Io e Agedo
Questa nuova rubrica raccoglie le testimonianze di persone che per i motivi più disparati a un certo punto della loro vita si sono impegnate nel sociale, trovando così, attraverso la condivisione, un nuovo colore e un nuovo senso al loro rapporto con se stessi e con gli altri. Ecco la testimonianza di Fanny Marrone, una genitrice di Agedo, associazione genitori per il riconoscimento della libertà di orientamento sessuale.
(Fanny Marrone)08/12/2021
La ragione per cui mi sono accostata ad Agedo non è stata l’esigenza di trovare qualcuno che mi aiutasse a superare il disagio e lo spiazzamento conseguenti al coming out di mio figlio: quella fase me l’ero ormai lasciata alle spalle anche se non era stato facile superare l’impatto emotivo di quella notizia perché l’omosessualità è come un ospite inatteso che, quando bussa alla tua porta, ti destabilizza, costringendoti a fare i conti con un’omofobia che, nel mio caso, pensavo non mi appartenesse. Ma, nei giorni successivi, vedere mio figlio sereno, con tanta voglia di raccontarsi mi aiutò a superare in fretta ogni cosa: sì mio figlio era gay, ma cosa importava? Non era cambiato nulla: io l’amavo come e più di prima e gli ero grata per aver voluto condividere con me una parte di lui che ignoravo o che, forse, avevo voluto ignorare. Finalmente potevo avere con lui un rapporto vero.
Ma allora perché sono entrata a far parte di Agedo?
Partecipando ad un evento organizzato da Agedo ebbi l’occasione di parlare con un gruppo di ragazzi e ragazze. Le loro parole mi fecero ripensare in particolare ad una tra le tante conversazioni avute con mio figlio: quel giorno gli avevo chiesto quando fosse stato consapevole della sua omosessualità e lui mi aveva risposto "Mamma lo sai da sempre. Il problema è accettarsi".
La difficoltà, la sofferenza, la solitudine con cui mio figlio aveva dovuto convivere per anni prima di accettarsi e poi sentirsi pronto a fare coming out, non riguardavano soltanto lui, ma anche tanti ragazzi e ragazze che faticano a considerare normale la loro diversità, a capire che sbagliati non sono loro, ma gli occhi di chi li guarda.
Realizzai che non potevo limitarmi a vivere nel mio mondo, appagata dal rapporto che avevo con mio figlio. Dovevo mettermi in gioco, affrontare il mio coming out, cercare di fare qualcosa. Così decisi di entrare a far parte di Agedo con la speranza di contribuire, con il mio impegno (una goccia nel mare? Forse, ma almeno ci avrò provato) a far sì che nella nostra società col tempo non ci siano più persone che, come ancora oggi troppo spesso accade, quando va bene, dichiarano di accettare i nostri figli e le nostre figlie a condizione però che rinuncino alla propria visibilità, quando va male li considerano dei diversi da curare o redimere o deridere o punire.
Tra le esperienze fatte, quella di essere io stessa un libro nella biblioteca dei libri parlanti, è l’esperienza per me più toccante. Quando sei un libro parlante devi darti un titolo ed io scelsi il mio:
MIO FIGLIO NON UN MONDO A PARTE, MA PARTE DEL MONDO.
Quello che non potevo immaginare, la prima volta, è che sarei stata letta da così tanti ragazzi e ragazze. Pensavo che a leggermi sarebbero stati soprattutto genitori e invece mi ritrovai a raccontarmi a tanti giovani che volevano sapere come io avessi vissuto il coming out di mio figlio. Loro mi ascoltavano e ascoltandomi a poco a poco si lasciavano andare parlandomi di se stessi.
C’era chi mi diceva che non voleva fare coming out con i propri genitori perché riteneva che non avessero gli strumenti per capire o perché immaginava che non l’avrebbero mai accettato; qualcuno/a aggiungeva che tanto non gli/le importava perché non aveva bisogno di loro per vivere la sua vita. C’era chi mi raccontava di avere fatto coming out e di essere stato/a rifiutato/a come se non fosse lo stesso figlio o la stessa figlia di sempre. Ma c’era anche chi si era sentito/a rispondere dai genitori che in futuro non volevano sapere nulla di quell’aspetto della loro vita. C’era chi, raccontando di sé, ostentava sicurezza e chi aveva gli occhi lucidi. Ricordo in particolare una ragazza che, abbracciandomi, mi chiese "Suo figlio sa quanto è stato fortunato ad avere dei genitori che, anche se spiazzati dal suo coming out, sono riusciti ad abbracciarlo e a dirgli che non era cambiato nulla, che lo amavano esattamente come prima?"
L’esperienza di essere un libro parlante, mi ha fatto capire qualcosa a cui, senza quei ragazzi e ragazze, non avrei mai pensato: loro mi avevano voluto leggere perché rappresentavo la speranza che , come io avevo, dopo un mio percorso, riaccolto mio figlio con lo stesso amore di prima, allora un giorno anche i loro genitori avrebbero potuto abbracciarli, accettarli e riaccoglierli, capaci finalmente di considerare la loro diversità nient’altro che uno degli infiniti modi per cui nessuno è uguale agli altri.
