Chi si rivede, i ragazzi del Lambretta

In una manifestazione a porta Venezia ci ricordano il filo rosso che unisce la strage di piazza Fontana, di cui domani ricorre il 46° anniversario, a quella della stazione di Ankara. E altre scomode verità.


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Li hanno cacciati dalle palazzine di via Apollodoro (per inciso: l'Aler proverà per la terza volta a rimetterle all'asta ma intanto la zona è ripiombata nella più che trentennale indecente normalità dell'abbandono e dello spaccio) però ci sono ancora, i ragazzi del Collettivo Lambretta. E oggi, vigilia dell'anniversario della strage di piazza Fontana, dalla nuova sede di via Cornalia sono tornati in Porta Venezia a manifestare una radicale diversità provando a scuotere con la loro protesta l'atmosfera prenatalizia della città più ricca d'Italia. Hanno deciso di farlo anche oggi e non solo domani assieme all'ANPI, alla FIOM, ai gonfaloni dei Comuni, al sindaco Pisapia e alle altre forze che ricorderanno ufficialmente la strage che ha cambiato la nostra storia recente. Forse perché domani non potranno salire sul palco e dire qualcosa in modo così netto come hanno potuto fare oggi. Che Daesh è una “nostra” creatura, per esempio, e che non bisogna credere alla versione ufficiale secondo cui la strage della stazione di Ankara sia opera sua. O che il vero interesse di italiani ed europei non si fa vendendo armi agli sceicchi e facendo finta di non sapere che questi li girano a chi taglia gole o insanguina le nostre strade. E che nemmeno si può legittimare un Erdogan perché faccia a suon di miliardi il lavoro sporco per noi con i profughi delle nostre stesse guerre, premiandolo oltrettutto con la promessa dell'ammissione al nostro club anche se silenzia la stampa e reprime l'opposizione. O che le donne curde del Rojava (il Kurdistan siriano) hanno nella loro società un ruolo guadagnato sui campi di battaglia, talmente avanzato che probabilmente non basteranno cent'anni perché avvenga qualcosa di simile nelle società occidentali, ma che nemmeno questo basterà a veder riconosciuto il diritto dei curdi ad avere un proprio Stato.

Così a piazza Oberdan il traffico già convulso di un giorno qualunque in prossimità del Natale (lavoro affari acquisti nevrosi) questa mattina per muoversi ha dovuto aspettare che una manciata di giovanissimi lanciasse petardi e stendesse sull'asfalto un grande lenzuolo azzurro pieno di sagome nere. I petardi hanno fatto bum! in cielo per ricordare, pallidamente, il diluvio di bombe che ormai da più di vent'anni cade su popoli e stati sempre a noi più vicini. Le sagome nere rappresentavano invece quelle degli affogati, donne bambini, a migliaia sempre di più, di cui si riempono i nostri mari. Gli stessi mari con quelle belle spiagge pettinate in cui i proprietari delle automobili in fila forse già sognano di portare la famigliola la prossima estate: teste di struzzo affondate in castelli di sabbia sempre più minacciati dalla marea.

Poca gente ad ascoltare quel ragazzo vestito così leggero nel freddo pungente che gridava da un megafono: la nostra Europa non ha confini, siamo tutti clandestini. E: sì noi diamo fastidio, perché non vogliono ascoltare le nostre ragioni, che sono quelle di chi non ci sta a rinunciare ai propri diritti. Centri sociali del c... gli faceva eco qualcuno affrettando il passo sul marciapiede. Guastafeste, è Natale! Eppure laggiù, sulla via di Damasco e anche più in là, popoli interi vengono folgorati sì, ma dalle bombe di una fede blasfema. Denaro, armi, violenza, potere, privilegio stanno a tutela del nostro Natale e i ragazzi del Lambretta sono venuti per ricordarcelo. Qualcuno per la prima volta dalla fine della Guerra fredda ha addirittura evocato l'atomica. Ce l'hanno in tanti, l'atomica, ne abbiamo anche noi, qui in Italia, e neppure sotto il nostro controllo. Ma è meglio non pensarci e qui in Porta Venezia poliziotti in tenuta antisommossa sorvegliavano chi non vuole soggiacere a questa follia.

Allora in effetti i lambrettari possono essere pericolosi per l'ordine pubblico. Devono essere controllati, schedati, magari infiltrati. E le loro sedi sgangherate e senza riscaldamento chiuse “con un sorriso” come vorrebbe Salvini. A fare la conta, a guardar dietro gli angoli, poliziotti e carabinieri forse oggi erano più dei manifestanti. La garbata presenza dello Stato italiano: forte con i deboli e debole con i forti. Chissà se qualcuno di questi questi quattro spelacchiati ragazzi sa chi l'ha detto. Eppure il confronto sembra ripetersi lungo i decenni e la storia, seppure in forme cangianti. Il potere e la rivolta contro di esso. La normalità a tutti i costi e la presa di coscienza. La voglia di giustizia, libertà, diritti e la reazione omicida. Milano 1969 Ankara 2015: il terrorismo è di Stato, diceva uno striscione. La differenza tra il voler volgere la faccia altrove e il guardare il male negli occhi. Ma il potere, a differenza di questi ragazzi, accumula mezzi immensi, ed esperienza. Corpi e leggi speciali, informazione, schedature, carceri, elettronica, armi tremende. E quei quattro pelati di nemmeno vent'anni con i loro megafoni, al più un furgone affittato, lenzuoli, petardi. Che tenerezza facevano. Ma quarantasei anni fa in piazza Fontana scoppiava la bomba e anche se la verità giudiziaria non arriverà mai, giovani (e meno giovani) come questi di oggi ebbero l'istinto giusto e per decenni mantennero viva (e mantengono ancora) la richiesta di verità: Valpreda è innocente, Pinelli “è stato suicidato”, il colpevole non è il Pkk, non sono i curdi: Milano come Ankara, la strage è di Stato.

Passando da corso Europa un assembramento di ragazzi, anche questo forse più numeroso dei manifestanti, fa la fila per entrare in un negozio alla moda che fa gli sconti. Comprensibile voglia di normalità o indifferenza irresponsabile? Come si vivrà il Natale ad Ankara e a Beirut o a Damasco? In piazza Fontana, davanti alla sede della Banca Nazionale dell'Agricoltura e ai suoi fantasmi, una giovanissima ragazza del Lambretta dal microfono grida nel freddo che “se Parigi merita un minuto di silenzio, per ciò che è stato fatto ai palestinesi e alla Siria il mondo dovrebbe tacere per sempre.” La manifestazione si scioglie senza incidenti e le bancarelle di Natale continuano a offrire occasioni di buoni regali. Eppure la guerra stringe sempre più da vicino un'Europa impaurita e confusa, apparentemente incapace di riflettere sul suo destino, il suo ruolo nel mondo e sui suoi interessi più veri.


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