Un’altra vita interrotta sotto le nostre finestre

Veronica, una ragazza di 38 anni, ha perso la vita mentre pedalava, schiacciata da un camion in piazzale Loreto. Lascia una bimba di due anni. Una nostra riflessione su un tema che scalda gli egoismi invece che il cuore (e la ragione). ()
#bastamortinstrada
La notizia, forse l’avete già letta, è di quelle che non vorremmo riportare mai. Ma forse perché il fatto è accaduto nel nostro municipio, oppure perché al suo posto potevamo esserci noi, ci sembra opportuno riportarla. Per informarsi, per riflettere ma soprattutto per agire.

Mercoledì 1° febbraio, poco dopo le 14:30, una donna di 38 anni è stata investita da un camion mentre era in bicicletta in viale Brianza, all’angolo con piazzale Loreto. Dalle prime ricostruzioni, entrambi i veicoli coinvolti provenivano da nord, cioè da viale Monza, diretti in piazzale Loreto. È qui che, all’incrocio con viale Brianza sulla destra, il camion ha svoltato per immettersi lungo il viale che porta verso la stazione Centrale mentre la vittima in bicicletta probabilmente, secondo i vigili, stava proseguendo dritta in direzione di via Andrea Doria. L’impatto è stato violento. Il conducente del camion, un italiano di 24 anni, al lavoro per una ditta che si occupa di trasporti e depositi, si è fermato subito per cercare di soccorrere Veronica, residente a Milano, e a dare l’allarme. Ma non c’è stato nulla da fare. Apprendiamo che la signora lascia una figlia di due anni.

La riflessione che si vuole porre non è incentrata su questo singolo episodio. Troppe sono le variabili da tenere in considerazione, tra la visibilità, gli angoli ciechi, il traffico, la distrazione. Inoltre, il giovane camionista si è subito fermato a prestare soccorso. Un gesto doveroso ma non scontato (quanti investitori scappano appena si accorgono dell’evento?) e ad ogni modo sulle dinamiche dell’incidente il giudizio è affidato agli inquirenti. A noi resta da constatare che un’altra nostra giovane concittadina ci ha lasciato in quest’infelice modo. Un pensiero anche per il giovane ragazzo alla guida, che immaginiamo essere profondamente scosso.

Quello che fa rabbia in questa tragica vicenda, è che come riporta Repubblica: “Erano tre mesi fa quando un ragazzo di 14 anni, Luca Marengoni, mentre andava a scuola in bicicletta, è stato investito e ucciso da un tram della linea 16 in via Tito Livio […]. L’ultimo caso di uno scontro mortale tra un mezzo pesante e un ciclista è sempre dello scorso novembre quando in via Solferino una donna di 66 anni, Silvia Salvarani, è stata investita mentre pedalava. Dopo due settimane di agonia, è deceduta. L’autista non se ne era nemmeno accorto […]. A luglio in corso Venezia un camion aveva travolto una 31enne all’incrocio con via Senato mentre girava a destra, forse in “punto cieco”. Insomma, contiamo morti sulle strade ogni mese. La maggioranza assoluta sono giovani e/o donne. Nostri concittadini, nostri amici, nostri figli o nipoti che ci lasciano, mentre pedalano per andare al lavoro o a divertirsi.

E così che considerazioni che spesso sentiamo in giro come “ah le lobby delle biciclette ci vogliono togliere il diritto di muoverci in macchina!”, “ah ma io non posso perdere tempo a cercare parcheggio, la metto qui. Se il ciclista non ci passa, che vada sul marciapiede!” suonano come fuori luogo se non addirittura infondate. La rabbia, la cattiveria cieca che si scaglia contro chi usa la bici è surreale se si pensa che le (poche) azioni che si intraprendono in loro favore sono semplicemente per salvargli la vita. In un incidente stradale tra un’auto/camion/moto e una bici, a rimetterci è sempre la bici. E poco importa della carrozzeria del suv, importa che nessuno ci lasci le penne.

A Milano, come nel resto d’Italia, i cartelli per il limite di velocità sono considerati alla stregua di decorazioni posti ai lati delle strade. Un fastidio che impone lo Stato, un suggerimento che non siamo tenuti a seguire “perché su questa strada oggettivamente non puoi andare a 50km/h dai!”. Il limite gli automobilisti se lo vogliono decidere da sé, un po’ come la quantità di formaggio grana da grattuggiare sulla pasta. Però si tratta di un’infrazione del Codice della Strada, una prescrizione trasgredita. Perché si chiede solo ai ciclisti di rispettare le regole e non anche agli automobilisti? Chi, dei due, è al sicuro in caso di collisione? La sappiamo tutti la risposta.

Da Palazzo Marino tutto tace. Da maggio 2020, quando sembrava che la città dovesse rinascere dopo il Covid e la mobilità cambiare, poco si è mosso. Costruire ciclabili in struttura o quanto meno sicure è un vantaggio sia per i ciclisti che per gli automobilisti. Dal Governo, il Ministro dei Trasporti Matteo Salvini non interviene. Forse non reputa la questione una priorità, visto che l’Esecutivo di cui è Vicepremier ha cancellato lo stanziamento di 94 milioni di euro in due anni per il “Fondo per le reti ciclabili urbane”: soldi che avrebbero fatto la differenza vista la storica scarsità di risorse dei bistrattati enti locali.

E suona ancora più macabra ed egoista l’infelice uscita del Presidente della Regione Attilio Fontana che, commentando la delibera approvata dal Consiglio Comunale di Milano sulle zone 30 a margine di un suo evento elettorale, affermava: “Le auto devono poter andare forte altrimenti si ferma il lavoro”. Chissà cosa avrebbero da dire a riguardo queste giovani vittime…


GUIDA ALLE IMMAGINI: In copertina, la manifestazione #bastamortinstrada in ricordo di Veronica, tenutasi sabato 4 febbraio in piazzale Loreto. Nelle immagini 1 e 2 l'incidente e la dinamica. Nell'ultima immagine alcuni partecipanti alla manifestazione #bastamortinstrada di sabato 4 febbraio.


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