COVID-19. A Milano tutto bene?

La Lombardia, con i suoi 150 decessi ogni 100.000 abitanti, è un esempio negativo a livello mondiale. Che cosa succederà con il ritorno alla 'normalità'? ()
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Una foto ci ritorna in mente. Un gruppo di vecchietti di una casa di riposo milanese, attorniati dalle ridenti assistenti che reggevano uno striscione con un grande arcobaleno e una scritta: “Andrà tutto bene!”. Tutti allegri e senza mascherine, sia loro, sia chi li assisteva. Dopo due mesi rimane la speranza che entro pochi giorni i superstiti abbiano finalmente la mascherina e siano stati 'tamponati' insieme agli infermieri e a tutto il personale.
Gli altri anziani e gran parte degli ospiti delle quasi settanta RSA (Residenze sanitarie assistenziali) di Milano città non ci sono più. Potevano essere ancora fra noi, ma ora fanno parte della schiera di morti che ha reso la Lombardia, con i suoi 150 decessi ogni 100.000 abitanti, l’esempio negativo a livello mondiale.

A Milano i contagi stentano a diminuire
In cima a questa tragica classifica sicuramente la città di Bergamo e la sua Val Seriana, poi Brescia, Mantova e Lodi. Milano in rapporto alla popolazione ha avuto meno decessi, ma rispetto alle zone più colpite, ha un numero di contagi giornalieri che stenta a diminuire. Qualcuno dirà che il peggio è passato, che già il 4 maggio vi è stato finalmente uno sblocco. Siamo nella terra promessa della fase due. Molti già scalpitano in attesa del fatidico 18 maggio quando dovrebbe avvenire un altro grande passo verso la normalità. I pro e i contro di questa uscita collettiva dal tunnel sono noti e hanno schiere di “tifosi” che si affrontano con opposte ragioni. Chi, come i virologi e i medici, invita alla cautela, chi, come coloro che hanno un’attività economica (alberghiera, bar ristoranti ecc.) chiede a gran voce che siano sciolti tutti i lacciuoli che ci hanno stretto in una esistenza ormai insopportabile, anche dal punto di vista economico. Senza contare intere famiglie stufe di questi arresti domiciliari di massa. Le astinenze affettive hanno segnato un po' tutti. La scelta di come si entrerà in questa quasi 'normalità' è di competenza del Governo e la sua applicazione e graduazione della Regione.
Per settimane ci hanno descritto un quadro dalle tinte più rosee possibile, ma capire se il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto non è facile. Anche perché è apparso chiaro che l’eventualità di ammalarsi e di andare incontro a gravi rischi non è eguale per tutti.

E ora, a Milano, che cosa può succedere?
Rispondere non è facile per nessuno anche perché tutti i timori, le ansie e le angosce sono motivate dal futuro incerto, non solo sanitario ma anche economico.
La comunicazione ufficiale (regionale e nazionale) non è di molto aiuto anche perché non è facile districarsi tra tabelle e grafici e capire l’evoluzione della pandemia. Sarà compito dei posteri e dei più giovani comprendere l’impatto che si suppone questa pandemia avrà sulla nostra vita. Per il momento non ci interessa esaminare gli scenari del morbo che sta colpendo tutto il mondo ed in particolare la parte più ricca e teoricamente più attrezzata ad affrontarlo.
Qui ci accontentiamo di vedere con qualche dato e alcuni grafici la situazione attuale a Milano.

La provincia di Milano, insieme a quella di Lodi, ha una popolazione di più di tre milioni di abitanti; il compito di garantire il diritto alla salute è affidato principalmente all’ATS (Agenzia tutela salute) di Milano, struttura della Regione Lombardia.

Questo primo grafico mostra l’andamento del parametro R(t) stimato (1) per la data di comparsa dei sintomi nei casi confermati e dei casi sintomatici segnalati dal medico di medicina generale. Esso rappresenta il numero di persone che mediamente vengono infettate da un singolo caso. Un valore di R(t) inferiore a uno indica che l’epidemia sta rallentando, ossia che ogni malato infetta, mediamente, meno di una persona. Un valore di R(t) maggiore di uno indica che l’epidemia è in fase progressiva e che ogni malato infetta mediamente più di una persona. Come è evidente siamo ben lontani da R(t) = 0 (ossia assenza del rischio di contagio) e si può rilevare come dopo la fine del blocco (lockdown) vi sia un percettibile rialzo.

