Riaprire le marcite? Dalla tradizione alla modernità, un possibile recupero ambientale

Tra le cose da vedere domenica 30 settembre 2018 durante la visita guidata a piedi o in bici al Parco Lambro non solo cascine e mulini storici, ma anche una “marcita”, l’unica ancora qui esistente, che verrà presto riattivata. Abbiamo raccolto due testimonianze che ci hanno aiutato ad approfondire il tema. ()
marcita
Non tutti forse sanno cos’è esattamente una marcita e a cosa serva. Lo illustreranno Thomas Giglio della Cascina Biblioteca e Paola Nella Branduini del Politecnico di Milano a quanti parteciperanno alla visita domenica 30 settembre 2018, di cui diamo notizia qui. Il recupero di una “marcita” nel Parco Lambro rientra nei programmi della Cascina Biblioteca insieme ad altri progetti su cui contiamo di dare presto notizia.

E può valer a pena di capire meglio di cosa si tratta e quale interesse possano avere i cittadini ad un'operazione volta al recupero di una tecnica di coltivazione caduta in disuso, che fa parte del passato e ormai abbandonata. La marcita consente di far crescere l’erba in un prato leggermente in pendenza su cui si fa periodicamente defluire acqua di irrigazione da un canale disposto lungo un lato del prato stesso. Questo fa sì che l’erba cresca in quantità e con frequenza ben maggiori rispetto al caso in cui il prato venisse irrigato solo dall’acqua piovana, la produzione di foraggio diventa così più che doppia. Anche la qualità dell’erba risulta migliore poiché l’acqua proveniente dalle rogge e dai fontanili fornisce un apporto organico ben superiore a quello dell’acqua piovana.

Il recupero delle marcite resta comunque la nostalgia di un passato, ormai superato e improponibile, o può rappresentare la riabilitazione di una tecnica efficace e di un sistema di coltivazione di grande valore paesaggistico, ambientale e, perché no, sociale?

E’ stato detto “un popolo che ignora il proprio passato non saprà mai nulla del proprio presente” (Indro Montanelli).
E’ stato anche detto “un popolo senza memoria è un popolo senza futuro” (Luis Sepulveda).
La riscoperta delle tradizioni merita attenzione e di fronte alle devastazioni ambientali sotto gli occhi di tutti e alle conseguenze delle innovazioni senza “memoria”, in tutti i campi, non solo quello agricolo, si impone una rivisitazione del passato. In molti casi è allora forse possibile trovare giusti rimedi, senza dover ricorrere a soluzioni dai costi esorbitanti o aggiungere ai danni già provocati altri guasti.

Ci hanno aiutato a prendere in consoderazione di questi aspetti, la conoscenza del proprio passato e la memoria che ci permette di costruire un futuro di ben-essere, Elisabetta Viganò della Cascina Carlotta di San Giuliano Milanese e Paola Nella Branduini del Laboratorio PaRID del Politecnico di Milano.

Elisabetta Viganò sta cercando da alcuni anni di trovare un’adeguata sistemazione al patrimonio di materiali, attrezzi, ricordi e documenti raccolti con grande impegno, costanza e intelligenza dalla madre Luisa Carminati. Materiali raccolti con cura per illustrare la vita contadina nella campagna lombarda, da fine ‘800 sino alla seconda metà del secolo scorso. Elisabetta ha allestito con i propri mezzi e l’aiuto di amici diverse mostre utilizzando solo una parte di questi materiali e documenti (allo Spazio Cultura di San Giuliano Milanese, alla palazzina Trombini di Melegnano, al Parco del Ticinello), ha collaborato alla Design Week presso il depuratore di Nosedo a Chiaravalle.

Elisabetta cosa l’ha spinta a dedicare tempo, danaro e risorse a questa ricerca?

