Antonio Greppi e il welfare ambrosiano pubblico e privato

Il 17 maggio si è tenuto, in Sala Alessi, un convegno sulla figura di Antonio Greppi, primo sindaco di Milano dopo la Liberazione
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Greppi e il welfare

Ricoprì la carica di Sindaco dal '45 al '51. Antonio Greppi divenne primo cittadino di una città operaia, stremata, affamata, colpita dai bombardamenti nei suoi edifici più prestigiosi e identitari.

Socialista riformista, letterato e umanista, aveva perso il figlio partigiano nell'agosto del '44. Appena eletto – ricorda Gianni Cervetti, Presidente dell'Istituto ISEC – diede l'avvio a un piano regolatore, alla ricostruzione della Scala e alla creazione del Piccolo Teratro e organizzò quell'assistenza umanitaria che ha sempre denotato – salvo il periodo fascista – l'organizzazione sociale della città.

Il suo umanitarismo, la sua esperienza nell'amministrazione negli anni '20 e il suo antifascismo furono gli elementi che determinarono la sua elezione a Sindaco – dice Jacopo Perazzoli della Fondazione Luigi Einaudi -. Mentre procedeva la ricostruzione della Scala, di Brera, del Castello e della Galleria, aveva avviato anche quella di scuole, case, reti viarie, provveduto a reperire legname per riscaldare le case, creato un paniere di genere alimentari a prezzi calmeriati.

Si trattava di una ricostruzione morale, dove “responsabilità e cuore” erano in antitesi a “credere, obbedire, combattere” e questo voleva dire avere una vision urbana, una giustizia non privata, ma anche reperire risorse. Nel '46 a causa del dissesto finanziario, per evitare il licenziamento dei dipendenti comunali e non aumentare i disoccupati, ricorse a un prestito pubblico e a un'imposta di famiglia.

Il processo di ricostruzione si completò nel '54 : Milano ripartiva come simbolo culturale con la Scala e il Piccolo Teatro di Grassi e Strehler, come capitale sportiva con il Vigorelli, come capitale industriale internazionale.

A Milano – spiega Stefano Agnoletto della Fondazione ISEC - il welfare del dopoguerra si sviluppò sul modello internazionale, quello inglese, riunendo quattro realtà: l'iniziativa privata dell'Umanitaria con le sue scuole e l'attenzione agli orfani e ai poveri, la tradizione cattolica, la municipalità e lo Stato.

Il modello ambrosiano di welfaresi riconduce alla storia italiana di un radicato municipalismo, ma si distingue nella forte presenza del privato. Il modello statale del dopoguerra era debole e i soggetti non profit iniziarono un welfare privato, ma collegato a una tradizione umanitaria municipalista, seguendo una logica non dirigenziale del municipio in contrapposizione al fascismo che non delegava poteri ai Comuni. Nascono le scuole civiche serali : nel '49 corsi serali di liceo classico, scientifico, scuole tecniche e professionali; nel '57 corsi di lingue orientali, la civica scuola di musica e del Castello.

Si scelse di farsi carico delle funzioni dell'ex OMNI (assistenza maternità, infanzia) superando e istituzionalizzando l'assistenza con la creazione di suole materne e le colonie, nel '52 vennero distribuiti 18.000 pasti e si integrò il doposcuola in viale Zara e in Famagosta. Vennero avviati l'assistenza domiciliare per gli anziani, case di riposo, centri per i disabili, l'ECA con la somministrazione di pane e latte, le case per gli sfrattati.

Giuliana Bensi – Presidente ASP Golgi-Redaelli – ricorda che all'inizio degli anni '60 fu dedicato a Redaelli l'Istituto di Vimodrone per l'assistenza agli anziani.

Già nel '56 l'immigrazione – spiega Agnoletto - portò 500.000 immigrati dal meridione, per loro furono creati centri di assistenza in stazione centrale; si provvide con l'inserimento degli assistenti sociali nella struttura comunale e di zona, corsi popolari e partecipazione in strutture pubbliche.

Gli iscritti nelle scuole serali erano 20.000 negli anni '69-'70.

Le risorse erano scarse, ma le emergenze al primo posto erano per la scuola e il Comune fu protagonista diretto in assenza di politiche nazionali.

Milano – dice Mattia Granata della Fondazione Welfare Ambrosiano - è stata capitale del Risorgimento e dell'industria del '800 con effetti anche negativi e contraddizioni sociali, ma verso la fine del secolo riescì a mettere insieme questi aspetti: sviluppo economico e sociale e diventò europea. Durante l'Expo del 1906 nacque il sindacato e poi la Camera del Lavoro, l'iniziativa nella previdenza, nacquero le cooperative e l'Umanitaria che insieme produssero case popolari e scuole popolari: “la scuola della domenica”, i Martinitt e le Stelline.

Greppi e Vigorelli - entrambi partigiani, Vigorelli aveva perso 2 figli in guerra- avevano lavorato con la giunta Caldara (primo Sindaco socialista a Milano dal '14 al '20) e avevano cultura di governo, ma non cattolica, anzi, si contendevano le risorse e gli ambiti d'intervento. Era una cultura di governo, progressista, municipale: diritto al pane e solidarietà. Dopo l'emergenza del post Liberazione furono decise le linee programmatiche; abili negoziatori, tra il '46 e il '57 formarono tutti gli indirizzi dell'assistenza comunale richiamando risorse economiche e ipotizzando un “ministero” della sicurezza sociale. La sproporzione tra risorse e i bisogni richiesti e necessari era enorme e l'ente valutava chi aveva bisogno e verificava. Già nel '49 si erano formati gli enti sociali di zona.

Il Comune di Milano – ricorda Pierfrancesco Majorino – già durante la prima guerra mondiale aveva conosciuto l'emergenza umanitaria e il Sindaco Caldara aveva provveduto all'assistenza di 600.000 immigrati. La questione morale e sociale non sono scindibili e la lotta alla fame e alle malattie diventa efficace quando il pubblico interviene.

Bianca Del Molin – nipote di Greppi, curatrice dell'Archivio Antonio Greppi – ricorda l'istituzione del fondo per la pennicilina, seguito dal direttore del Corriere e il fondo per i bambini perseguito da De Marchi con la creazione dell'ospedale e il palazzo del Museo del Risorgimento, ad Angera (Varese), città natale di Greppi, era stata creata una fondazione per i bambini. Mentre a Milano la scelta di creare un teatro del popolo e per il popolo era caduta sull'edificio di via Rovelli, dove la Muti durante la guerra torturava gli antifascisti, perché proprio uno della Muti aveva ucciso il figlio Mario.



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