Migliaia in marcia per dire NO al DL INSICUREZZA

Una partecipazione che ha sorpreso gli stessi organizzatori quella registrata sabato 1 dicembre 2018 per chiedere che il centro di accoglienza di via Corelli non venga smantellato per far posto ad un centro di detenzione. ()
NO CPR Corelli
Da piazza Piola a via Corelli hanno sfilato migliaia di cittadini, difficile contarli, ma sicuramente erano in tanti ad aver risposto all’appello lanciato per dire NO al DL Salvini. Un decreto che invece di garantire alla società un progresso civile e democratico mette in strada migliaia di persone, prive di mezzi per il proprio sostentamento, senza offire altre prospettive.
Un decreto che fa regredire il sistema di accoglienza organizzato in Italia negli ultimi anni, pur con mille difficoltà e risvolti poco felici, ad un sistema di repressione favorendo l'emarginazione e l’illegalità, un decreto che costruisce un futuro incerto, non solo per quanti aspiravano a condizioni di vita migliori, ma per tutti, minando il clima di tolleranza e di benessere sociale che deve stare alla base di ogni convivenza civile e democratica.

Si vuole invece favorire un clima di negazione dei diritti civili (nessuno può essere considerato illegale per il solo fatto di arrivare a chiedere accoglienza), prospettando un triste avvenire alle nuove generazioni, se saranno costrette a vivere in un paese che chiude le frontiere, costruisce muri, divide i cittadini in aventi e non aventi uguali dignità e diritti.

Quello che dovrebbe indignare di più è comunque il fatto che il problema non è affrontato per porre rimedio alle tante innegabili difficoltà da superare e fronteggiare al meglio una situazione certamente complessa dovuta a cause sia attuali come la globalizzazione, e il neoliberismo senza controllo, sia antiche e da sempre esistite come l’egoismo, l'avidità, la sopraffazione del più debole da parte del più forte.
Una situazione sfruttata per cavalcare il consenso popolare approffittando del momento favorevole, del vento che tira a destra ovunque, e nessuna controparte che denunci in modo deciso questa miope difesa di privilegi acquisiti minacciati dall’invasione di popoli stranieri.

Una evidente falsificazione della realtà, il nostro tenore di vita non è certo diminuito a causa dai poveri migranti che chiedono asilo, quanto dalla ormai smisurata concentrazione di ricchezze nelle tasche di pochi e dalla corrispondente crescita di povertà per molti, dai regimi autoritari e dalle guerre innescate dal sistema che di fatto oggi governa il mondo occidentale e asiatico, le uniche ragionevoli cause dal progressivo smantellamento dello stato sociale, del welfare, costruito a partire dagli anni ‘50 sino alla fine degli anni ‘80 del secolo scorso.

Ora con il DL Salvini ritorniamo ad un passato che pensavamo superato e che invece si ripropone, con buona pace di una società irretita dalla propaganda in un contesto politico sempre più becero, squallido e privo della capcità di costruire un futuro alla nuove generazioni.

Il ministro dell’Interno Salvini, novello Miles Gloriosus, manda bacioni e carezza gattini, mentre nella sua vanagloria si compiace di chiudere in gabbia o lasciar andare a vagabondare per il paese una gran parte dei migranti che erano stati accolti.

I cittadini domenica 1 dicembre 2018 hanno manifestato contro un DL che deve essere ritirato se si vuole costruire una società giusta, e far valere una democrazia reale, quella che viene dal basso e poco, o sempre meno, praticata dall’alto.

Abbiamo visto tante sigle di movimenti, associazioni, gruppi di cittadini attivi, tanti giovani.
Abbiamo anche visto tante sigle di partiti, di sinistra, uniti nella difesa dei diritti civili, della solidarietà e coesione sociale; resta il rammarico di constatare la contraddizione tra l’impegno professato sul piano della azione pratica e l’assenza totale di accordo per l’azione politica a supporto delle buone inetnzioni. Evidentemente l’impegno comune per una buona causa non permette di superare il narcisismo intellettuale e l’eccesso di protagonismo che accomuna i piccoli dai grandi partiti, relegando i primi a ruoli sempre più marginali.

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