Dopo la morte di mia madre mi sono ritrovata di fronte a questa scelta: abbandonare le memorie da lei così pazientemente raccolte e approfondite dai suoi studi e dai suoi scritti o prendere il testimone e continuare a tramandare questo sapere? Ho scelto di continuare e , nonostante le fatiche, sono sempre più conquistata dalla sapienza di quel mondo e dall'importanza di ancorarsi a queste radici.

Cosa raccontano gli oggetti raccolti da sua madre?
Gli oggetti usati nel mondo contadino raccontano moltissimo: raccontano di attività fatte a contatto con la terra e gli animali; raccontano di mani e di cervelli, dell'abilità di chi li ha costruiti intagliandoli nel legno o modellando il ferro; raccontano dell'uso quotidiano che li ha smussati; raccontano di aggiustamenti con interventi successivi per ripararli; raccontano di giorni e giorni al freddo e al sole; raccontano di materiali naturali; raccontano di abilità e maestria, di cura e di calli, raccontano di ingegno e design tramandati da secoli. Molto ci è testimoniato anche dai frammenti di campagna e di architettura rurale che scopriamo nei dintorni di Milano e all'interno di Milano. Troppe cascine crollano, troppi canali si chiudono per incuria e non ci ricordiamo che sono il risultato di un lavoro certosino (spesso anche nel senso letterale del termine) fatto da ingenieri idraulici con competenze eccezionali. Quando capiremo che è ora di intervenire perchè questo patrimonio non vada perduto?

Ha ricevuto qualche sostegno dagli enti a cui si è rivolta?
Gli enti e le amministrazioni non brillano nella comprensione di quanto sia necessaria la salvaguardia di questa nostra memoria. A parole si dicono interessati alla cultura identitaria, ma non riescono a prendere poi alcuna decisione, a trovare spazi permanenti per esporre quadri e oggetti e custodire questo patrimonio. Eppure a Milano manca un museo della agricoltura e della cultura rurale anche se la città è debitrice a questo mondo di molta della sua ricchezza. Un’esposizione di questo tipo assume anche un importante valore didattico; ho notato come abbia sempre destato grande interesse nel mondo scolastico e non parlo solo di ragazzi delle primarie. Tra i visitatori ci sono stati anche studenti delle scuole superiori e anche universitari che ignorano completamente questa realtà, la scoprono con interesse e si stupiscano non venga valorizzata. ..

Come considera I’esperienza di questi anni, dedicati a mantenere viva la memoria dell’opera di sua madre, della vita e della cultura dei suoi antenati, positiva e utile o per lo più fonte di delusioni e amarezze?
Anche se le delusioni sono state molte, il fatto di essere costretti a portare "fuori" queste memorie, promuovendo mostre a tema (ad esempio per il trentennale della morte di Luisa, il novantesimo dalla sua nascita, ho allestito una mostra sull'infanzia nelle varie stagioni e una sull'acqua) ci ha portato a scoprire sempre di più la qualità e profondità del lavoro di Luisa Carminati e ci hanno stimolato a continuare realizzando interviste ai protagonisti di allora ancora in vita (ex mondine, contadini, braccianti...). Sono sempre sorpresa di come queste persone, che si mostrano inizialmente diffidenti, siano poi grate di poter raccontare e scoprire che i loro ricordi, il loro sguardo, le loro esperienze interessino a qualcuno. E poi è bellissimo vedere l'interesse dei bambini che ascoltano le visite guidate ...E le fiabe e le filastrocche, perchè Luisa ha anche trascritto quella che viene chiamata "memoria immateriale", quella tramandata oralmente nelle lunghe sere senza TV o social network.

Ci sono al momento concrete possibilità di trovare una sede adatta e cosa succederà se non si trova?
Ci sono delle prime manifestazioni di interesse, ma purtroppo niente ancora di concreto. Continuiamo a seminare... ci sarà il momento del raccolto...voi che ne dite?

