Giuditta Sidoli (Milano 1804-Torino 1871)

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Nella toponomastica milanese la presenza di nomi femminili è alquanto limitata ed è facilmente comprensibile il perchè. Giusto, qua e là disperse per le vie e le piazze della città, qualche scienziata o qualche scrittrice, se non qualche eroina risorgimentale categoria a cui appartiene Giuditta Sidoli che però, tanto per non smentire il maschilismo imperante (almeno in campo toponomastico), nasce Giuditta Bellerio avendo sposato all’età di 16 anni tale Giovanni Sidoli, possidente terriero e carbonaro modenese. Questa parentela ribelle segnerà per tutta la vita Giuditta Bellerio Sidoli. Morto in esilio il marito nel 1828, Giuditta, a cui il suocero ha sottratto i quattro figli, partecipa attivamente al Risorgimento italiano dapprima al fianco di Ciro Menotti nei moti di Reggio Emilia del 1831 (narra la leggenda che fu proprio lei a consegnare alla Guardia Civica la bandiera tricolore che poi divenne la bandiera nazionale), poi al fianco di Giuseppe Mazzini di cui divenne amante e collaboratrice. Ai due si deve la fondazione del giornale politico La Giovine Italia, ed è tutto dire. Si dice anche che da Mazzini ebbe un figlio morto in tenerissima età.
In quegli anni la animata presenza di Giuditta è segnalata, in esilio, a Marsiglia e a Ginevra, e, in patria, nei moti rivoluzionari di Livorno, Firenze, Roma e Bologna. Arrestata a Modena nel 1849, l’anno successivo viene trasferita a Milano per ordine di Radetzky e scusate se è poco. Dal 1852 si trasferisce a Torino dove tenne salotto patriottico. Morì nel 1871 rifiutando i sacramenti religiosi e affermando di “credere liberamente nel Dio degli esuli e dei vinti, non in quello imposto dalla Chiesa”. Bella tempra di donna che si colloca nel pantheon risorgimentale (e nella toponomastica milanese) accanto al bombarolo Guglielmo Oberdan e al non violento Amatore Sciesa.

La via Giuditta (Bellerio) Sidoli si colloca tra piazza Novelli e piazzale Susa. Ospita una stucchevole chiesona dedicata alla Santa Croce opera dell’architetto Cecilio Arpesani (1913-1917).


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