Case Mediche, dai programmi ai fatti?
E cosa concretamente cambierebbe per i pazienti e i cittadini?
Riuscirà l'Amministrazione arancione a realizzare questo punto del suo programma?
Ne parliamo con due ben conosciuti promotori dei Comitati per Milano, Gigi Campolo e Federico Robbiati
(Adalberto Belfiore)27/05/2013
Quale sarebbe la vostra reazione se scopriste che ha deciso di associarsi con altri suoi colleghi, di cui condivide l’impostazione, e ora riceve in uno studio aperto 12 ore al giorno? E se voi e i vostri cari poteste in caso di bisogno ricorrere a lui o in sua assenza agli altri medici associati sapendo che tutti hanno studiato il caso e possono in ogni momento consultare la vostra cartella sanitaria? E se in questo nuovo studio ci trovaste sempre anche un infermiere per fare le iniezioni, o prendere la pressione o controllare la terapia già stabilita per il diabete o l’ipertensione? E se la segretaria, invece di essere una dolce signora magari molto anziana fosse una professionista che, oltre a gestire gli appuntamenti, vi telefonasse per ricordarvi che è giunto il momento di fare certi esami e vi chiedesse se la terapia è stata applicata e che effetti produce? Se lo studio vi seguisse o seguisse i vostri cari in questo modo anche dopo, mettiamo, una degenza in ospedale, non vi sembrerebbe che qualcosa sarebbe cambiata in meglio, finalmente?
Bene, sappiate che tutto ciò potrebbe essere realizzato anche a Milano (in piccolissima parte già lo è) e, chissà, un domani anche in tutta la Regione. Si tratta precisamente della proposta delle Case Mediche, uno dei punti del programma di Giuliano Pisapia, promossa dall’Assessorato alle Politiche Sociali e Servizi per la Salute del Comune, quello di Majorino per intenderci, e appoggiata dall’attivismo di uno dei Tavoli cittadini dei Comitati per Milano. Ma non è una novità assoluta, dato che è proprio questo il modello di medicina di base adottato in Toscana e in Emilia e che trova sempre più sostenitori. Ne parliamo con due dei promotori del Tavolo dedicato all’argomento: Gigi Campolo, ex primario cardiologo a Niguarda e Federico Robbiati, progect manager in campo farmaceutico.
Da dove nasce l’idea delle Case Mediche, Gigi?
Il dato di partenza è obbiettivo: la durata media della vita è aumentata, ma sono aumentate di conseguenza anche le patologie croniche. Anche l’inquinamento fa la sua parte in questo. Pensiamo ad esempio a ciò che succede nell’area di Brescia. I suoi livelli di inquinamento sono forse peggiori di quelli di Taranto, finita sotto i riflettori per la crisi dell’Ilva. Più inquinamento più malattie croniche, non solo degli anziani ma anche dei bambini. Ciò ha portato ad un aumento della spesa sanitaria, rendendo più urgente una riorganizzazione. In Lombardia il modello è quello della medicina “ricca” centrata sugli ospedali e sulle cliniche private, mentre la medicina di base è ferma da 50 anni.
In controtendenza rispetto all'ospedalizzazione della salute dunque, Federico?
L’ospedalizzazione della salute è un fenomeno mondiale. Negli Stati Uniti lo schema è strutture private e assicurazioni e la riforma promossa da Obama si limita a cercare di creare le condizioni per una maggiore copertura e integrazione. Da noi prevale il pubblico con gli ospedali che nella pratica hanno inglobato anche la specialistica ambulatoriale. Gli ambulatori territoriali infatti dipendono dagli ICP ossia dagli ospedali appunto. Le prestazioni ospedaliere da noi sono di buon livello, ma essendo care, si sono stabiliti costi forfettari in base ad una lista delle prestazioni. Dunque la tendenza oggi è quella di occupare i posti letto per il minor tempo possibile. In pratica ti curano, ma ti mandano a casa presto e poi nessuno ti assiste nella fase post ricovero. Non è un buon un motivo per ripensare alla cosiddetta medicina territoriale, quella di base?