Paola Nella Branduini, ricercatrice e professore a contratto presso il Dipartimento ABC del Politecnico di Milano, LAboratorio PaRID (ricerca e documentazione internazionale per il paesaggio), si occupa della tutela, conservazione, valorizzazione e gestione dei paesaggi agrari con una particolare attenzione a quelli periurbani

Paola ti occupi di agricoltura urbana e periurbana, ma la città e l’agricoltura non sono in antitesi, l’una non ha escluso di fatto l’altra?
No, l'una storicamente dipende dall'altra: la città aveva bisogno della campagna per nutrirsi e per alimentare la sua forza motrice, i cavalli; mentre la campagna aveva bisogno di commercializzare i suoi prodotti in città. Parliamo di relazioni reciproche, che si sono affievolite, stemperate nel tempo, ma che non si sono mai del tutto interrotte. Ed ora stanno riemergendo con forza.

Il consumo di suolo, la speculazione, la cementificazione delle aree urbane, specialmente nelle periferie, vengono contenuti imponendo, quando si riesce, la destinazione a verde di una parte delle aree, sarebbe possibile e auspicabile che questo verde venisse destinato anche ad usi agricoli?
Certamente. L'agricoltura mantiene una qualità del paesaggio ad un costo inferiore per la società. Un prato stabile produce foraggio per l'allevamento ma nel contempo mantiene una porzione di suolo permeabile, curata e ordinata. A Milano l'azione di tutela svolta dal Parco Sud ha permesso in trent'anni di mantenere l'agricoltura in aree molto prossime alla città. Il comune di Milano, nell'ultimo PGT conferma l'uso agricolo delle terre ancora utilizzate per l'agricoltura e non le trasforma in aree di verde urbano. Il processo di acquisizione di consapevolezza del ruolo dell'agricoltura e' avviato e sta dando i suoi frutti.

La realizzazione di aree agricole periurbane dove forse è più facile introdurre il recupero di metodi di coltivazione tradizionali, potrebbe servire a sensibilizzare i'opinione pubblica e la cittadinanza su un tema di enorme importanza e attualità, potrebbe trainare lo sviluppo anche su grande scala di un’agricoltura più ecologicamente sostenibile?
Alcuni metodi di coltivazione tradizionali hanno un grande potenziale di biodiversità. Ad esempio le marcite, prati stabili irrigati anche d'inverno, sono il frutto del genio lombardo nel saper sfruttare tutto l'anno la grande abbondanza d'acque superficiali e sotterranee della pianura. Esse consentono a popolazioni di uccelli di abbeverarsi nella stagione fredda e offrono rifugio a specie rare di insetti. La trasmissione di questi valori culturali e ambientali ad una fascia consistente di popolazione e' sicuramente più efficace nei pressi della città dove vi è un grande potenziale di ascolto, spesso accompagnato da un desiderio di sperimentazione.

Perché reintrodurre le marcite, che richiedono molta mano d’opera, e quindi elevati costi di gestione, e acqua pulita, di cui scarseggia la disponibilità?
Proprio per i significati culturali, storici e ambientali ora enunciati. La manualità del badile, come racconta il video realizzato insieme al Parco del Ticino, e' una tecnica di gestione che si può' trasmettere anche oggi e può generare nuovo impiego, anche per soggetti deboli o in difficoltà. L' acqua non scarseggia, ma a volte ha bisogno di essere ripulita e la marcita storicamente (basti pensare a quelle di Chiaravalle) può contribuire a svolgere una azione depurante. Gli studi dell'ing. Maurizio Brown lo confermano. La marcita e' un ottimo esempio di paesaggio agrario storico i cui valori culturali e agronomici non sono obsoleti ma sono attualizzati dalla necessità di un ambiente naturale vario e ricco e da una rafforzamento delle proprie radici identitarie.

Elisabetta Viganò - Mostra alla Cascina Campazzo Parco del Ticinello

http://www.ilcielosumilano.it/2018/07/05/quadri-di-vita-tra-i-campi-di-marcita/


Paola Nella Branduini Mostra Paesaggi di marcita- Parco del Ticino

https://youtu.be/Dt5g-uFPOkc







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