Scuola: un tema caldo, intervistiamo Antonella Meiani
Antonella,
hai sicuramente seguito le vicende del dibattito che si è sviluppato
su z3xmi sulle vicende della IMI. Cosa ne pensi?
L’intera
vicenda IMI-FAES è stata dolorosa e traumatica per gli studenti, per
le loro famiglie, per il territorio e, naturalmente, per i colleghi
ai quali va la mia solidarietà professionale e umana.
È
purtroppo, un esempio lampante di come il sistema del “buono
scuola” voluto dalle giunte Formigoni abbia effetti devastanti sul
sistema scolastico.
Serve
voltare pagina. Scuola pubblica e privata non sono in competizione,
svolgono funzioni diverse. La prima è il terreno dell’integrazione,
della costruzione di socialità positiva sul territorio, soprattutto
in una metropoli complessa come Milano. La seconda vende una
prestazione formativa.
Come
cambiare? Applicando la Costituzione. I finanziamenti regionali
devono tornare a essere l’investimento sulla scuola pubblica, anzi
andrebbero aumentati per adeguare le strutture, specie quelle
informatiche e quelle per bambini con disabilità. Allo stesso tempo
alla privata si garantisca un sistema efficiente di infrastrutture e
una burocrazia snella, senza però oneri per i contribuenti.
Il
caso del Vespucci: come vedi i rapporti, spesso conflittuali, tra i
diversi organismi amministrativi sulla gestione dell'edilizia
scolastica?
Serve
un progetto di lungo respiro per la scuola, e allo stesso tempo di
immediato intervento. Dopo tanti interventi “spot”, spesso poco
più che dei camei elettorali, l’amministrazione regionale deve
avere il coraggio di costruire “un sistema” di istruzione
saldamente collegata al territorio e alle sue necessità. Il che
significa investire sulle strutture, sulle attività complementari,
ma anche nell’offerta formativa, nei trasporti.
La
scuola è stata lasciata sola per vent’anni, costretta a fare i
conti con investimenti sottodimensionati, occasionali e quasi mai
mirati. Dobbiamo recuperare il terreno perduto.
Non basta affermare un diritto, per quanto importante, perché sia realizzato. Serve intervenire sulle condizioni materiali, permettere a tutti di accedere all’istruzione.
Chi pensa che a scuola si venga solo a imparare a leggere e scrivere, dovrebbe farsi un giro tra i banchi: a scuola si abbattono i pregiudizi e gli steccati, si costruiscono l’Italia e la Lombardia dove nuovi cittadini e tradizioni possono convivere.
E serve evitare le classi ghetto, la pluralità deve trasformarsi in ricchezza, non in esclusione.
In Svezia e in Francia, due Paesi che hanno conosciuto una forte immigrazione, si sono create realtà scolastiche che sono un modello per tutta l’Europa, investendo ad esempio sulle lingue, sulla partecipazione delle famiglie e del territorio al percorso formativo.
La nuova Lombardia dovrà guardare a quei modelli. E diventare un modello di integrazione a sua volta.