Le aree più colpite
Nell’area metropolitana di Milano la parte più colpita è sicuramente la provincia lodigiana, che ha visto i primi casi (20 febbraio). Questa curva abbastanza stabile da più di un mese potrebbe segnalare che gli interventi per ridurre il contagio (distanziamento sociale ecc.) non hanno avuto effetto per completare l’eradicamento del virus. Lo sviluppo del contagio nella città di Milano, segnato dal numero dei casi positivi, ha avuto una costante crescita nell’ultimo mese.

Da queste due mappe, sempre tratte dalla stessa fonte (ATS Milano), si può vedere la differenza tra il 10 di aprile e lo stesso giorno di maggio. Nelle tre ASST (le aziende socio sanitarie che governano il territorio milanese) si possono individuare abbastanza facilmente le periferie che hanno visto il maggior sviluppo dei contagi (Baggio e Quarto Oggiaro tra i più colpiti). Non si hanno dati più precisi di quelli comunali ma già così ci si può chiedere se questo sviluppo poteva essere contenuto. In alcune zone quanti positivi asintomatici vi sono oltre a quelli indicati? Non si sa. O almeno la ATS non può
saperlo o non ritiene di comunicarlo. In teoria solo un monitoraggio di massa attraverso i test sierologici e successivamente con i tamponi potrebbe dare una misurazione certa di quanti hanno subito un contagio da Coronavirus, con o senza manifestazioni patologiche.
Per ora possiamo vedere da questo terzo grafico l’andamento numerico dei casi accertati rispetto alle altre provincie. Salta all’occhio anche inesperto che per Milano e Provincia il trend di crescita è maggiore, mentre nelle altre provincie la “curva” temporale si attenua. Anche se il numero giornaliero dei casi è costantemente minore della settimana precedente.

Un altro triste indicatore
Un altro triste indicatore di quello che è successo è sicuramente il numero dei deceduti. Come si vede la provincia di Milano sta raggiungendo e superando in termini assoluti le altre provincie.
Qui ovviamente si dovrebbe rapportare il dato al numero di abitanti e distinguere tra le aree densamente abitate e il territorio suburbano. Rimando l’analisi nella speranza di sapere quanti di questi decessi di cittadini milanesi sono avvenuti a domicilio, in ospedale o nelle RSA. Ma si può già affermare che più del 90% di questi tristi eventi hanno riguardato le classi di età oltre i 65 anni. Soprattutto i cittadini tra i 75 e gli 85. In stragrande maggioranza uomini, anche se nell’area metropolitana milanese la percentuale delle donne è superiore rispetto alle altre provincie.

Numeri comunque impressionanti nel quadro drammatico regionale lombardo che da soli riguardano più della metà di tutte le morti d’Italia. Quasi tre volte in rapporto alla popolazione del vicino Veneto, quasi il doppio dell’Emilia Romagna.

Purtroppo è ipotizzabile che i decessi da Coronavirus siamo molti di più dovute a malattie acute insorte nel periodo che non hanno potuto essere curate a causa dell’emergenza (si parla di molti infarti con esito mortale evitabile con le opportune cure). l’ipotesi viene confermata dalla statistica (limitata al 9 aprile) fornita a un consigliere comunale dall’anagrafe cittadina.

Altre conferme dell’eccesso di mortalità nei mesi di marzo e aprile del 2020 rispetto allo stesso periodo del 2019 provengono dai rapporti ISTAT.
Per il momento questi aridi numeri possono descrivere solo in parte cosa è avvenuto in questi 75 giorni, non danno conto dei drammi, paure e lutti. Non fanno emergere le devastazioni anche psichiche che ha lasciato il virus. In parte sono stati tratti da report non di pubblico accesso. In questa Lombardia tecnologicamente evoluta, con centinaia di milioni spesi per l’informatica sanitaria dalla Regione Lombardia l’informazione non è stata completa e spesso storpiata da fini propagandistici. Questo articolo cerca di dare qualche elemento al fine di quantificare quello che abbiamo vissuto a Milano. Si apre una fase a mio parere con esiti incerti anche perché in questo futuro prossimo gli ospedali pubblici dovranno riprendere l’attività 'normale'.
Con l’allentamento del blocco, l’aumento dei contatti, la ripresa delle attività commerciali ed industriali, l’apertura dei locali pubblici sarà possibile mantenere l’attuale tendenza alla diminuzione dei casi?

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