Milano, fermiamo il cemento
(Beppe Caravita)20/05/2012
Questo, in cifre, l’allarme lanciato dal Rapporto 2012 sul consumo di suolo in Lombardia. Il documento, presentato lo scorso 14 maggio alla Regione Lombardia, che si concentra sulle province di Milano, Lodi e Monza e Brianza , è il frutto, piuttosto ponderoso, di due anni di ricerche condotte dal Centro di ricerca sui consumi di suolo (Crcs), operante presso il Dipartimento di architettura e pianificazione del Politecnico di Milano. Un istituto fondato da Legambiente e dall'Istituto Nazionale di Urbanistica.
Un lavoro piuttosto minuzioso, area per area, costruzione per costruzione, quello sviluppato dai ricercatori del Crcs. Ma alla fine un quadro abbastanza eloquente sull’altra faccia del boom edilizio milanese e lombardo, che non pare arrestarsi nemmeno nella crisi e la crescente emergenza di immobili sfitti e persino abbandonati (circa 115 a Milano, secondo temporiuso.org , e considerando solo i maggiori).
Nei dieci anni analizzati nella provincia di Milano sono stati urbanizzati 7.323 ettari. E’ come se fosse sorta una mezza città insediata su 6.839 ettari agricoli e 738 ettaridi ambiente naturale in senso proprio.
Per contro le province di Lodi e Monza Brianza presentano indici più contenuti: 1.330 ettariurbanizzati per la prima e 2.078 per la seconda. Anche se i ricercatori del Crcs anche qui mettono le proporzioni: 1,2 volte la città di Lodi nel primo caso e 0,7 volte la città di Monza nel secondo. Nonostante questo, e a differenza di Milano, a fronte di consistenti perdite di suolo agricolo il bilancio delle aree naturalì è, seppur di poco, postivo: 397 ettari in più nei dieci anni per Lodi e 90 ettari per Monza e Brianza.
L’impatto pesante sul consumo di suolo quindi si concentra intorno a Milano.
Frutto, indubbiamente, della bolla edilizia e immobiliare degli scorsi anni, che oggi si traduce in investimenti sottoutilizzati o persino vuoti. Basti pensare alle operazioni che hanno portati via pezzi di Parco Sud, il polmone di Milano forse più pregiato.
Ma non solo responsabilità degli immobiliaristi.
Secondo
Paolo Pileri, docente del Politecnico di Milano e responsabile
scientifico del rapporto, il problema è anche come si governa il territorio e
il suolo: “Ad oggi tutta la materia o quasi è affidata ai
Comuni: 8092 enti ognuno dei quali, spesso debole e scoordinato con gli altri,
decide a modo suo. Ognuno consuma quanto crede e, più piccoli
sono, più costruiscono. C’è un conflitto di interessi palese: chi consuma viene
premiato. Specie in questi tempi di bilanci magri, dove gli oneri di
urbanizzazione fanno molto comodo alle casse. Per cui, se un centro commerciale
chiede di costruire, anche se non ce n'è effettivo bisogno per la popolazione,
finisce sempre o quasi per avere il via libera".
Non solo: "C'è un uso improprio e dannoso delle aree di
confine tra due comuni: è qui che si costruisce di più,
soprattutto infrastrutture. Poi ci sono i limiti dei parchi: attorno ai grandi
spazi verdi si urbanizza in modo sempre più rapido".
Che fare? Secondo Pileri è cruciale un monitoraggio sul consumo di suolo
effettuato da un ente terzo e non più dagli stessi comuni che vada nella
direzione di considerare il terreno un bene comune da tutelare. "Servono
politiche sovracomunali vere e convincenti, capaci di premiare chi non consuma suolo. Le autonomie locali,
infine, sono troppo deboli e vengono lasciate sole nei confronti della
rendita".
Puntare sui comuni, conferma Damiano Di Simine,
presidente di Legambiente Lombardia. “Il consumo di suolo è in primo luogo
l’effetto di scelte urbanistiche la cui responsabilità è in capo ai
comuni" ha detto "per questo il rapporto punta l’attenzione proprio
su questo livello amministrativo, fornendo uno strumento affinché ogni comune
si doti di un proprio e coerente censimento dell’uso del suolo prima di
assumere qualsiasi decisione: si tratta di una delle proposte contenute nel
proposta di legge di iniziativa popolare contro il consumo di suolo, su cui
abbiamo ricevuto consensi bipartisan, ma che da due anni giace nei cassetti del
Consiglio Regionale, mentre i comuni non adempiono nemmeno agli obblighi di
tutela previsti dalle norme vigenti”.
Qualcosa però si muove. A inizio anno è stato avviato un accordo tra tutti gli
assessorati al territorio delle Regioni del Nord Italia (Lombardia, Piemonte,
Valle d’Aosta, Emilia Romagna, Veneto, Liguria, Friuli Venezia Giulia oltre
alle province autonome di Trento e Bolzano), per condividere l’impegno alla
riduzione del consumo di suolo e realizzare banche dati comuni che rendano lo
stato delle cose.
Inoltre Regione Lombardia lo scorso 28 febbraio ha sottoscritto un’agenda che
impegna le diverse Direzioni Generali ad attivare programmi per la lotta al
consumo di suolo.
Però ben altro è necssario. Legambiente propone leggi di inziativa comunale per
mettere in sicurezza, definitiva, le aree verdi protette (come il Parco Sud di
Milano, strenuamente difeso dai suoi abitanti). E poi piani comunali, correlati
a quelli territoriali, sul consumo di suolo e sulle variazioni di destinazioni
d’uso, da rendere esplicite e contabilizzate.
Leggi e normative “argine” – dice Roberto Della Seta, senatore Pd e membro della Commissione Territorio e Ambiente – che quantomeno portino a un controllo dell’uso del suolo. In attesa di una mitica legge urbanistica nazionale al di là dell’orizzonte.
E il settore edile, con i suoi 375mila addett in Lombardia? Un pilastro dell’economia lombarda, oggi in grave crisi che “va indirizzato non più sulle operazioni immobiliari estensive quanto sulla sostituzione di immobili vecchi, anni 50 e 60, energeticamente inefficienti, con edifici in classe A moderni” rileva Daniele Belotti, assessore regionale al Territorio e Urbanistica. Una politica edilizia e industriale che si può sviluppare con opportuni incentivi, sia alla dismissione dei vecchi immobili che alla costruzione al loro posto di nuovi. Con un bilancio positivo sia per il suolo, l’ambiente e l’occupazione.
Riferimento:http://www.ecodallecitta.it