Mafia a Milano!

L’arresto di Domenico Zambetti, assessore regionale all’edilizia, è solo la punta di un iceberg. L’acquisto di un pacchetto di 4mila voti controllati dalla N’Drangheta è solo uno degli episodi di collusione con la criminalità organizzata. E così per altri 14, tra funzionari pubblici e imprenditori, oggi ospitati nel carcere di Opera a seguito della grande indagine della Procura di Milano, coordinata da Ilda Bocassini.
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Siamo ormai alla quarta puntata di questa autentica guerra per la legalità, contro un fenomeno mafioso che stringe d’assedio l’intera città di Milano. Tre anni fa Letizia Moratti dichiarò, dal suo scranno di sindaco, che la mafia a Milano praticamente non esisteva. Oggi, dopo centinaia di arresti e processi in corso, si pubblicano libri ponderosi, come questodi Gianni Barbacetto e Davide Milosa (lettura consigliata).
Come stupirsi quindi che la N’Drangheta operi anche nel tempio del sapere e della scienza di Città Studi?
Il pericolo è concreto e vicino, anche per noi. E richiede vigilanza attiva da parte di tutti i cittadini.
Da il suo contributo Silvia Morosi, giovane e attiva consigliera di Zona 3.

“C’era una volta la mafia…”. Bambini, svegliatevi. Purtroppo la mafia, al Sud come al Nord, non è una favola. Fino a qualche anno fa nell’immaginario collettivo la criminalità organizzata, nelle sue varie denominazioni regionali, era un fenomeno strettamente legato alle famiglie del Sud e alle figure dei capi clan armati di lupara e coppola, che di favolistico avevano comunque ben poco. Dalla stagione dei sequestri di persona a quella del traffico di sostanze stupefacenti e della prostituzione, e più recentemente anche al comparto agricolo (ndr. la camorra, in particolare i Casalesi, proprietari di molti caseifici, producono mozzarella con prodotti di scarto o addirittura nocivi, per esempio sbiancandola con la calce) e a quello della creazione di discariche abusive, la realtà ci presenta ora una situazione dai contorni più variegati. E il problema non si riduce a quello della trattativa fra lo Stato e la mafia probabilmente avvenuta in anni passati e di cui tanto parlano i giornali in questi giorni.

La mafia al Nord non solo esiste, a dispetto dello scetticismo di qualche politico, ma si è radicata nel tessuto sociale a tal punto nelle città come nelle province da essersi fusa con parti di amministrazioni pubbliche, di società finanziarie, continuando ad agire in numerose attività illecite, e inquinando soprattutto i cosiddetti mercati legali, come quelli delle gare d’appalto.

Per anni si è negato, minimizzato, manifestato sorpresa di fronte ad alcune indagini e ad alcuni arresti, sottovalutando quella che a tutti gli effetti è una storia lunga più di sessant’anni. La storia della Mafia al Nord, e della mafia a Milano, dal centro alla periferia.

La storia di un’infiltrazione trasformatasi in colonizzazione, come dimostra tra gli altri la XIII edizione del rapporto dell’associazione Sos Impresa – dal titolo “Le mani della criminalità sulle imprese” – secondo cui la mafia si conferma essere il più grande agente economico del Paese, la prima industria italiana per fatturato.

Ultimo esempio di questa triste storia, l’incendio che nella notte tra il 17 e il 18 luglio scorso ha bruciato il furgone di Loreno Tetti. Il proprietario del mezzo era solito vendere panini davanti all’Università a Città Studi, in via Celoria, e proprio questa sua attività lo portò a denunciare in tribunale, come unico testimone, il cosiddetto “racket dei paninari”, descrivendo nei dettagli il funzionamento del sistema. Sì, perché non solo i gestori di ristoranti e bar, ma anche i possessori di un camioncino o di un chiosco sono soggetti, per poter continuare la propria attività tranquilli e senza concorrenti, a pagare il pizzo. Si ipotizza che il rogo sia collegato alla sua denuncia contro i Flachi, i padroni assoluti di Bruzzano e della Comasina dagli anni ’80, famiglia nota alle cronache per questo giro di affari come per quello dei “buttafuori” delle discoteche (basti pensare ai “super alla moda” De Sade di via Valtellina e al Babylon, ma anche al Just Cavalli e all’Hollywood), dei cantieri e dei centri sportivi (come quello di via Iseo, dato alle fiamme da ignoti l’ottobre scorso), ai ristoranti che hanno sede in pieno centro, sotto la Madonnina, come il Ciardi. Che siano i paesini del sud o la grande area metropolitana di Milano, i metodi mafiosi non cambiano.
Difficile estirpare un cancro che si è sottostimato per anni. Facile per molti mettere la testa sotto la sabbia. Doveroso per me parlare, raccontare, gridare che la mafia esiste a Milano e non lasciar passare sotto silenzio questi episodi. La mafia utilizza e si ciba del silenzio. Le parole, per questo, sono in grado di colpirla al cuore più di qualsiasi altra arma. A 20 anni dall’uccisione di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e don Pino Puglisi, a 30 da quello di Carlo Alberto Dalla Chiesa, e nel ricordo di tutte le altre vittime delle mafie di ieri e di oggi, riflettere sulla presenza della criminalità organizzata nella società italiana è ancora oggi di primaria importanza. Riflettere per documentarsi e sapere, per educare alla legalità giovani e meno giovani, per adottare buone pratiche, a partire da quella seppur banale di rifiutare raccomandazioni e compromessi che rendono più facile la vita. Il cambiamento non può che iniziare da qui. Sta a noi cercare di bonificare, col nostro impegno quotidiano, la Milano che c’è oggi per renderla sempre più uguale alla Milano che desideriamo.

Silvia Morosi


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