Autore: Vincenzo Robustelli
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Spero che l’intervista a Francesca Zajczyk sia la prima alla stessa perché dobbiamo verificare se l’incarico ricevuto non sia solo formale, perché oggi tutti parlano di pari opportunità.
La prima cosa da verificare e promuovere tale pari opportunità è nell’ambito della burocrazia comunale e anche nella maggioranza.
Perché non basta aver dato incarichi alle donne ma è proprio nei comportamenti, nella sensibilità ai problemi che come cittadini viviamo, nel non riprodurre gli stessi meccanismi maschili di concorrenza e di sopraffazione che dobbiamo misurare come le cose stanno cambiando.
Abbiamo al riguardo sotto gli occhi la miseria del governo Berlusconi.
Vorrei evidenziare alcuni punti della intervista sia in positivo che in negativo.
Innanzi tutto normalmente quando si parla di pari opportunità si dovrebbe intendere non solo quella di genere ma anche quelle legate all’età, alle scelte sessuali, alle religioni professate, che spesso hanno aspetti esteriori palesi, e quella che dovrebbe svilupparsi nell’ambito familiare non solo tra marito e moglie, ma tra padri e figli per l’aspetto educativo.
Senza nasconderci che quanto detto riguarda anche tutti noi, bianchi e occidentali, non si deve trascurare quei nuovi e ulteriori problemi, legati alla forte immigrazione, che si trovano ad affrontare le donne di religione mussulmana che portano il velo o gli uomini o donne che portano nomi arabi.
In particolare uno dei stereotipi è quello che tutte le persone di origine araba professino la religione mussulmana, mentre ci sono famiglie arabe laiche che, vivendo magari in ambienti dove la religione prende spesso il sopravvento, si trovano isolate nella fase educativa dei loro figli, in particolare se femmine, e necessiterebbero di un aiuti da parte delle istituzioni.
Ho molto chiaro il problema della discriminazione per l’età, facendo io parte di una associazione (ATDAL Over 40- troppo vecchi per lavorare e troppo giovani per andare in pensione), come è d’altra parte detto nella intervista, dove quella di genere è ulteriormente più discriminatoria.
Proprio su questo problema occorre innanzi tutto chiarire che l’età discriminatoria si sta ulteriormente abbassando ben sotto i 50 e già avvengono casi in cui si parla di 35 anni.
Inoltre occorre evidenziare che tale discriminazione legata all’età riguarda innanzi tutto il precariato lavorativo che invece sembra riguardare solo i giovani.
E proprio per quanto riguarda l’Expo, trattato velocemente nell’intervista, e che ad oggi è stato deciso di far svolgere, mi sento di dire che è una occasione proprio per dare lavoro, nell’ambito delle professionalità richieste, a tali persone over per accompagnarle in qualche modo alla pensione che si fa di giorno in giorno, da governo a governo, compreso questo Monti, sempre più lontano.
Ho fatto io e la mia associazione la richiesta alla Tajani, ma non c’è mai stata risposta.
Mi lascia invece perplesso l’istituzione di una “banca dati pubblica di curriculum eccellenti” di cui non comprendo lo scopo e al contrario mi sembra la creazione di un ghetto di elette.
A me non piacciono eletti uomini o donne che siano.
Per chi ha conosciuto Marisa Belisario, una delle poche donne manager italiane dagli anni 60 agli 80, ricorda bene che non dimenticò mai di essere donna in un mondo di soli uomini e, seppur famosa, non cercò di imitarne comportamenti.
Tornando al precariato è sbagliato dire “purtroppo il Comune non ha competenza specifica per i problemi lavorativi” perchè, purtroppo, è sempre la stessa risposta che ho ricevuto ogni volta che ho chiesto cosa stesse facendo il Comune con i precari al proprio interno.
Sembra che la Zajczyk non sappia come i precari all’interno del Comune vengano mandati via mano che scadono i contratti. Si parla oramai di centinaia di persone e lo scontro con il comune (Bisconti) sta diventando sempre più aspro.
Ma nulla trapela dai quotidiani, comtatixmilano, ecc, ecc.
Non bastano incontri, stesura di principi se poi i comportamenti sono gli stessi storici.
Ma anche gli stessi accordi a cui si fa riferimento (accordo con Camera di Commercio, Fondazione Welfare) sono più momenti assistenziali che di lancio del lavoro. Primo perché non tutti possono diventare imprenditori e secondo perché manca totalmente una linea di cosa debba essere Milano come realtà produttiva da quando la maggior parte delle industrie manifatturiere ne sono uscite.
L’altra iniziativa di premiare le imprese che adottano interventi a favorire la conciliazione donne-lavoro dovrebbe partire non dalle imprese, ma dallo stesso ente pubblico che non è in grado di sopperire alle esigenze delle famiglie con figli o con anziani da seguire che sono costrette a rivolgersi al mercato dei privati.
Purtroppo ad una donna che lavora e che si libera attraverso il lavoro di una sudditanza familiare corrisponde un’altra donna precaria invisibile (spesso migrante e non in regola) dedita all’assistenza familiare.
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