E quindi se è giusto che nessun genitore venga colpevolizzato perché ha bisogno del suo tempo per elaborare il coming out del figlio o della figlia, in quanto ognuno di noi genitori ha fatto o deve fare un suo percorso che per alcuni può essere semplice, per altri, invece, può apparire difficile, pieno di ostacoli e per altri ancora non avere mai fine, ricordiamoci che intanto i nostri figli e le nostre figlie aspettano e sperano di non essere rifiutati, ma accettati e riaccolti da noi, finalmente in grado di riconoscere e rispettare il valore della loro identità.
Grazie a mio figlio che mi ha dato l’opportunità di conoscere un mondo che ignoravo e grazie ad Agedo per avermi accolto.
Fanny Marrone
Ma allora perché sono entrata a far parte di Agedo?
Partecipando ad un evento organizzato da Agedo ebbi l’occasione di parlare con un gruppo di ragazzi e ragazze. Le loro parole mi fecero ripensare in particolare ad una tra le tante conversazioni avute con mio figlio: quel giorno gli avevo chiesto quando fosse stato consapevole della sua omosessualità e lui mi aveva risposto "Mamma lo sai da sempre. Il problema è accettarsi".
La difficoltà, la sofferenza, la solitudine con cui mio figlio aveva dovuto convivere per anni prima di accettarsi e poi sentirsi pronto a fare coming out, non riguardavano soltanto lui, ma anche tanti ragazzi e ragazze che faticano a considerare normale la loro diversità, a capire che sbagliati non sono loro, ma gli occhi di chi li guarda.
Realizzai che non potevo limitarmi a vivere nel mio mondo, appagata dal rapporto che avevo con mio figlio. Dovevo mettermi in gioco, affrontare il mio coming out, cercare di fare qualcosa. Così decisi di entrare a far parte di Agedo con la speranza di contribuire, con il mio impegno (una goccia nel mare? Forse, ma almeno ci avrò provato) a far sì che nella nostra società col tempo non ci siano più persone che, come ancora oggi troppo spesso accade, quando va bene, dichiarano di accettare i nostri figli e le nostre figlie a condizione però che rinuncino alla propria visibilità, quando va male li considerano dei diversi da curare o redimere o deridere o punire.
Tra le esperienze fatte, quella di essere io stessa un libro nella biblioteca dei libri parlanti, è l’esperienza per me più toccante. Quando sei un libro parlante devi darti un titolo ed io scelsi il mio:
MIO FIGLIO NON UN MONDO A PARTE, MA PARTE DEL MONDO.
Quello che non potevo immaginare, la prima volta, è che sarei stata letta da così tanti ragazzi e ragazze. Pensavo che a leggermi sarebbero stati soprattutto genitori e invece mi ritrovai a raccontarmi a tanti giovani che volevano sapere come io avessi vissuto il coming out di mio figlio. Loro mi ascoltavano e ascoltandomi a poco a poco si lasciavano andare parlandomi di se stessi.
C’era chi mi diceva che non voleva fare coming out con i propri genitori perché riteneva che non avessero gli strumenti per capire o perché immaginava che non l’avrebbero mai accettato; qualcuno/a aggiungeva che tanto non gli/le importava perché non aveva bisogno di loro per vivere la sua vita. C’era chi mi raccontava di avere fatto coming out e di essere stato/a rifiutato/a come se non fosse lo stesso figlio o la stessa figlia di sempre. Ma c’era anche chi si era sentito/a rispondere dai genitori che in futuro non volevano sapere nulla di quell’aspetto della loro vita. C’era chi, raccontando di sé, ostentava sicurezza e chi aveva gli occhi lucidi. Ricordo in particolare una ragazza che, abbracciandomi, mi chiese "Suo figlio sa quanto è stato fortunato ad avere dei genitori che, anche se spiazzati dal suo coming out, sono riusciti ad abbracciarlo e a dirgli che non era cambiato nulla, che lo amavano esattamente come prima?"
L’esperienza di essere un libro parlante, mi ha fatto capire qualcosa a cui, senza quei ragazzi e ragazze, non avrei mai pensato: loro mi avevano voluto leggere perché rappresentavo la speranza che , come io avevo, dopo un mio percorso, riaccolto mio figlio con lo stesso amore di prima, allora un giorno anche i loro genitori avrebbero potuto abbracciarli, accettarli e riaccoglierli, capaci finalmente di considerare la loro diversità nient’altro che uno degli infiniti modi per cui nessuno è uguale agli altri.
E quindi se è giusto che nessun genitore venga colpevolizzato perché ha bisogno del suo tempo per elaborare il coming out del figlio o della figlia, in quanto ognuno di noi genitori ha fatto o deve fare un suo percorso che per alcuni può essere semplice, per altri, invece, può apparire difficile, pieno di ostacoli e per altri ancora non avere mai fine, ricordiamoci che intanto i nostri figli e le nostre figlie aspettano e sperano di non essere rifiutati, ma accettati e riaccolti da noi, finalmente in grado di riconoscere e rispettare il valore della loro identità.
Grazie a mio figlio che mi ha dato l’opportunità di conoscere un mondo che ignoravo e grazie ad Agedo per avermi accolto.
Fanny Marrone