Che però, dicevi Gigi, è ferma a 50 anni fa…
Esatto. Invece è necessario ripensarla a fondo e da questa riflessione nasce la proposta delle Case Mediche. Oggi il medico di base svolge il suo lavoro in modo isolato per due o tre ore al giorno. Le urgenze sono coperte dalla Guardia medica, ossia da medici che vengono sì a casa ma non sapendo nulla del richiedente fanno quello che possono. E per tutti i problemi seri o supposti tali la gente ricorre al Pronto soccorso, in molti casi intasandolo in modo innecessario e contribuendo ad abbassare il livello del servizio. Invece, se i medici di base si associassero, e ciò è già previsto dall’Accordo collettivo nazionale, potrebbero migliorare radicalmente la qualità della medicina di base potenziando la medicina preventiva e anche introducendo la cosiddetta medicina di iniziativa, quella cioè che non aspetta che sia il paziente a farsi vivo ma se necessario prende l’iniziativa appunto di contattarlo a casa.
Ma Gigi, una cosa simile non è stata proposta dal ministro Balduzzi ai tempi ormai remoti del Governo tecnico? Non mi sembra abbia incontrato grande favore tra i medici.
No, quello era e rimane un modello ben diverso, burocratico e caduto dall’alto. E per giunta senza neppure i finanziamenti necessari. La nostra invece è una proposta su base volontaria. In sostanza i medici si associano se vogliono, scegliendo tra i colleghi cinque o sei o più tra quelli che condividono un’impostazione, un modo di vedere il lavoro medico, mettono assieme le competenze (non dimentichiamo che quasi tutti i medici di base hanno anche una specializzazione, seppur non potendola esercitare come tale) e accettano di lavorare in gruppo per migliorare il servizio. In pratica si riuniscono periodicamente, studiano i casi, ossia mettono in comune le esperienze, ampliano l’orario di copertura del servizio, si avvalgono assieme del supporto infermieristico e la segreteria li sgrava dalle incombenze burocratiche affiancandoli anche nel seguire, attraverso contatti periodici realizzati telefonicamente, i problemi dei pazienti e la loro evoluzione. Inoltre entrano in una relazione più organica anche con i servizi socioassistenziali e istaurano una relazione diversa con gli stessi pazienti anche attraverso momenti di confronto collettivo. Consideriamo che già il 15% dei medici a Milano si sono uniti in qualche forma. È vero, nella maggior parte dei casi solo per condividere le spese per il mantenimento dello studio. Ma nostra esperienza ci dice che chi fa la scelta di lavorare in gruppo non si sogna nemmeno di ritornare indietro, anche se in una prima fase il cambiamento, come per tutti gli ambiti, può risultare difficile.
Tutte belle cose, Federico, ma se il ministro Balduzzi per la sua riforma non ci metteva una lira, chi fornirà le risorse per aprire le Case Mediche? A occhio e croce, tra studi dei medici, locali per l’infermieristica e la segreteria, le sale d’aspetto ecc, ci vorrebbero delle strutture di…
Di circa 250, 300 metri quadri, certo. Ma questo precisamente deve essere l’apporto del Comune. In pratica spetterà al Comune reperire gli spazi. I medici li avranno in comodato e dovranno solo ristrutturarli. La possibilità di favorire l’associazione di medici è già prevista nell’accordo nazionale. A questo proposito bisognerà superare le perplessità delle Asl, relative ai possibili maggiori costi determinati dall’aumento della quota/paziente che spetta ai medici che si associano. Ma ciò è fattibile perché secondo i dati della stessa Regione Lombardia il risparmio che porterebbe questo sistema sarebbe del 6% sui ricoveri e del 7% sulle prestazioni ambulatoriali. Alcuni sostengono che si potrebbe avere una riduzione dei ricoveri fino al 50%.
