo scorso ottobre. E’ stato presentato il Manifesto ed illustrati i contenuti. Abbiamo chiesto un appoggio affinché la Piattaforma per l’Expo dei popoli possa garantire la presenza a Milano dei rappresentanti delle società civili dei vari paesi. Ci sono  state dichiarate attenzione e disponibilità. Vedremo cosa potremo concretizzare. Vorrei ricordare, perché non molti lo fanno, che la candidatura di Milano è nata con Prodi Presidente del Consiglio e D’alema Ministro degli Esteri. L’appello alla candidatura fu focalizzata proprio sul tema della cooperazione internazionale. L’Expo dunque è e deve essere uno strumento per ridefinire e rilanciare i modelli di cooperazione. Ma tutto ciò nel corso del tempo è un po’ sparito. Noi ribadiamo invece che se l’Expo non parlerà di cooperazione allo sviluppo mancherà clamorosamente il suo obiettivo.
La stessa Società Expo ha più volte dichiarato l’interesse e la volontà di verificare cosa si possa fare assieme alle nazioni Unite  nel corso della manifestazione riguardo a nuovi obbiettivi globali di sviluppo. Potrebbe realizzarsi una sessione speciale al Centro congressi dell’Expo.
La Piattaforma chiede che dentro questo evento ci sia l’apporto delle Ong e delle società civili del mondo. Anche su questo tema non cerchiamo contrapposizioni ma dibattito. Ad esempio sui dati. C’è chi,  facendo un uso spregiudicato dei dati,  sugli Obbiettivi del Millennio fino al 2010 ha detto: fantastico! Ce la facciamo a raggiungerli! Poi, dal 2011 ufficialmente ragionano così: andiamo benone! C’è la crisi ma è a macchia di leopardo: in Messico la scolarità è stata strepitosa! Va bene. Ma sui paesi in difficoltà, cosa si dice? E sul piano generale?  Insomma, noi non ci accontentiamo di visioni parziali. Vogliamo invece guardare bene in faccia la realtà.
E poi c’è un altro tema su cui l’Expo svicola. Si era parlato della creazione a Milano di un Centro internazionale  per lo sviluppo sostenibile. Ma anche di questo si sono perse le tracce.

Puoi indicarmi in estrema sintesi quale sarebbe per te e la vostra Piattaforma l’Expo ideale, quello che vorreste veder realizzato? E quale, all’interno, il ruolo del movimento delle Ong?
Per noi l’Expo ideale è un luogo dove, in quei sei mesi, si riesca a suscitare un vasto dibattito  internazionale sul futuro dei modelli di sviluppo e della cooperazione internazionale assieme a una grande capacità di rendere coscienti e far partecipare il maggior numero di persone su questi temi.
Si prevede l’uso di grandi tecnologie: noi vorremmo che fossero utilizzate per questo obiettivo.
E poi vorremmo che il contributo della società civile non sia confinato in un ghetto. Anche il luogo fisico è importante, ad esempio una idonea sistemazione della cascina Triulza sarebbe una sede adeguata. Ma le nostre iniziative dovrebbero essere trasversali, promosse e ospitate al pari delle altre. D’altronde nemmeno l’Expo in quanto tale deve essere un ghetto. Guai se lo si concepisse come una sorta di parco divertimenti, come una specie di disneyland. L’impatto culturale si deve vedere nel tessuto civile, in modo che rappresenti i il punto di partenza di un nuovo modo di intendere i modelli urbani di vita e di integrazione tra città e campagna, per così dire..
Fino ad oggi la percentuale di visitatori stranieri alle recenti Esposizioni universali è stata bassissima, attorno al 5%. Ecco, noi vorremmo che l’Expo milanese contribuisca a far diventare Milano davvero internazionale. Per raggiungere questo obbiettivo ci vuole una presenza significativa di visitatori anche dai paesi del Sud. Ma non per l’organizzazione di banchetti folcloristici, quanto per far conoscere culture, conoscenze e tradizioni. ecc. Expo non dovrebbe essere un’esperienza virtuale o di spettacolo ma far capire l’importanza della storia e delle diverse culture.

Il dibattito è aperto e si spera continui e si approfondisca.

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