Tutta la Milano possibile. 7° Forum sulle politiche sociali

Il 22 marzo è stato inaugurato il 7° Forum delle Politiche Sociali con numerosi eventi in ogni parte della città. Tre i temi principali di quest'anno, reddito di inclusione, periferie, contrasto alla violenza sulle donne. ()
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Nella sua introduzione l’assessore alle Politiche Sociali Pierfrancesco Majorino ha ricordato che il reddito d'inclusione e la povertà, il piano sociale delle periferie, la violenza contro le donne, il bullismo e le discriminazioni sono temi sociali che devono essere approfonditi e trasformati in pratica politica attraverso l'azione e il contributo di tutti: Comune, Municipi, Regione, Istituzioni e privati.
Su questi punti si imperniano i dibattiti in programma dal 22 al 27 marzo in una serie di incontri, iniziative ed eventi con autorità, rappresentanti pubblici e privati, associazioni.

Il giorno 8 marzo il Sindaco Sala ha sottoscritto il “Patto Condiviso” per la parità di genere insieme ai Sindaci di altre 14 grandi città italiane: Varese, Padova e 12 città metropolitane : Milano, Torino, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Reggio Calabria, Messina, Catania, Palermo, Cagliari. E ci si augura che venga sottoscritto in tutto il Paese.

Il Patto è articolato in 11 punti programmatici per progettare e sostenere con misure concrete la promozione delle pari opportunità e la violenza sulle donne (#pattodeicomuni#8Marzo).
Dopo la giornata del 25 novembre “Giornata mondiale contro la violenza sulle donne” e il riproporsi di continui femminicidi nel nostro Paese, vi è la necessità di azioni più decisive a favore della parità di genere e contro ogni violenza fisica e psicologica.
Proprio i presidi istituzionali possono fare la differenza perché più vicini ai cittadini, possono contribuire a sensibilizzare i più e i meno giovani contro gli stereotipi di genere e per il rispetto delle differenze. Le politiche di pari opportunità possono sostenere le donne nella conciliazione di lavoro e famiglia e fare rete tra istituzioni.

In questa prospettiva si è svolto il confronto di giovedì 22 marzo : “Contro la violenza degli uomini sulle donne” sviluppato in due parti.

1a Parte: Presentazione del libro “Crimini contro le donne” del magistrato Fabio Roia .
Sono intervenuti: Stefania Bartoccetti, Silvia Belloni, Suor Claudia Biondi, Diana De Marchi, Alessandra Kustermann, Manuela Ulivi con il coordinamento di Luisa Pronzato, giornalista della 27a Ora del Corriere della Sera.

Gioco di squadra, fare rete è stigmatizzato da Roja. magistrato con 20 anni di esperienza, nel libro “Crimini contro le donne”, che ha reso comprensibile a tutti noi l'importanza delle competenze e offerto un modo per capire le cose in modo pratico e non ideologico. Incrociare la pratica con la parola, incrociare fatti e pratiche, affinché le idee prendano corpo nella Polis. La violenza di genere non è solo una questione femminile, anzi è maschile, fintanto che una donna viene uccisa ogni 70 ore.

Riferiamo qui di seguito gli interventi dei relatori.

Fabio Roja

In questi ultimi giorni l'omicidio di Laura Petronio a Ragusa è stato definito dal Procuratore della città come un delitto avvenuto nell'ambito di un rapporto travagliato, progressivo, un delitto d'impeto. Come può essere progressivo e d'impeto insieme? Come mai le forze dell'ordine, le istituzioni non riescono a capire cosa sta succedendo e non ascoltano le donne che denunciano? La valutazione del rischio in che modo va effettuata, affinché sia efficace?
Dichiarazioni di quel genere sono fuorvianti, la genesi dei delitti è la cattiva valutazione degli eventi, i quali sono “doli programmatici”. La misura che viene data può non essere sufficiente a impedire il femminicidio e ciò per stereotipi culturali e per impreparazione. Il 78% dei giudici non sono specializzati sulla violenza di genere e spesso sottovalutano il rischio.
Da una parte le istituzioni non riescono a capire quello che sta avvenendo e non sono in grado di valutare il rischio; dall'altra c'è un uomo che non accetta la rottura della relazione della donna, la sua è inadeguatezza di genere, perché considera la donna un oggetto di sua proprietà.
Il Consiglio Superiore della Magistratura ha chiamato tutti i responsabili degli uffici giudicanti in tutta Italia, il 12 e 13 aprile, a due giorni per imparare e riflettere. Per la 3^ volta la Magistratura si dovrà interrogare su questi, che sono problemi dal punto di vista tecnico e culturale. Tutti devono tornare a scuola!

