Se passate da via… Pascoli

In corrispondenza del numero 64, oggi possiamo solo immaginare cosa potesse accadere nel 1937. ()
Saul Steinberg immagine
Facciamo subito entrare in scena il nostro protagonista: Saul Steinberg (1914-1999), un guru mondiale dell’illustrazione e del disegno.
Rumeno di nascita, di famiglia ebraica, nel 1933 approda a Milano per studiare architettura presso il Politecnico. Da quell’anno sino al 1942, quando riuscì a fuggire negli Stai Uniti, a lungo perseguitato dalle leggi razziali di marca fascista, abiterà nella nostra città in vari alloggi, quasi tutti ubicati nel territorio dell’attuale Municipio 3. Da via Ampère 46 a via Giovanni Battista Martini 18, da via della Sila 34 a via Catalani 39, sino ad alloggiare presso la Casa dello Studente di viale Romagna e, soprattutto, nel 1937, al numero 64 di via Pascoli, in una camera d’affitto ubicata sopra il Bar del Grillo.
Indirizzi vari da lui stesso appuntati su un foglietto che oggi è conservato presso la Yale University.
Tutti alloggi nei pressi del Politecnico dove nel febbraio del 1940 si laureerà in Architettura, “bollato” sul diploma con uno sprezzante “di razza ebraica”.

Il palazzo che ospitava in quegli anni il Bar del Grillo venne abbattuto negli anni ’70 del secolo scorso per far posto a un’altra costruzione, ma la storia ci racconta che gli interni di quel luogo, gestito dalle quattro sorelle Cavazza, erano stati progettati da Enrico Peressutti ed Ernesto Nathan Rogers, giovanissimi architetti divenuti poi famosi per avere fatto parte del gruppo BBPR, lo studio di architettura che ha realizzato, tra cento altri progetti, anche la Torre Velasca.
Il bar, ricordato per un’ottima cucina e per la balera estiva allestita nel cortile, era molto frequentato dagli studenti del vicino Politecnico alcuni dei quali vi alloggiavano.

Dalla finestra della stanza di Steinberg si poteva vedere l’inconfondibile costruzione dell’Istituto di Chimica Industriale G. Ronzoni che Carlo Emilio Gadda aveva ribattezzato “Kremlino”.
Per mantenersi agli studi, Steinberg disegnava e con una cartella di disegni sotto il braccio si era presentato presso la redazione del “Bertoldo”, un giornale umoristico che andava per la maggiore con redazione in piazza Carlo Erba 6, mitica sede della casa editrice Rizzoli.

Era l’autunno del 1936 quando “un giovane con i baffi biondi e gli occhiali” venne accolto dal capo redattore Giovannino Guareschi, che diverrà in seguito famosissimo per via delle sue storie ambientate in Emilia con protagonisti il sindaco comunista Peppone e il parroco antagonista don Camillo.
Steinberg venne affidato alle cure di Carletto “Fildiferro” Manzoni, altro umorista leggendario, che con lo studente di architettura formò in quegli anni un’accoppiata creativa vincente. Manzoni scriveva le battute e Steinberg forniva le illustrazioni.

L’effetto delle leggi razziali però non tardò a lasciare il segno. Steinberg finì dapprima a San Vittore nel 1941 e poi trasferito nel campo di internamento di Tortoreto in Abruzzo da dove, con l’aiuto dei molti amici del mondo dell’editoria, riuscì a raggiungere gli Stati Uniti nel 1942 dove iniziò subito a lavorare per The New Yorker, una prestigiosissima collaborazione durata sino alla morte.

Famoso in tutto il mondo, Steinberg ritornò più volte in Italia e a Milano, del resto parlava la nostra lingua e si vantava, a ragione, di conoscere persino il dialetto milanese al punto di affermare “per me il dialetto milanese era il dialetto dell’amore, con le sartine di Brera”.

Se passate da via Pascoli 64 toglietevi il cappello…

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