Immagino Gigi che il Comune, ossia l’Assessorato di Majorino, avrà già preso accordi con il Demanio per mettere a disposizione questi spazi ai medici che sono interessati a…
Immagini male, perché uno dei problemi è proprio questo. Diciamo le cose come stanno: dal Demanio non si riesce nemmeno ad avere un’anagrafe dei beni disponibili. La buona volontà c’è, Majorino ha siglato un protocollo di intesa con la Asl, ma la partenza dell’assessore Castellano ha obbiettivamente ritardato le cose. Abbiamo anche situazioni paradossali. In due Zone ci sono gruppi di medici disponibili ma nessuna struttura da proporre, mentre per esempio a Dergano ci sono i medici e anche gli spazi adatti ma questi hanno una destinazione d’uso diversa e malgrado che nessuno li richieda (erano locali destinati ad un supermercato che si è ritirato) nessuno prende i provvedimenti necessari per renderli disponibili.
Non è una dimostrazione di tremenda efficienza amministrativa, non ti pare Federico?
I problemi sono complessi e pensiamo che su questo punto i Comitati debbano farsi parte attiva, dare un contributo per l’identificazione degli spazi, come fa l’associazione Tempo Riuso, ma anche sensibilizzare i cittadini e far sentire all’Amministrazione che questa è un’esigenza reale e sentita. Pensiamo che su questo tipo di problematiche si gioca il rapporto di fiducia coi cittadini. Però noi rimaniamo ottimisti e siamo convinti che, data la maggiore efficacia ed efficienza per la medicina di base del lavoro di gruppo che si realizzerebbe nelle Case Mediche, avremo molte adesioni da parte dei medici di famiglia, specialmente tra quelli più giovani. Certo, senza l’individuazione e la messa a disposizione di spazi pubblici opportuni non si farà molta strada.
Mi rivolgo a entrambi: a due anni quasi dalla riconquista del Comune non temete che si si tratti di una bella idea destinata a rimanere tale?
Niente affatto. Abbiamo già ricordato che in altre Regioni ormai quello delle Case Mediche e della medicina di gruppo e medicina attiva è il modello vigente. Anche in Lombardia esistono già molte esperienze, ad esempio quelle di Arcisate o di Laveno. E anche in Zona 3, in piazza Giolitti, è già attivo lo studio del dr. Bardi e dei suoi associati. In conclusione riteniamo che l’obbiettivo indicato da Majorino di far partire due Case mediche, una in Zona 4 e un’altra in Zona 5 entro il 2013, sia realistico e permetterà di giungere all’apertura di almeno una Casa Medica per ogni Zona di Milano in tempi relativamente brevi. E quando cominceranno ad essere molti i cittadini, o i pazienti se si preferisce, che avranno sperimentato la qualità di questo nuovo modo di intendere l’assistenza sanitaria di base, inizierà ad esserci la massa critica necessaria per cambiare radicalmente tutto il sistema, come è ormai necessario.
Bene. Possiamo ragionevolmente sperare che l'ottimismo di Gigi e Federico, li ringraziamo di cuore assieme a tutte le altre persone che stanno collaborando al progetto, sia ottimismo ben fondato. Sul tema Case Mediche i Comitati, attraverso il Tavolo interzonale si sono impegnati a fondo, i cittadini attivi hanno contribuito, attraverso associazioni e iniziative varie, a sensibilizzare l'opinione pubblica e gli stessi medici di base. E anche a individuare gli spazi idonei. Nel suo piccolo anche il nostro giornale tenta di tenere viva l'attenzione su un tema potenzialmente in grado di modificare in profondità l'assistenza sanitaria pubblica di base, quella più vicina alla vita delle famiglie, e dunque migliorare la qualità della vita di tutti noi. Adesso è legittimo attendersi che sia l'Amministrazione comunale a dimostrare con chiarezza di essere capace di passare dai programmi alle realizzazioni concrete, ai fatti.
Adalberto Belfiore