Come operare? La valutazione della denuncia della violenza deve essere valutata con competenza e non liquidata con un approccio di tipo pregiudizievole. La responsabilità dell'operatore deve essere denunciata. Bisogna parlare in questo modo chiaro, affinché queste denunce non vengano dimenticate in un cassetto o sottovalutate, il responsabile deve rendere conto.
Anche quando è stato emesso un giudizio e l'uomo non può avvicinarsi alla donna, questo non è una garanzia, come non lo è stato per la donna di Livorno. La denuncia non è un atto semplice e quando il Pubblico Ministero prende una misura, può essere non adeguata alla situazione denunciata. Il giudice, se non è specializzato in materia - e il 78% non lo sono -, deve essere affiancato da uno specialista criminologo, o psichiatra forense, perché venga aiutato nel decidere la misura con un esperto che valuti la gravità del rischio, perché i giudici sono abituati a trattare con delinquenti comuni, mentre questi uomini si presentano spesso come persone dialoganti e insospettabili e nascondono il loro disagio.

Alessandra Kustermann (Soccorso Violenza Sessuale e Domestica VSSeD)

Ci sono due vie per raggiungere le donne che hanno bisogno di aiuto. Il primo approccio è essenziale per creare un rapporto di fiducia e si verifica quando arriva la telefonata al centro; non sempre quando telefonano le donne sono coscienti di essere delle vittime, vanno quindi ascoltate senza che siano giudicate, vanno affiancate, guidate. Bisogna capire cosa c'è dietro, rendere consapevole la donna di essere una vittima, va aiutata nel caso di denuncia, ma bisogna darle un appoggio, una rete di sostegno.
L'altra via è attraverso il pronto soccorso. Al pronto soccorso, se vengono riconosciuti ematomi e ferite collegabili, viene affrontato un primo colloquio con una psicologa, che in privato parla con la donna e se infine risulta la violenza, si fanno intervenire le forze dell'ordine e scatta la denuncia.
In Italia ci sono 300 centri antiviolenza e case delle donne, ma non tutti i magistrati tengono conto delle relazioni scritte dai centri.
Le Forze dell'ordine dovrebbero avere esperienza e competenza, ma solo raramente è così. Pensano che il 45% delle denunce delle donne siano strumentali alla separazione, non inviano le donne ai centri antiviolenza per una valutazione. Solo il 5% delle donne si rivolgono al centro, le altre si rivolgono al pronto soccorso e alle forze dell'ordine, che dovrebbero saper valutare la situazione di rischio elevato.
In situazioni di conflittualità, quasi sempre le forze dell'ordine scrivono nel rapporto che è una denuncia strumentale. Sarebbe tanto più razionale anche per loro valutare il rischio, basta formulare 5 domande che vanno subito fatte: se l'uomo ha una pistola, se ha tentato di strangolarla, se l'ha minacciata, se era incinta e l'ha picchiata, se sono aumentati gli episodi di violenza negli ultimi 6 mesi, se la donna ha paura di essere uccisa.
Silvia Belloni – Ordine degli Avvocati di Milano -
Le denunce definite strumentali fanno parte di una cultura; anche il P M, tra le righe, definisce la denuncia come strumentale, in realtà questa eventualità si verifica una volta su cento. Nel caso degli stranieri, poi intervengono altri stereotipi.

Suor Claudia Biondi (Fondazione Caritas Ambrosiana)

Nel caso delle donne straniere bisogna vedere da quanto tempo sono in Italia. Perché c'è il sospetto che la donna faccia la denuncia per ottenere il permesso di soggiorno. La percentuale degli uomini violenti è molto maggiore nel mondo dell'immigrazione, questo è vero, ma ci vogliono mediazioni e strumenti per valutare la situazione.

Silvia Belloni

La valutazione del rischio è specifico di altre personalità, ma anche l'avvocato stesso deve essere in grado di indirizzare. L'ordine degli avvocati deve prevedere questo tipo di avvocato competente della materia.
Guardando alla donna, se ha una situazione di disagio gravissima, deve ricevere accoglienza nel centro, affidata a persone che sappiano indirizzarla, ascoltarla e accompagnarla, perché ogni storia è a sé. E' necessario continuare a seguire le donne anche dopo che escono dal centro antiviolenza, non le abbandoniamo! Ognuno deve fare la sua parte, anche l'avvocato, se è competente nella valutazione del rischio.

Diana De Marchi (Presidente Commissione consiliare Pari Opportunità e Diritti civili)

Lavorare sul territorio, con i numeri sui crimini che abbiamo, è prioritario; ma dobbiamo lavorare perché non si arrivi al femminicidio e abbattere il muro culturale che porta al delitto. Noi abbiamo un calo di omicidi, ma un aumento dei femminicidi
Abbiamo una relazione tra uomo e donna che è cambiata e dobbiamo costruire un linguaggio, con modalità diverse, per abbattere stereotipi atavici, usando tutti i linguaggi, la cultura, il teatro, il cinema, le canzoni per abbattere questi muri.
Modificare il linguaggio aggiornandolo, perché c'è anche la colpa di chi sta intorno e che usa un linguaggio che sottovaluta i comportamenti maschili, spinge alla pacificazione, a nuovi tentativi di ricerca di accordo, non vuol guardare la realtà.
E' un fatto culturale, persino il 90% dei ventenni, pur dichiarandosi d'accordo per abbattere la violenza, hanno un abito mentale che codifica il lasciar stare, il non impicciarsi; persino le giovani e i giovani dicono di non voler intromettersi nei rapporti di coppia.
Le parole del linguaggio quotidiano è troppo violento e dal linguaggio violento si arriva all'azione violenta.

Manuela Ulivi (Casa delle Donne Maltrattate di Milano)

Un caso tipico dell'incapacità della valutazione del rischio, si ha quando il giudice e gli assistenti sociali in tribunale decidono di tutelare il diritto del padre a vedere il figlio e succede che in quella occasione questo uccida la moglie che accompagna il figlio o il figlio stesso. E' accaduto più di una volta.
La decadenza della responsabilità genitoriale del padre è prevista negli art. 31, 45, 48 della Convenzione di Istanbul. Nel momento in cui non si può proteggere la donna dalla violenza del marito, deve essere esercitata l'alienazione parentale. I giudici civili non hanno ancora messo in attuazione l'art. 31, perché decidono per la tutela del padre a tutti i costi e non a tutelare la vita della donna e dei figli. L'affido condiviso non si può dare in casi di violenza, perché le madri devono per forza interloquire col padre e quelle sono le occasioni di pericolo per donna e figli. Eppure, molto spesso le donne vengono altrimenti minacciate di togliere loro i figli.

Silvia Belloni

Le visite protette nei primi tempi non vanno fatte durante le indagini preliminari, perché è il momento di massima tensione e ci deve essere altissima cautela.
Il modo di interpretare la legge è un fatto culturale, il problema maggiore è culturale, le donne hanno meno potere, in questo senso va il grosso lavoro che i centri svolgono, nel tutelare le donne, perché il percorso di relazioni riguarda il benessere della collettività e riguarda tutti. Andare contro la madre, non fa l'interesse dei figli.

Fabio Roja

Il genitore che vuol fare il padre in ritardo è ridicolo, non sapeva forse di essere padre quando spaventava i bambini e la madre che gridavano terrorizzati, non si ricordava allora di essere genitore?
La minaccia di togliere i bambini è una forma di vittimizzazione secondaria della donna ed è contro la convenzione di Istanbul. Ci vogliono competenze.
Il punto sta nel rapporto tra la cultura e la giurisprudenza. I problemi maggiori sono nell'ambito delle competenze; noi magistrati siamo portatori di modelli di famiglie borghesi e da ciò può nascere un pregiudizio morale sulle vittime. Nel caso delle donne straniere, per esempio, che denuncerebbero per avere il permesso di soggiorno, i dati dicono che in tutta Italia sono stati concessi, per questo motivo, n. 35 permessi di soggiorno nel 2014, n. 29 nel 2015, n. 31 nel 2016 .
Quando i giudici danno l'affido condiviso, dovrebbero spiegare perché lo fanno; molte volte i servizi sociali non leggono, non codificano i dati, non conoscono l'articolo 31 della Convenzione di Istanbul, che è norma di legge art. 117 comma 1°codificato dallo Stato. Non ci sono norme confliggenti di diritto, ma solo norme di buon senso.

Nella seconda parte del convegno sono stati sviluppati altri temi trattati da operatori istituzionali e sociali.
Sono intervenuti : Elena Bettoni (CGIL), Marco Bussetti (Ufficio Territoriale Scolastico), Arianna Censi (Città Metropolitana), Mirco Fagioli (ATS Città Metropolitana), Maria Carlo Gatto (Tribunale Minori di Milano), Paola Guaglianone (Casa Rifugio “La grande casa”), Fabio Roia (Tribunale di Milano), Alessandra Simone (Polizia di Stato), Lucia Volpi (CeAS Centro Ambrosiano di Solidarietà) con il coordinamento di Miriam Pasqui del Comune di Milano.

Miriam Pasqui

Al Comune ci siamo inventati un ruolo come ente locale, ovvero come trasformare il contrasto alla violenza di genere da un impegno nato spontaneamente fra le donne che hanno fatto sorgere le case rifugio in una politica pubblica. Abbiamo costruito reti per sostenere i centri stessi, che esistevano già prima che le istituzioni e le amministrazioni locali affrontassero il problema e tentassero di dare una risposta pubblica a un bisogno sociale.
Il Comune ha cercato di mettere insieme questa rete che a Milano già operava: ci sono infatti 13 tra case rifugio e centri antiviolenza, la cui diversificazione risponde a bisogni e caratteristiche diverse, per donne con storie e necessità diverse.
Il Comune ha investito importanti risorse economiche proprie, a sostegno della rete, vincolando anche risorse della Regione prevenienti dal fondo nazionale per la violenza di genere, attingendo anche a fondazioni private come Cariplo e Assolombarda.
Come istituzione pubblica, abbiamo deciso di affidare il proseguimento di costruzione della rete, secondo il modello della co-progettazione, partendo dai centri e dalle case protette, perché crediamo che molto abbiano da dire i centri su come realizzare i servizi, accogliere le donne, costruire percorsi, dato che già sanno come affrontare questi problemi. Comunque vogliamo riunire i soggetti della rete, come soggetti alla pari, che vanno a formare un patto e un progetto per la città. Abbiamo quindi deciso di costruire questa rete di servizi come una rete territoriale allargata.
Il Comune ha deciso il modello della co-progettazione, ampliandolo al territorio, ai municipi, alla città metropolitana, per creare reali progetti su come accogliere le donne.
Sicurezza e coesione sociale sono gli impegni che vengono richiamati dalla convenzione di Istanbul. Già nel 2013 è stato fatto questo patto contro la violenza con il Comune e quest'anno abbiamo deciso di aprirlo a soggetti diversi, sia in ruoli istituzionali e di servizi sociali, che di organizzazione civile.
Gli assistenti sociali, che lavorano sul territorio e parlano con le famiglie, hanno deciso di sottoscrivere il patto di sicurezza e coesione sociale e orientare le donne sul tema della sicurezza; il nucleo specialistico della polizia si impegna per orientare le donne a tutela dei minori e per il trattamento dei soggetti maltrattati; sulla raccolta della sottoscrizione del “Patto” continuiamo a lavorare.
Milano c'è, perché vuole fare cose concrete in aiuto delle donne.
Abbiamo cercato di coinvolgere i 9 Municipi e la città metropolitana, l'ordine degli avvocati, degli psicologi, dei giornalisti, l'ufficio scolastico provinciale e l'Università. Andiamo oltre la residenza. Ci sarà un organismo tecnico e commissioni, esperti commercialisti, finanziari e assistenti sociali. Una rete molto ampia, . Milano c'è e vuole fare cose concrete per le donne.

Maria Carlo Gatto (Tribunale dei minori)

E' importante far parte di questa sottoscrizione nell'interesse del minore, che è vittima, come la madre o la sorella, nel momento in cui è costretto ad assistere alla violenza, indiretta, che colpisce la sua sfera psichica. È abuso psicologico. La rete è necessaria per la protezione e anche per la prevenzione, perché l'educazione passa attraverso l'esempio: il percorso formativo inizia da piccoli, nell'ambito della famiglia e qui si parla di formazione negativa.
Bisogna portare avanti un'azione plurale, per valutare le azioni, intercettare queste violenze e offrire esempi, esercitare influenze che devono essere rivolte al rispetto per gli altri, a come ci si relaziona con il prossimo e al rispetto della vita. Quindi tutti noi, tutti i giorni, con le nostre azioni, esercitiamo un influsso: le forze sociali, la scuola, l' università, gli amministratori. E' un discorso culturale dunque, per favorire il cambiamento strutturale rivolto a coloro che formeranno il futuro del paese.


Alessandra Simone.

Per la Polizia di Stato è importante far parte di una rete; da anni c'è un percorso di formazione che interviene in prima battuta per agire con competenza sul primo aiuto. Per 80% dei casi è la famiglia l'ambito dell'intervento. Non solo le madri, ma anche i figli sono vittime di abusi, picchiati. Ci sono esempi virtuosi di interventi positivi della Polizia anche nella prevenzione; ma l'importanza della rete è essenziale, sia nella prevenzione, che nella soluzione e superamento del problema.